Torino a tutta cultura, la stagione delle grandi mostre: alla Gam è arrivato Claude Monet

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Dopo Raffaello alla Venaria, un altro evento culturale di prestigio:  dalle collezioni del Musée d’Orsay” fino al 31 gennaio 2016, all’ombra della Mole esposti più di 40 capolavori del maestro francese

 

“Seguo la natura senza poterla afferrare: questo fiume scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente”. A dirlo era Claude Monet; ma le sue tele raccontano un’altra storia e lui fu un maestro  nell’ afferrare “l’impossibile” della natura, di scorci di città, scene en plein air, marine, paesaggi campestri, ritratti. Dal 2 ottobre non occorre volare fino a Parigi per constatare di persona la grandezza di uno dei padri dell’Impressionismo, perché la GAM di Torino ospita (fino al 31 gennaio 2016) un’eccezionale rassegna monografica, con capolavori provenienti dalle Collezioni del Musée d’Orsay. Come per le passate mostre subalpine dedicate a Degas (nel 2012) e Renoir (nel 2013) strategica è stata la partnership tra la Galleria Civica di Arte Moderna e Contemporanea di Torino ed il Museo parigino: ed ecco un allestimento unico, curato dal Presidente del Musée d’Orsay, Guy Cogeval, dall’esperto Xavier Rey e dalla Conservatrice della GAM, Virginia Bertone.

 

All’ombra della Mole arrivano più di 40 capolavori, alcuni mai presentati prima in Italia; come il frammento centrale del famosissimo “Le déjuner sur l’herbe”, con cui Monet rispose, ma rese anche il suo personalissimo omaggio, a Eduard Manet (che tanto scalpore aveva creato nel 1863 con “Colazione sull’erba”). L’Impressionismo è oggi uno dei movimenti artistici più famosi ed amati dal pubblico; ma agli esordi fece non poca fatica per affermarsi. Era un movimento rivoluzionario per modernità dei temi, linguaggio pittorico, tagli compositivi, impiego di colori “nuovi” chimici (disprezzati dall’Accademia) e l’interpretazione della realtà come soggettiva percezione di un momento. Claude Monet ne incarnò lo spirito.

 

-Nasce il 14 novembre 1840 a Parigi (secondogenito di un droghiere); ma è a Le Havre (dove la famiglia si trasferisce) che, appena15enne, inizia a disegnare ritratti e caricature a matita o a carboncino. Ancora non sa che il destino sta per fargli incrociare uno dei precursori (meno noti, ma di sorprendente attualità) dell’Impressionismo. E’ il paesaggista Eugène Boudin: dipinge scorci di mondo ed ama soprattutto le marine. In un negozio di cornici nota una serie di caricature, si informa sull’autore e scopre il giovane Claude. Gli insegna a dipingere vedute en plein air, lo incita a sviluppare il suo talento e lo spinge verso Parigi; dove nel 1859, Monet trova tutti gli stimoli di cui ha bisogno. Studia, frequenta altri artisti (della levatura di Pissarro, Sisley e Renoir) e lega soprattutto con Bazille con cui apre il suo primo atelier.

 

-Nel 1874 è tra i promotori della prima esposizione collettiva della “Société anonyme des artistes”, e proprio dal titolo del suo “Impression: soleil levant” nasce il termine Impressionista.

 

Il pubblico (più che altro) è incuriosito dall’incomprensibile novità delle opere; mentre la critica ufficiale commenta con ferocia e marca la distanza siderale tra il nuovo gruppo e gli ambienti accademici. Nonostante stroncature ed insuccesso, di fatto, inizia così la storia “ufficiale” del movimento di cui Monet porterà sempre avanti le istanze: con coerenza e a dispetto delle difficoltà (economiche) e dei lutti (due volte vedovo) che la vita gli metterà davanti. C’è una pagina delle sue alterne vicende proprio dietro “Le déjuner sur l’herbe”, in cui ritrae un gruppo di figure all’ombra di un grande albero; concentrandosi su effetti di luce, giochi dei raggi di sole che si infiltrano tra i rami per depositarsi sulla tovaglia, gli abiti e il prato. Tela di dimensioni monumentali (600x400cm), iniziata tra1865-66 e mai finita. Monet la lasciò in pegno al suo affittacamere, che l’abbandonò in cantina. Anni dopo riuscì a recuperarla, conservandone 3 frammenti; di cui 2 al Musée d’Orsay, il 3° andato perduto.

 

-Negli anni seguenti riprende il motivo del celebre quadro dedicato alla moglie Camille “Donne in giardino”. Solo che questa volta vuole dipingere interamente en plein air; date le dimensioni dell’opera (255 x205 cm) sembra un’impresa impossibile. Ma lui scava un fosso in cui far scorrere la tela, per dipingere all’aperto anche la parte superiore. E il quadro segna un punto di non ritorno nella sua carriera. Da allora le sue opere parlano sempre più di ciò che ama e della sua visione dell’arte.  Raccontano la sua attrazione per l’acqua; tanto che, per catturarne l’essenza e la sfuggente mutevolezza, si farà costruire una barca-atelier, con cui scivolare lungo la Senna, sempre dipingendo. Nascono così le vedute e gli studi dei riflessi della luce sull’acqua ad Argenteuil. Poi c’è la ricerca di punti di vista inusuali; come quando per le vedute cittadine sale sui balconi e guarda Parigi dall’alto (un po’ come il fotografo Nadar dalla sua mongolfiera) e cattura il brulichio della gente in capolavori come “La rue Montorgueil a Paris: fête du 30 juin 1878”.

 

-Dopo una crisi personale nel 1879 (anno di dubbi, segnato dalla morte della moglie), riprende quella che definì la sua ricerca“dell’impossibile”. Si risposa con Alice Hoschedé e ne ritrae la figlia Suzanne in tele di luce e colore come “Donna con l’ombrello verso destra” (1886); inaugura un periodo di viaggi (alla costante ricerca di suggestioni pittoriche, in giro per l’Europa) e finisce per eleggere sua casa e punto di riferimento, Giverny, in Normandia. E’ lì che realizza il sogno del “giardino acquatico”: uno stagno costellato di ninfee e fonte d’ispirazione. Anche se quasi completamente cieco, dipingerà fino all’anno della sua morte, il 6 dicembre 1926, ucciso da un tumore al polmone.

 

L’allestimento alla GAM racconta magnificamente l’iperbole dell’artista, compresa l’ultima parte della sua produzione. Lo fa con capolavori assoluti come “Les villas à Bordighera” (1884) in  cui Monet racconta il suo soggiorno nella Riviera Ligure con un’esplosione di colori, o con le tele che rimandano a quello a Vétheuil; il ritratto a figura intera di “Madame Louis Joachim Gaudibert”; la resa della neve su cui spicca “La gazza”; le straordinarie versioni della cattedrale di Rouen.  Giusto per citare almeno alcune delle tante tele esposte, che avvolgono il visitatore in un turbinio di pennellate, luminosità e gamme cromatiche modernissime. Raccontano la grandezza di Monet, la sua capacità di catturare sulla tela gli effetti mutevoli di cielo, terra, acqua, e persino atmosfera; come quando dipinge il medesimo porto all’alba e poi al tramonto.

 

E ci riportano alle righe dello scrittore Guy de Maupassant che, ad Etretat, raccontava così il prodigio:“Ho osservato Claude Monet in cerca di impressioni: non era più un pittore, ma un cacciatore… Seguiva ogni mutamento del cielo e aspettava, spiava il sole e le ombre, catturava con qualche colpo di pennello il raggio o la nube vagante e rapidamente li trasferiva sulla tela. L’ho visto cogliere una cascata scintillante di luce sulla scogliera bianca e fissarla con un profluvio di toni gialli che rendevano il sorprendente effetto di quell’impalpabile, abbagliante fulgore. Un’altra volta prese a piene mani un temporale abbattutosi sul mare e lo gettò sulla tela. Ed era pioggia vera quella che dipingeva in quel modo, null’altro che pioggia”.

 

Laura Goria

 

Credits:

 

  • Régates à Argenteuil (1872) olio su tela; 48×75,3 cm; inv. RF 2778 2.(id 8) Monet 2. Paris, Musée d’Orsay © RMN-Grand Palais (musée d’Orsay) / Patrice Schmidt

 

  • Madame Louis Joachim Gaudibert (1868) olio su tela; 216,5×138,5 cm; inv. RF 1951 20 10. Paris, Musée d’Orsay © RMN-Grand Palais (musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski

 

  •  Le déjeuner sur l’herbe (entre 1865 et 1866) olio su tela; 248,7×218 cm; inv. RF 1987 12 9. Paris, Musée d’Orsay © RMN-Grand Palais (musée d’Orsay) / Benoît Touchard

 

 

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