Il ritorno in patria del re soldato. La storia non è piangere o indignarsi ma cercare di capire

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Certo, il re commise degli errori, anche gravi, come la firma apposta alle leggi razziali, ma gli storici che vogliono ricercare la verità tendono sempre a contestualizzare i fatti, rifiutandosi crocianamente di essere “giustizieri”.  La vera storia è sempre giustificatrice,  non nel senso di assolvere, ma nel senso di comprendere

 

Le vicende legate alla sepoltura di Vittorio Emanuele III al santuario di Vicoforte (scelta infelicissima ,sotto ogni punto di vista, dettata da ragioni assai  poco nobili legate anche a beghe dinastiche ) hanno riaperto un confronto che sembrava sopito. I giovani delle Comunità ebraiche hanno gridato allo scandalo perché, a settant’anni dalla sua morte, il terzo re d’Italia rientra in Italia. Alcuni storici come Rosario Villari sono stati poco equanimi nel considerare un grave errore anche la Grande Guerra che significò per l’Italia la IV guerra per l’indipendenza nazionale. Un nipote di Benedetto Croce si è lasciato andare ad affermazioni che il filosofo e storico napoletano  nel suo equilibrio mai avrebbe condiviso,ignorando che quel re fu anche colui che volle Giovanni Giolitti al governo e favorì le grandi riforme del primo quindicennio del’900. Mario Missiroli parlo ‘ allora addirittura di una monarchia socialista. Il re che non retoricamente venne chiamato soldato-andrebbe ricordato a Villari- conobbe per tre anni  le solitudini gelate degli alpini,il Carso iniquo delle fanterie,il piano dove i bersaglieri andavano all’assalto e fu tra gli artefici Vittorio Veneto. Per contro,alcuni pseudo- storici e personaggi folcloristici di sentimenti monarchici hanno fatto affermazioni fantasiose e prive di qualsivoglia significato storico,compiacendosi per la sepoltura a Vicoforte e dimostrando ancora una volta una certa vacuità di fondo. Questo ritorno- che non è fantasioso  pensare all’insegna del peggiore complotto “massonico”- non è comunque una bella pagina degna di essere ricordata.

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Riportare il re e la regina  in Italia con una cerimonia riservata a pochi infreddoliti cuneesi che, intervistati dalla Tv,hanno infilato dichiarazioni  prive di senso, non è stato giusto. Forse determinerà  un incremento del numero dei visitatori del Santuario di Vicoforte, ma  certamente l’equilibrio storico non è apparso, neppure occasionalmente ,in tutta la vicenda di questi giorni. Giustamente Dino Cofrancesco ha ricordato che Napoleone, cui si addebita il sacrificio di un numero sterminato di vite umane sui campi di battaglia, per affermare  la sua volontà di dominio, sia sopravvissuto in Francia  a regni e repubbliche.Bonaparte, morto a San’Elena nel 1821 venne sepolto all’Hotel des Invalides di Parigi  nel 1840 con  un solenne funerale con tutti gli onori del suo rango imperiale.  Il presidente Putin ha reso omaggio allo zar Nicola II e alla sua famiglia in modo esemplare, malgrado l’attuale nuovo “zar” russo abbia un passato nel Kgb. Il fatto di relegare i due sovrani nel santuario voluto da Carlo Emanuele I ha significato retrocederli a duchi di Savoia,neppure a re di Sardegna a cui sarebbe spettata la basilica di Superga. E’ un particolare di una certa importanza, del tutto ignorato. E non vale sicuramente il discorso strampalato che Vicoforte non è distante da Pollenzo, da Valdieri  e da Racconigi dove Vittorio Emanuele ed Elena di Savoia amavano trascorrere lunghi periodi.Nasser nei confronti di re Farouk  morto nel 1965 nell’esilio dorato di Capri ,dimostrò più generosità che l’attuale governo italiano, concedendogli la sepoltura in una grande e ben nota moschea del Cairo. Nasser dimostrò una pietas islamica del tutto impensabile.

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La XIII norma transitoria della Costituzione che prevedeva l’esilio dei sovrani ,non contemplava affatto che i re morti subissero la stessa sorte dei vivi. Quindi la sepoltura in un santuario di campagna  non è affatto una concessione, ma è l’esercizio di un diritto famigliare legittimo , anche considerato il modo ovattato in cui il trasferimento è avvenuto. Giustamente “La Stampa” ha relegato la notizia dell’arrivo da Montpellier della salma della Regina Elena in una pagina dedicata alle “storie” curiose e non alla cronaca nazionale, dando un’idea precisa del come l’evento poteva essere interpretato. Poi è stato corretto il tiro, quando è apparsa ,all’improvviso, anche la sepoltura del terzo re d’Italia. Chi protesta lo fa per uno spirito fazioso che sempre Cofrancesco ha definito bobbianamente “ tersitismo” un “misto di insolenza e dileggio che la plebe riserva ai potenti caduti in disgrazia”. Il tersitismo il re lo visse sulla sua pelle dal 1943 in poi e non si ebbe  neppure rispetto verso il suo dolore di padre  per la morte della figlia Mafalda in un campo di concentramento tedesco. Oggi dopo settant’anni ci sono dei nuovi Tersite che si accaniscono contro il re, contestando il fatto di trovargli sepoltura persino nella  più periferica provincia cuneese. Tersite, appunto, l’anti-eroe omerico, che per la sua bruttezza e per la sua codardia, rappresenta l’opposto dell’eroe classico. I nuovi Tersite addebitano al solo Vittorio Emanuele la colpa di aver favorito il fascismo, mentre quella responsabilità fu di un’intera classe dirigente non all’altezza dei suoi compiti. Lo riconosceva Filippo Turati che scriveva ad Anna Kuliscioff  :”Abbiamo consegnato noi l’Italia al fascismo”. Lo riconoscono gli storici come Renzo de Felice che superò una concezione storiografica fondata sui miti per scandagliare con serietà la storia dell’Italia contemporanea. Gli “anni del consenso” verso il regime non nacquero dallo squadrismo, ma da una adesione entusiasta di milioni di italiani. La monarchia, ad un certo punto, fu essa stessa vittima della dittatura fascista.

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Certo, il re commise degli errori, anche gravi, come la firma apposta alle leggi razziali, ma gli storici che vogliono ricercare la verità tendono sempre a contestualizzare i fatti, rifiutandosi crocianamente di essere “giustizieri”.  La vera storia è sempre giustificatrice,  non nel senso di assolvere, ma nel senso di comprendere. Non si potrà tuttavia mai comprendere la storia italiana del XX secolo se non si porrà in una giusta dimensione anche il re che, in circostanze drammatiche, salvò due volte l’Italia : a Peschiera dove convinse gli alleati nel novembre 1917 sulla necessità di resistere sul Piave all’indomani di Caporetto e dopo l’8 settembre 1943, quando trasferì il governo in territorio non occupato da tedeschi ed alleati angloamericani, garantendo la continuità dello Stato. Ma ancor prima , il 25 luglio 1943 il ruolo del re fu determinante, anzi decisivo, per porre fine alla dittatura mussoliniana, un passo che consentì all’Italia di non finire totalmente distrutta nel massacro di  una guerra sbagliata di cui pure il re ebbe le sue responsabilità.  L’accusa verso di lui è quella di essere fuggito e certamente il modo in cui si trasferì a  Pescara non fu esemplare( e non consona con il re soldato che aveva condiviso il sacrificio delle trincee nella I Guerra mondiale), ma quella “fuga” consentì all’Italia di sopravvivere. Il comunista Antonello Trombadori lo riconobbe. Il re  compromise le sorti della dinastia, ma permise all’Italia di riprendersi con la costituzione del regno del Sud che consentì agli antifascisti di ritrovarsi dopo l’esilio all’estero e iniziare la loro battaglia per la repubblica.

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Vittorio Emanuele III divenne una sorta di capro espiatorio su cui scaricare la responsabilità di tutti. Francesco Carnelutti non esitò a parlare della dignità del re nell’affrontare la tragedia che stava vivendo. Dopo 70 anni è giunto il momento non di inveire, ma di capire, di valutare con una qualche serenità il passato. I primi, forse i peggiori insulti al re vennero dalla repubblica sociale di Mussolini
perché il re rappresentava un’altra Italia rispetto a quel disperato fanatismo fascista destinato alla catastrofe. Mio nonno mi disse che, alla notizia della morte del piccolo re , aveva pianto perché sentiva compiuto nel destino del re anche quello della sua generazione che aveva fatto la guerra. Anche l’allora giovane esule dalmata Lucio Thot ,il Mosè che guidò l’esodo forzato degli Italiani dell’Adriatico orientale, aveva pianto quando apprese della sua morte. Certo la storia non è piangere, ma non è neppure indignarsi, semmai è “intelligere”, come diceva Bacone. In questi giorni abbiamo invece colto che questo paese non è ancora maturo per comprendere la sua storia. A questo punto, si impone comunque anche  un altro passo avanti. Porre fine all’esilio, anche dopo la morte, dell’ultimo re, Umberto II, che visse con grande dignità e profonda sofferenza  la lontananza dall’Italia dal 1946 fino alla sua fine nel 1983.  Se vogliamo crescere come paese, andando oltre gli odi del passato, è opportuno pensare anche ad  Umberto che non ebbe le responsabilità di suo padre e che, come luogotenente del regno e quarto re d’Italia, seppe guardare ad un nuovo modello di monarchia: Luigi Barzini disse di lui che sarebbe stato un ottimo presidente della repubblica e gli stessi politici che decretarono la fine della monarchia nel giugno 1946   ebbero parole di rispetto per il nuovo re.

quaglieni@gmail.com

 

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