Le rime migranti

POZZI LIBROIl tratto distintivo di queste composizioni è rappresentato dall’uso della lingua e di quello che, volgarmente, viene definito dialetto ma che – a ben guardare – , essendo “una varietà della lingua”, ne ha la stessa dignità, trasmette emozioni e calore, traduce i sentimenti in parole spesso più appropriate di quanto possano fare le lingue ufficiali

 

Le rime migranti” di Paolo Pozzi –  poeta, studioso di culture ed espressioni dialettali – sono raccolte in un piccolo, minuscolo e prezioso libricino di cento pagine che  si può definire, non a torto, un “breviario poetico”. Il tratto distintivo di queste composizioni è rappresentato dall’uso della lingua e di quello che, volgarmente, viene definito dialetto ma che – a ben guardare – , essendo “una varietà della lingua”, ne ha la stessa dignità, trasmette emozioni e calore, traduce i sentimenti in parole spesso più appropriate di quanto possano fare le lingue ufficiali.  Del resto, come dice il famoso linguista americano Noam Chomsky, le lingue “sono dialetti con un esercito, una marina e una bandiera”. Paolo Pozzi  usa le “varietà dellaconvento 2 chiesa suore lingua” che ben conosce con garbo e maestria, sia quella “bosina” – che svela la radice paterna, legata al territorio della provincia di Varese – che quelle friulane e istriane, rispettivamente della madre e della moglie, frutto del pluralismo linguistico che si trova sulla linea del confine orientale, dove la tradizione mitteleuropea sfuma nei Balcani.

 

Lì si toccano due mondi: l’Occidente, dove la verità è adeguamento della cosa all’intelletto; e l’Oriente, dove la verità è ciò che sembra che la cosa sia. Con un velo di malinconia perché, come ha scritto Paolo Rumiz, “in Europa l’Oriente non c’è più, l’hanno bombardato a Sarajevo, espulso dal nostro immaginario, poi l’hanno rimpiazzato con un freddo monosillabo astronomico: ‘Est’. Ma l’Oriente era un portale che schiudeva mondi nuovi, l’Est è un reticolato che esclude”. Nella poesia di Paolo Pozzi non c’è nulla di freddo, non esistono reti diverse da quelle dei pescatori e l’acqua salata dell’Adriatico si mescola con quella dolce del Maggiore.  Nella silloge “Le rime migranti” prendono corpo le atmosfere del Verbano, dove sente “l’acqua che sciaborda contro i sassi” ( vive a Brisino, sopra Stresa, dove si può spaziare con lo sguardo sul lago Maggiore) e dei monti che lo circondano ( “come stirate dalle dita del vento, delle nuvole grigie si strappano sulle cime della Val Grande”), così come quelle della Varese d’antan, della “dolce e aspra” Istria e del mare che ama (“Non si può solo camminare sulla riva per capire cosa vuol dire Mare! Ma con l’impeto di un’onda che ti spinge a vele tese, prova a navigare..”). L’amore – per Marisa, la moglie – è declamato un po’ ovunque, quasi fosse il lievito dell’impasto dei suoi pensieri, e così anche per la natura, sia che si presenti come l’immagine del cielo , sotto le spoglie di uno stelo di acetosella o nelle foglie che, sottovento, girano su se stesse in vortice, “macinate dalla tramontana”.

 

convento 1 chiesaStupendo il parallelo tracciato nelle due poesie intitolate “controvento” – una in dialetto bosino, l’altra in friulano – dedicate al Convento delle Romite Ambrosiane sulla cima del Sacromonte di Varese (“Erta e dritta, alta sul bastione una croce di ferro antico,battuto e arricciolato, par che ti inviti a cercare Dio e a fermarsi:non è tempo sprecato..”) e al Convento sull’isola di San Francesco del Deserto, nella Laguna di Venezia ( “Una croce ti aspetta sulla riva fatta di legno, antico a tarlato, pare che ti invogli a cercar Dio e a fermarsi..non è tempo buttato”). Ci sono anche riflessioni sociali, immagini d’attualità sull’Europa e sul dramma dei migranti – segno di una sensibilità ricca, profonda, mai banale – in questo peregrinare tra le brume e le nebbie del lago e l’ombra del campanile “dritto e aguzzo” di Pinguente (la croata Buzet di oggi, che fu sede del potere veneziano in Istria). Da quel paese d’origine, la moglie – con la madre, due fratelli e tre sorelle – dovette emigrare durante il dramma dell’esodo forzato degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia. Grazie ai consigli per “facilitare la lettura del dialetto bosino”, Paolo Pozzi invita non solo  a leggere questo prezioso “breviario poetico” ma a farlo ad alta voce perché – come scrive nell’introduzione Silvia Metzeltin – “la poesia dialettale, anche scritta, si può decifrare più facilmente con il ricorso dell’oralità, alla lettura a voce alta o sommessa”.

 

Marco Travaglini

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