Un’amicizia crudele, un affetto negato, il desiderio di essere amata: la storia di Deborah

Una donna che ha conosciuto la sofferenza da piccola e da cui non è mai riuscita a scappare

Quando l’affetto diventa possesso, spesso, si trasforma in omicidio. Questa è la storia di una ragazza di appena vent’anni, Deborah. Una storia struggente e straziante, brutale e crudele. È la storia di tanti bambini, più di quanti, purtroppo, se ne immagini: trascurati, maltrattati, lasciati alla deriva. Il corpo di Deborah fu ritrovato senza vita un giorno di settembre, in una casa umile, in un quartiere periferico di Torino. Era l’anno 2006, di lì a pochi giorni, la ragazza avrebbe compiuto gli anni. Affianco al corpo quella che fu ritenuta immediatamente l’arma del delitto: un ferro da stiro. La gola tagliata.

deborah-polizia

E insieme a quella giovane vita, l’omicida si portò via anche quella di un bambino che la vita ancora doveva viverla. Deborah era incinta ed era al quinto mese di gravidanza. Pochi istanti d’ira e due anime innocenti svanite. Le mani sporche di sangue, sono le stesse mani che da anni accarezzavano il volto della vittima e che spesso sentivano il bambino calciare; sono le mani di Giulia: la migliore amica di Deborah. Ma cos’è successo la sera del 16 settembre in quell’appartamento tanto da indurre ad un gesto così immorale? La risposta a questa domanda è ancora cupa e nebbiosa nelle menti di chi ha seguito le indagini ed il processo; di sicuro, però, il passato di queste due giovani donne ci fornisce indizi non poco irrilevanti per poterci avvicinare il più possibile ad averla. Nello speciale proposto nel 2010 da “Amore Criminale”, trasmissione di Rai Tre, la ricostruzione dei fatti di quella tragica sera e delle storie di vita dei deborah-rossiprotagonisti, è davvero coinvolgente.

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Una madre/futura nonna distrutta per la perdita di una figlia il cui legame è da sempre stato in bilico, messo a dura prova dalla precarietà della vita e dalle scelte sbagliate, ma sempre forte e tenace. Una madre che racconta sua figlia. E questo racconto squarcerebbe l’animo anche di chi non conosce sensibilità. Chi era Deborah? Deborah è figlia di genitori separati e come spesso succede in questi casi contesa e sballottata. Deborah è una donna che ha conosciuto la sofferenza da piccola e da cui non è mai riuscita a scappare. All’età di quasi sei anni fu affidata al padre e allontanata dall’amore della madre. In questi anni imparerà cos’è la violenza, maltrattata e picchiata ripetutamente dalla compagna del padre fin quando, finalmente la madre riuscirà a riaverla con sé, salvandola da questo primo carnefice. Ma la nuvola grigia le seguirà ancora. In quel periodo la madre aveva cominciato una nuova relazione, dalla quale aveva avuto altre due bambine. Tutta la famiglia, compresa Deborah, decise di trasferirsi a Venaria in una casa fatiscente, ma potenzialmente bellissima, immersa in un giardino enorme in cui le bambine avrebbero potuto crescere a contatto con la natura. L’idea era di ristrutturarla, ma i soldi fin da subito mancavano.

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La casa splendida, era in realtà fredda perché senza riscaldamento, decadente. L’incubo ricominciò. Il compagno della madre trattava Deborah come una schiava; le faceva fare cose umilianti e degradanti, come ad esempio, svuotare la vasca delle anatre con la bocca. Questi soprusi divennero di giorno in giorno più accesi e sadici, tanto da indurre la ragazzina (all’epoca di più o meno 10 anni) a tentare il suicidio. Una bambina che aveva un futuro davanti a sé che non riconosceva, una bambina che a quell’età avrebbe dovuto guardare il mondo con gli occhi sognanti che solo l’infanzia ha, quella bambina decise di svuotare la boccetta di antidepressivi. Per cercare di tutelare la figlia, la madre decise di portarla in una comunità. Con la presenza di educatori esperti e lontana da quelle mura domestiche che le avevano portato solo vittorio piazzadistruzione, sua figlia poteva salvarsi. Ma non fu così. In quella comunità gli abusi diventarono più profondi e lesero ancora di più quell’animo fragile. Quattro ragazze la violentarono, ma Deborah reagì, raccontò tutto. Già allora era chiara la personalità di quella ragazza: una piccola “adulta” fragile, ma con una tenacia interiore che le permetteva di superare ogni ostacolo. Seguirono anni più felici, Deborah andò a vivere dai nonni all’Isola d’Elba, dove trascorse parte della sua adolescenza in tranquillità e serenità. Complice una vacanza estiva con la sua amata madre, a circa 17 anni decise di ritornare in quella casa a Venaria. Voleva essere forte, voleva aiutare la mamma ad emanciparsi da quell’uomo che la teneva stretta a sé in una morsa soffocante. La madre non aveva né un lavoro né tantomeno i soldi per sentirsi libera di scappare con le sue figlie e la sua primogenita decise di darle il suo aiuto. Cercarono entrambe un lavoro. Nel frattempo Deborah cominciò anche la scuola per diventare cuoca ed è proprio tra quei fornelli che conobbe la sua assassina. Giulia, personaggio controverso, manipolatrice, anaffettiva, sadica. Giulia è forte, una ragazza autonoma, proveniente da una famiglia medio borghese, da cui fugge spesso POLIZIA CROCETTAe in cui poi si rintana. Giulia non sa amare, Giulia possiede. È bramosa di emozioni, le cerca negli altri , nelle situazioni, nelle cose perché da sola è incapace di provarne. Deborah, da subito, fu del tutto dipendente da questa personalità così prorompente che l’ammaliava, manipolava la sua mente a suo piacimento. Cominciarono ad avere una vita al limite, si drogavano, frequentavano brutta gente, scomparivano per giorni e giorni. Giulia fu capace di farsi ospitare dall’amica e cominciare una relazione con il compagno della madre della ragazza sotto gli occhi di tutta la famiglia. Giulia usava le persone per sentirsi viva, ma teneva lei le redini di tutti i rapporti e nessuno era in grado di sottrarsi al suo volere.

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Deborah si sentiva però amata da questa donna così energica, così decisa nel prendersi ciò che desiderava. Si sentiva protetta, ma era completamente in balia di una mente perversa. Questa è la storia di due ragazze che a modo loro si volevano davvero bene. Questa è la storia che racconta come un bambino maltrattato continuerà ad esserlo tutta la vita se non si interrompe il ciclo. Questa è la storia di come il degrado della società chiude gli occhi di fronte a ciò che non può cambiare, o che ha paura di cambiare. È un caso di cronaca nera, sì. Abbiamo un corpo senza vita e tante persone che lo piangono, una donna in galera per vent’anni. Ma prima di tutto è “l’ennesimo caso che si ripete”. La storia di chi ha avuto solo calci dalla vita che cercherà conforto solo in chi sarà in grado di darle nuovi calci. Una coazione a ripetere inarrestabile. Perché si sceglie sempre ciò che si conosce. Una madre succube, una figlia bisognosa d’affetto, un carnefice mascherato da messia. Le vite delle due ragazze, nel periodo antecedente il triste giorno del delitto, si stavano pian piano separando. Deborah si era innamorata di un uomo, di cui sapeva ben poco, ma le bastava vedere la tenerezza con cui la trattava. Quell’uomo ben presto diventò suo marito e padre di quel bambino mai nato. Quell’uomo, però, gentile e amorevole, di notte spacciava stupefacenti e in un blitz della polizia venne arrestato, lasciando la giovane moglie incinta a dover badare a se stessa. Ma Deborah era forte e innamorata. Cominciò a lavorare tanto. In quella famiglia vedeva il suo riscatto. Suo figlio sarebbe cresciuto amato, con un padre che presto mole giardini2sarebbe tornato da loro. Giulia, nel frattempo, “possedeva” un ragazzo. Un certo Tony. Ingenuo e completamente inebriato da quella donna che “sa il fatto suo”. Una donna che lo “costringe”, manipolando la sua mente, a picchiare e derubare un fattorino delle pizze. Una coppia strana che si scambia regali d’amore ancora più strani: Tony regalerà a Giulia un coltellino a serramanico e lei regalerà a lui una mazza da baseball con un’incisione che inneggia alla violenza. E fu proprio la presenza di Tony a scatenare quell’ira impetuosa che portò all’uccisione di Deborah. Dai racconti a posteriori di quella sera, Tony dirà che Deborah provò a baciarlo e che probabilmente la vista di quella scena fece infuriare Giulia. Oppure la furia di Giulia nasceva dal fatto che l’amica stava prendendo la sua strada, e questa volta guidava da sola?

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Non si sa ancora cosa sia successo in quelle ore tragiche; i tre ragazzi avrebbero dovuto raggiungere degli amici ad una festa, era una sera tranquilla come tante altre. Giulia e Tony furono incastrati dalla “furbizia” della prima che, dopo aver ucciso con le proprie mani la sua migliore amica, ebbe la lucidità di spegnere e portare via con sé dalla scena del crimine il cellulare della vittima. Lo riaccenderà, poco dopo, nel tentativo di crearsi un alibi, ovvero mandare a quegli amici, che ormai li stavano aspettando da ore, un messaggio dal cellulare di Deborah in cui diceva che non sarebbe andata all’appuntamento, come avrebbe fatto una persona ancora viva. Ma fu proprio quella psicopatica lucidità ad incastrarla in quanto il cellulare della vittima, di nuovo acceso, risultava essere PO VITTORIO LUCIA GRANDEnello stesso luogo del cellulare di Giulia. Per quanto riguarda Tony, dopo una prima condanna di 19 anni e sei mesi, in Cassazione è stato definitivamente scagionato. Ho scelto di voler raccontare questa storia, più che per la lettura criminologica del caso, per la semplice e, allo stesso tempo, dura realtà che si porta dietro. I vissuti abbandonici, di abuso e di maltrattamento lasciano una scia inarrestabile di sofferenza. La vera sfida del nostro secolo deve essere l’interruzione di questa catena di terrore. Se la madre di Deborah avesse avuto più aiuti economici da parte dei Servizi addetti, se ci fosse attiva sul territorio una rete di supporto alle donne in difficoltà, donne fragili e bisognose di affetto , se ci fossero scuole preparate a fronteggiare il drop out scolastico, se ci fosse più informazione, se ci fosse più comprensione, se ci fosse una visione d’insieme…Fortunatamente qualcosa si sta muovendo e giorno dopo giorno questa dura lotta ha sempre più voce. Una voce sempre più acuta, sempre più alta. È la voce di Deborah e di tutte le donne come lei.

Teresa De Magistris

 

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