Torino e la moda

di Paolo Pietro Biancone*

 

La moda italiana di oggi è nata a Torino. Nasce, infatti, dagli Atelier Reali di Torino, famosi per lavorare sia cotone sia seta per la famiglia reale e per le famiglie più influenti dell’epoca. Diventando Torino capitale del Regno d’Italia, la moda sabauda spopola nel resto d’Italia, dovuto ai continui boicot verso le aziende di Napoli, nascono così le prime vere case di moda Torinesi. La consacrazione come la “capitale della moda” in Italia avviene all’Expo del 1911 e Torino resterà fino alla seconda Guerra Mondiale la sede di una produzione che è stata una delle componenti più rilevanti nel panorama del mondo del lavoro e della realtà economica e commerciale della Città. Sorgono, dunque, in questo periodo i grandi atelier, che fanno di Torino una vera e propria capitale della moda, seconda solo a Parigi, dalla quale si importano i modelli. Più che originalità, le griffe torinesi possiedono un’eccezionale abilità artigianale e realizzano abiti su misura dal gusto raffinato per la ricca clientela di tutta Italia.

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A primeggiare nel contesto del ’900 della moda torinese è stato il Gft (il Gruppo Finanziario Tessile), un colosso industriale torinese (con antiche radici biellesi che risalgono agli anni ’70 del XIX sec. in storici lanifici). Tra le due guerre mondiali, Gft fatturava più della Fiat: Marus, Facis, Cori erano alcuni dei marchi che appartenevano a quel gruppo che arrivò ad avere oltre 8.000 addetti solo in Italia, 35 società, 18 stabilimenti, di cui 5 all’estero.

Con l’arrivo della guerra furono molti gli artigiani a emigrare preferendo altre città e solo con la fine del conflitto mondiale si riprese la produzione. La città di Torino vide la nascita della Prima fiera campionaria italiana e riprese le attività, anche se non più con lo stesso vigore del periodo precedente. Con l’arrivo della crisi petrolifera il sistema della moda cittadina crolla, spostando la propria attenzione verso la nuova capitale della moda, Milano, arrivando all’apice del successo durante gli anni ’90 del Novecento. In passato l’industria della moda era comunemente considerata come un piccolo sottosettore dell’industria del vestiario. Moda era l’haute couture o il design di élite, mentre la produzione di massa non era inclusa fra gli elementi che la costituivano.

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Oggi la moda non è più di esclusivo appannaggio delle classi elitarie europee o nordamericane, sia perché la capacità di spesa della classe media dei Paesi in via di sviluppo è fortemente aumentata, sia perché anche l’industria di massa ha subito un processo di culturalizzazione, in cui è stata la produzione simbolica, oltre all’efficienza produttiva in termini di costi, ad acquisire importanza. Il carattere simbolico dell’alta moda si è esteso alla gran parte della produzione di vestiario, cambiando quindi in maniera radicale l’industria della moda e il campo di analisi della stessa. L’area di Torino e del Torinese, pur non potendo più vantare lontani primati, conserva – non solo sul piano occupazionale – un peso assolutamente non trascurabile nel comparto tessile-abbigliamento, con imprese anche di eccellenza e rilevanza internazionale e con un’offerta prevalente di livello medio e medioalto. L’esperienza nel campo della moda attuale si fortifica se si considerano le aree distrettuali del Piemonte: Alba, Biella, Novara, per citarne alcune. La sfida nella moda è l’innovazione. E Torino si candida come sede per l’innovazione nella moda anche per il tessile: la chiave del successo per il futuro potrebbe essere da ritrovare nell’eccellenza di un made in Italy la cui qualità è anche sinonimo di principi etici. Da qui il modest fashion e la moda islamica.

 

*Direttore dell’Osservatorio sulla Finanza Islamica dell’Università di Torino

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