Una vita operaia

LIBRI / RILETTI PER VOI   Giuseppe Granelli, classe 1923 ( morto a novant’anni nel 2013), operaio colto dell’acciaieria Falck di Sesto San Giovanni, è il protagonista di questo libro-inchiesta di Giorgio Manzini. Cresciuto nel villaggio Falck divenne, grazie a “Una vita operaia”, emblema della condizione dei lavoratori metalmeccanici nell’Italia del secondo dopoguerra

“Una vita operaia”, scritto da Giorgio Manzini e pubblicato da Einaudi negli “Struzzi Società” nel 1976, non è certo un libro nuovo e nemmeno si può dire sia stato un bestseller anche se vendette parecchie copie. E’ però un libro importante e persino attuale. Giuseppe Granelli, classe 1923 ( morto a novant’anni nel dicembre di due anni fa ), operaio colto dell’acciaieria Falck di Sesto San Giovanni, è il protagonista di questo libro-inchiesta di Giorgio Manzini. Cresciuto nel villaggio Falck divenne, grazie a “Una vita operaia”, emblema della condizione dei lavoratori metalmeccanici nell’Italia del secondo dopoguerra. Manzini, giornalista e redattore di “Paese Sera” ( scomparso, a 61 anni, nel 1991)  interrogò a lungo Granelli, scelto tra decine di migliaia di operai  di Sesto San Giovanni perché era conosciuto come un sindacalista di fabbrica che non ha mai sgarrato e perché era una persona libera e intelligente. Una vita come tante, chiusa in un giro ristretto, ma anche investita “dai bagliori dei grandi avvenimenti politici”:la Resistenza, le illusioni del ’45, le difficoltà economiche del dopoguerra,la rottura del fronte operaio,la restaurazione, la caduta del mito di Stalin, la lenta riscossa sindacale.

Questo libro di Giorgio Manzini – saggio, inchiesta, romanzo vero – ripubblicato recentemente dall’Archivio del Lavoro, oggi assume un significato ancora più profondo perché racconta di un uomo – Giuseppe Granelli, il protagonista in carne e ossa – che per quarant’anni ha lavorato alla Falck di Sesto San Giovanni. La sua esistenza è stata quella della città dove ha vissuto, dagli stabilimenti dell’acciaieria al villaggio operaio al Rondò da dove partivano le grandi marce solidali. Storie che sono diventate una parte della nostra storia nazionale: un simbolo altalenante di conquiste, di sconfitte, di risalite, di cadute, un microcosmo che può rispecchiare la vita dell’intero Paese. La fabbrica amata e odiata – il pane, la fatica, il conflitto – non c’è più. I resti, certi resti, dei vecchi capannoni (Concordia, Unione, Vittoria: si chiamavano così i vecchi stabilimenti della Falck),le fonderie, i laboratori, il forno sono come ombre e fantasmi di un passato. Resta la memoria di “una vita operaia”, di quel Giuseppe Granelli che, una volta andato in pensione, diventò la “voce degli operai” e raccolse le biografie di quasi 490 sindacalisti della Fiom,militanti, semplici operai che avevano speso la vita in fabbriche come l’Alfa Romeo, la Falck, l’Innocenti, la Breda, la Pirelli, la Richard Ginori, la Magneti Marelli e tante altre di cui non ci si ricorda nemmeno più il nome. Un lavoro prezioso, certosino, cosciente che quelle “sue vite”, raccolte con la consueta pazienza, catalogate nell’Archivio del lavoro di Sesto, erano la sua eredità, la medaglie al valore che nessuno gli ha mai messo sul petto. Il padre di Granelli, Tone, aveva lavorato anche lui alla Falck Concordia per quarant’anni, manutentore al laminatoio. Giuseppe (detto Giuse, Tumìn, Granel) cominciò a faticare, ragazzo di fabbrica, a 14 anni, per 84 centesimi l’ora a portar l’olio, scopare i trucioli di ferro, allungare gli stracci ai compagni alla macchina. Manzini seppe fare di Granelli il simbolo di milioni di uomini di un passato ora morto e sepolto.

Questo libro appartiene, come ha scritto Corrado Stajano, “alla letteratura industriale”, quella dei Carlo Bernari, Ottiero Ottieri, Paolo Volponi, Primo Levi, Vittorio Sereni. Granelli, nel portafoglio, conservò per anni una fotografia di Stalin, per lui l’uomo della guerra patriottica, il vincitore delle armate naziste. Il XX Congresso del Pcus fu un trauma, la rivolta di Budapest un colpo al cuore. Granelli tenne sempre fede ai suoi principi di giustizia sociale: tolse dal portafoglio la foto di Stalin e non ne rimise altre. Amava il dubbio, il confronto. Aveva un grande rispetto per il sapere, era curioso, frequentò a Milano la Casa della Cultura diretta da Rossana Rossanda, era attratto dal fascino di Cesare Musatti e lesse i grandi libri della storia e della letteratura. Il libro di Manzini lo rese felice. Gli fece capire che una vita come la sua, simile a quella di infiniti altri, poteva  e doveva essere ricordata. Le ultime tre righe del libro raccontano la sua pazienza, la sua tenacia e la saggezza di quest’operaio che sapeva fare “i baffi alle mosche”: “ L’importante è continuare il rammendo, sostiene Granel, e avere fiducia. Se non si avesse fiducia si starebbe qui a diventar matti tutti i giorni?”. Manzini è morto da quasi venticinque anni. Anche Granelli non c’è più : è sepolto nel silenzio del cimitero del paese dei suoi genitori, a  Moio De’ Calvi, nella bergamasca. Rimane questo libro, “Una vita operaia”, troppo bello e troppo importante per non essere ripreso in mano, per leggerlo o rileggerlo.

 

Marco Travaglini

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