Un dialogo su fotografia e identità fra esperienze diverse

Bosnia-Erzegovina e Cambogia. Proiezione del documentario “Hidden photos” di Davide Grotta

L’evento è organizzato da Camera – Centro Italiano per la Fotografia, Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea Giorgio Agosti, Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà, Centro Internazionale di Studi Primo Levi. E’ stato promosso su iniziativa della Fondazione Alexander Langer Stiftung e reso possibile dal sostegno dell’Ufficio Affari di Gabinetto della Provincia Autonoma di Bolzano.

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L’incontro vuole essere un’occasione di confronto sul rapporto fra identità e immagine in due paesi postconflitto. A dialogare saranno tre giovani ospiti: Kim Hak, cambogiano, insieme a Žarko Zekić e Bekir Halilović, bosniaci di Srebrenica. Modererà l’incontro Peppino Ortoleva, docente di Storia dei media all’Università di Torino.

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Bekir Halilović e Žarko Zekić, di 21 e 27 anni, sono membri dell’Associazione Adopt Srebrenica, un gruppo misto di giovani serbi e bosgnacchi, che da anni lavora per ricucire il tessuto sociale strappato dalla guerra e dal genocidio del ʼ95. Fra le altre sue attività, Adopt Srebrenica sta costituendo un centro di documentazione che raccoglie fotografie e materiale risalente al periodo precedente alla guerra nella ex Iugoslavia, con lo scopo di preservarlo e di farne uno strumento per sanare il conflitto di rappresentazioni e racconti ancora oggi molto forte in Bosnia-Erzegovina.

Kim Hak è un giovane fotografo cambogiano di 34 anni, che pone al centro del proprio lavoro la riflessione sulla storia del suo paese e l’immaginario che essa oggi produce. Con il progetto “Alive” ha esplorato il suo mondo familiare, attraverso le fotografie che la madre ha salvato dalla distruzione operata dal regime degli khmer rossi. Ha ricevuto numerosi premi ed è tra i fotografi cambogiani emergenti più noti a livello internazionale.Hak, Bekir e Žarko provengono da luoghi molto distanti tra loro, ma accomunati nel passato recente dall’annientamento di parti consistenti della popolazione dei rispettivi paesi di origine. A Srebrenica il genocidio del 1995 provocò la morte di oltre 8000 uomini bosgnacchi (musulmani di Bosnia) a opera delle milizie serbo-bosniache. In Cambogia il processo di epurazione distruttrice imposto del regime degli khmer rossi causò, negli anni ’70 del secolo scorso, la morte di quasi 2 milioni di persone. In realtà come quella bosniaca o quella cambogiana, il ruolo della fotografia si amplifica: essa diviene uno strumento cruciale per mantenere viva la memoria dei propri cari perduti o per raccogliere storie sulla vita quotidiana prima della cesura rappresentata dalla guerra. Ma non solo. Soprattutto le fotografie conservano spesso preziose tracce delle relazioni positive che, prima dei conflitti, esistevano fra le persone. Sono proprio le storie dei luoghi e le relazioni tra le persone che gli ospiti del prossimo incontro, pur in modo diverso, cercano di recuperare usando la fotografia come veicolo di riscoperta e di narrazione. In particolare, essi si chiedono come quelle storie possano essere di aiuto per abbattere i muri che ancora creano divisioni insormontabili nelle loro  rispettive società. Nel mondo di oggi, dove abbiamo la sensazione di essere “bombardati” dalle immagini, non c’è mai veramente il tempo per chiederci quanto proprio queste stesse immagini servano a plasmare l’idea che abbiamo di noi, degli altri e del mondo circostante; o che cosa, se esse dovessero un giorno venire a mancare, perderemmo irrimediabilmente. Nell’incontro del 5 dicembre potremo ragionare su questi interrogativi, a partire dalle esperienze dei giovani ospiti che, con il loro lavoro, cercano di migliorare il futuro dei propri luoghi di origine.Nel corso dell’incontro verrà proiettato il documentario “Hidden Photos”, ZeLIG Film, 2016, per la regia di Davide Grotta. Il film è stato di recente presentato al Torino Film Festival. Kim Hak, giovane fotografo cambogiano, è alla ricerca di un immaginario per il suo paese che superi il cliché iconografico legato all’Angkor Wat o ai khmer rossi. Nhem En, anziano fotografo del regime, autore di circa 14.000 fototessere di prigionieri politici destinati a morte certa, sta invece progettando il proprio ingresso nel business del dark tourism, la moda di visitare luoghi in passato teatro di tragedie e violenze.  Quale immagine proporre, dunque, di un paese e della sua storia?

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