Senza sponda

AIME1AIME2Decine, centinaia di migliaia di migranti; migliaia di esistenze travolte dalle onde del mare o spezzate dalla fatica sulle sabbie dei deserti. Profughi in viaggio per raggiungere una parte del mondo che sognavano e speravano migliore, una sponda dove credevano di essere accolti

 

Le chiamano “vite senza sponda“: sono quelle dei migranti che cercano rifugio in Europa, entrando dalle “porte” in Grecia e da noi, in fuga da bombardamenti e carestie, da cambi di regime, guerre e povertà, violenze tribali e l’ombra nera del Califfato. In fuga dagli incubi, che si tratti della Nigeria di Boko Haram, della Libia in preda all’instabilità politica, dell’Egitto sconvolto dalle conseguenze dolorose della sua “primavera” mancata o della Siria in balia dell’Isis. Decine, centinaia di migliaia di migranti; migliaia di esistenze travolte dalle onde del mare o spezzate dalla fatica sulle sabbie dei deserti. Profughi in viaggio per raggiungere una parte del mondo che sognavano e speravano migliore, una sponda dove credevano di essere accolti. Ma le cose non sono andate così e così, nei fatti dolorosi di ogni giorno, non accade. In un’Italia dalla memoria troppo corta, che dimentica spesso e volentieri il suo stesso passato di migrazione, è facile identificare nei profughi dei nuovi barbari, colpevoli di invadere le nostre coste per impoverirle, se non per depredarle. Eppure il più grande esodo della storia moderna è stato il nostro,  quello degli Italiani. A partire dal 1861 sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze. Si trattò di una migrazione di massa che toccò tutte le regioni italiane.

 

Tra il 1876 e il 1900 l’esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole la metà dell’intero contingente migratorio: il Veneto il Friuli Venezia Giulia e il Piemonte. Poi, nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali. Dunque, una reazione diversa sarebbe possibile, proprio ricordando le nostre radici: imparando ad accogliere umanamente chi cerca rifugio sulle sponde italiane, per non cadere in quella che papa Francesco a Lampedusa ha chiamato “globalizzazione dell’indifferenza“. È ciò che propone lo scrittore e studioso Marco Aime con il suo libro “Senza sponda. Perché l’Italia non è più una terra d’accoglienza”. Un pamphlet, agile e provocatorio, che getta una luce nuova sui casi più tragici della nostra attualità grazie agli strumenti dell’antropologia, indagando tra il “noi” ed il “loro”, tra italiani e stranieri. Le osservazioni taglienti di Aime ci mostrano che le uniche frontiere davvero invalicabili sono quelle radicate nelle nostre menti.

 

La costruzione della nazione, con la definizione di caratteri etnici unificanti e principi morali condivisi, è avvertita come un’imposizione estranea, che spinge alla diffidenza verso ogni confronto. ”Non siamo capaci di pensare agli altri come nostri simili, ci chiudiamo nel recinto della cittadinanza, dell’identità, della pauradenuncia il padre dell’antropologia italiana. Una più o meno presunta appartenenza culturale diventa un motivo valido per escludere, per nascondere quel razzismo e quella xenofobia che non nascono tanto da un conflitto di interessi tra “noi” e gli “altri”, ma dalla proiezione delle nostre angosce sociali, delle nostre paure. Senza cittadinanza non c’è democrazia. E così, democraticamente, escludiamo gli stranieri. Non pensando che anche noi abbiamo percorso le strade del mondo in cerca di un angolo migliore dove vivere o almeno sopravvivere.

Marco Travaglini

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