Villa Capriglio

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Castelli diroccati, ville dimenticate, piccole valli nascoste dall’ombra delle montagne, dove lo scrosciare delle acque si trasforma in un estenuante lamento confuso, sono ambientazioni perfette per fiabe e racconti fantastici, antri misteriosi in cui dame, cavalieri, fantasmi e strane creature possono vivere indisturbati, al confine tra la tradizione popolare e la voglia di fantasia. Questi luoghi a metà tra il reale e l’immaginario si trovano attorno a noi, appena oltre la frenesia delle nostre vite abitudinarie. Questa piccola raccolta di articoli vuole essere un pretesto per raccontare delle storie, un po’ di fantasia e un po’ reali, senza che venga chiarito il confine tra le due dimensioni; luoghi esistenti, fatti di mattoni, di sassi e di cemento, che, nel tentativo di resistere all’oblio, trasformano la propria fine in una storia che non si può sgretolare(ac)

3.Villa Capriglio

 

Ci sono vari tipi di storie, ci sono quelle che fanno ridere, quelle malinconiche, quelle che ti tengono con il fiato sospeso, quelle romantiche e ci sono quelle che suscitano paura. Queste ultime si volgono in antri spettrali, nelle notti più buie, quando la nebbia invade il mondo e il vento che scuote gli alberi li fa sembrare ombre in un sabba. È di questa categoria la storia di cui tratteremo oggi. Nel torinese, tra le nebbie quasi abituali presenti sulla strada del Traforo di Pino, si erge una villa che, nelle fredde notti di plenilunio, compie viaggi spazio-temporali, appare e scompare come in un magico gioco di prestigio: si tratta di Villa Capriglio, da alcuni conosciuta come la Villa Gialla, dato il colore delle mura. La villa ha in sé una storia antica e inquietante, che pare accompagnarla fin dalle prime origini. La sua costruzione risale agli inizi del 1700, su progetto di un collaboratore di Juvarra. Ebbe molti proprietari, passò da una famiglia all’altra come se in realtà essa stessa non volesse appartenere a nessuno. I primi possessori furono i Marchisio, che, nel 1746, vendettero l’immobile a Gianpaolo Melina, Duca di Capriglio, da cui la villa prese il nome. Essa venne in seguito acquistata nel 1793 dal Regio Demanio, e si coniò allora la battuta del suo passare “dal Demanio al Demonio”. Secondo il chiacchiericcio locale, fu proprio agli inizi dell’800 che l’architetto incaricato di ristrutturare l’edificio volle aggiungere dei sotterranei segreti, che confluivano in un’ampia sala pentagonale. Si racconta che egli praticasse riti satanici e che abbia addirittura convinto i proprietari dell’epoca ad unirsi a lui in tali cerimonie perverse. Sono di quegli anni numerose storie di belle e giovani fanciulle prelevate dalle campagne e poi fatte sparire nel nulla. I contadini evitavano di avvicinarsi all’abitazione e la additavano con sospetto e terrore.Nel 1838 la acquistò Antonio Callamaro, preside della Facoltà di Legge di Torino, il quale, nel 1878, la lasciò in eredità alla figlia, moglie dell’avvocato Edoardo Cattaneo. Dopo di loro la villa cadde in stato di abbandono, fino a quando, nel 1963, diventò proprietà del Comune di Torino che non se ne occupò fino al 1971. In quell’anno si verificarono atti vandalici che non poterono passare inosservati, tra cui l’ingiustificabile furto di una imponente statua di Ettore Bernardo Falconi. Perché il degrado non diventasse irrecuperabile, il Comune decise di procedere ai lavori di restauro, ma il tentativo di ripristino si rivelò una farsa. Proprio in quelle circostanze, alcuni operai scoprirono dei bizzarri cunicoli sotterranei, la funzione dei quali rimase indefinita, anche perché di lì a poco i lavori vennero bruscamente interrotti.

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L’ultimo tentativo di utilizzo della villa fu ad opera dell’associazione culturale “I Leonardi” che, al 1999 al 2009, organizzò all’interno dell’edificio eventi di vario genere. Anche questa volta il sito venne abbandonato in pochissimo tempo e con pochissime spiegazioni. Ad oggi Villa Capriglio è in vendita. È la villa stessa che dissuade ogni possibile acquirente? L’edificio è facile da raggiungere, spunta dietro l’ingarbugliata boscaglia che costeggia la strada del Pino come una abituale presenza. Mi trovo in compagnia di due amici, con i quali ho chiacchierato allegramente per tutto il tragitto fino a che non siamo arrivati alla meta: ci lasciamo dietro le spalle il nostro mondo ed entriamo in quello della Villa Gialla, le parole rimangono incastrate nei pochi rovi che dobbiamo superare per raggiungere il cortile. La giornata è leggermente calda, il cielo è terso e il sole illumina la casa di una luce eccessivamente diretta, sulla facciata principale i segni del tempo sembrano graffi di artigli. La villa è enorme, circa 1300 m2 che si espandono su due piani, tutto intorno vi è un cortile di quasi 2000 m2. La osservo con stupore e ho l’impressione che dalle finestre vuote la villa ricambi il mio sguardo. Fingo indifferenza, studio un’inquadratura con la mia reflex, ma, nel fare ciò, mi accorgo dello sbiadire dell’erba, così verde sotto i miei piedi e quasi bruciata vicino alle mura scrostate. Noto anche altri dettagli: nessun uccello decide di riposarsi sull’ampio tetto dell’edificio, nemmeno gli insetti osano avvicinarsi, su tutto grava un silenzio corposo, che immobilizza gli alberi e rende ovattato il rumore delle auto, che sfrecciano volutamente indifferenti, a pochi metri da noi. Ora, la villa pare sogghignare. Decidiamo di avvicinarci e di camminare lungo il perimetro esterno, alcune finestre sono state murate, altre si affacciano minacciose prive di balconi e adornate di vetri rotti, c’è un unico ingresso, al piano terra, un antro buio dal quale provengono degli sbuffi di aria fredda. Vicinissimo alla casa c’è un albero morto, nodoso, sembra un artiglio di qualche mostro che tenta di uscire dal terreno. Alle spalle dell’edificio il giardino continua ma poi si trasforma in uno stretto umido sentiero, i colori della natura si fanno più cupi e la sterpaglia si annoda ad oggetti che testimoniano il passaggio di altri visitatori, decisamente non educati come noi. Non c’è molto da vedere lì dietro e finiamo il giro velocemente, ritrovandoci al punto di partenza. Sono di nuovo davanti a quell’enorme casa vuota, che un tempo aveva accolto tra le sue mura balli, sfarzi, incontri segreti, dame e re, ma non posso dimenticare anche altre voci, ripugnanti, che raccontano di riti occulti e sanguinari. Mentre penso a quest’ultimo aspetto mi rendo conto del profondo senso di inquietudine che mi pervade. Il senso di disagio supera quello della curiosità, così propongo di andare via, i miei accompagnatori, però, non mi danno ascolto e si accingono ad entrare, io con uno scatto fulmineo li seguo: non voglio rimanere sola.

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L’interno è una grotta mistica quasi priva di illuminazione, l’aria è gelida, tanto da congelare anche l’eco dei nostri passi. Non c’è alcuna traccia dell’antico splendore, il pavimento è un agglomerato di sporcizie e rifiuti, le pareti sono del tutto scrostate ed imbrattate, i soffitti impregnati di umidità e consunti dall’abbandono. Un po’ di luce naturale riesce ad insinuarsi in quello che forse era il salone principale, ma su tutto prevale il buio cieco dell’ombra che inghiottisce le altre stanze. Arriviamo ad uno scalone che conduce al piano superiore, all’apice di esso una grande finestra, priva di balcone e a picco sul cortile, ed attraversata da impietosi raggi di sole. Una vecchia tenda bordeaux si sforza di rimanere impigliata in un angolo e mi fa pensare a un grumo di sangue rappreso. La luce taglia l’ombra di netto, si scontra con i gradini della scala e ne esalta la durezza del marmo. Alle pareti graffiti e parole di ogni genere sono l’attuale tappezzeria. Il primo piano è esattamente come quello appena visitato: spaventosamente disastrato. Di villa Capriglio ormai è rimasto solo lo scheletro. Decidiamo di ridiscendere ed è nel nostro viaggio a ritroso che storia si fa inquietante. Noto dei resti di candele in alcuni angoli, vicino a qualcosa che è stato bruciato. Mi stupisco di non essermene accorta prima. Qua e là ci sono molti resti di piccoli altari improvvisati: li seguiamo inconsciamente, come presi da un’improvvisa caccia al tesoro, fino ad arrivare ad un passaggio che prima nessuno di noi aveva notato. Capisco di trovarmi di fronte a tracce di un tetro passato che ancora perdura. All’improvviso un sordo rumore. È la casa che ci avvisa che non siamo più ospiti graditi, forse perché, come un’antica dama settecentesca, si deve preparare per il suo cadenzato viaggio nello spazio e nel tempo. Dopo tutto questa è una notte di luna piena.

 

Alessia Cagnotto

 

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