Quelli che non piangono se Torino perde le Olimpiadi

di Rivarol
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Ma davvero vogliamo credere alla favoletta che Torino potrebbe perdere le Olimpiadi per l’opposizione di quattro-cinque consiglieri comunali, peraltro istantaneamente sostituibili con altrettanti dell’opposizione pronti a votare a favore? È possibile per una volta lasciare da parte comode ipocrisie e riconoscere il significato di atteggiamenti tiepidi, posizioni contraddittorie e gesti autolesionisti, apparentemente inspiegabili, intorno alla candidatura della nostra città? Se Torino dovesse perdere le Olimpiadi (esito per il quale ci stiamo apparentemente impegnando molto), molti attori in questa partita non si dispererebbero. Alcuni sarebbero anzi sollevati, altri persino contenti.Partiamo dal Sindaco Appendino: si dica quel che si vuole, ma se ci tenesse davvero, avrebbe mille modi per superare l’opposizione di una piccola minoranza bizzosa. Magari non portandosi il marito alle riunioni, ma facendosi forza del via libera ricevuto sia da Grillo che da Di Maio. Accettando qualche voto dell’opposizione, se necessario, presentandosi come il primo cittadino che mette l’interesse di Torino davanti alle beghe di partito o ai suoi personali problemi di carriera o – come si dice oggi – di “life balance”. Il fatto è che Chiara è la prima, in fondo, a non dispiacersi troppo se Torino perde la corsa. Bisogna capirla: in fatto di eventi non gliene riesce una. Passa dal disastro di piazza San Carlo all’edizione “chiusa” degli ex-fuochi di san Giovanni, da un eccesso all’altro. Con che coraggio se la potrebbe sentire di gestire due mesi intensi di un evento ad alto contenuto tecnico e ad alto rischio, con i riflettori di tutto il mondo puntati sul suo operato?  Quando non riesci a organizzare un maxischermo senza provocare una tragedia o un mercatino di Natale senza dare lavoro alla Guardia di Finanza, alla fine è un fatto di prudenza sottrarsi alle Olimpiadi.Un altro che non piangerebbe è Giovanni Malagò, presidente del Coni: fresco di interrogatorio sulla vicenda dello stadio della Roma, ha una storia di rapporti “complicati” con le sindache grilline e certamente sarebbe più a suo agio a lavorare con un uomo “di sistema” come Beppe Sala, sindaco di Milano. Assecondato, in questo, dai due azionisti del governo: Salvini, perchè la Lega mantiene la testa a Milano e proprio qui il ministro dell’Interno progetta di fare bottino, smantellando l’ultima ridotta di Forza Italia; Di Maio, perché le Olimpiadi sono del tutto estranee agli interessi del suo blocco elettorale meridionale e, anzi, creerebbero attriti con l’ala movimentista, fornendo occasioni ai suoi rivali (Di Battista e Roberto Fico, che accessoriamente ricopre la terza carica dello Stato) per andare all’attacco su ogni minimo scandalo, autentico e presunto. Non piangerebbero, se Torino perdesse le Olimpiadi, alcune associazioni di categoria nazionale che ostentano patriottica neutralità, ma i cui rappresentanti martellano giorno e notte parlamentari ed esponenti del Governo a favore di Milano. E non piangerebbero nemmeno nelle province piemontesi del turismo internazionale (Laghi e Langhe) perché, grazie anche allo snobismo provinciale della classe dirigente torinese (non escluso, in questo caso, neppure Chiamparino), che non ha saputo né voluto fare sistema fuori dall’area metropolitana, ormai gli operatori – inclusi albergatori e ristoratori e relativi indotti, si sono integrati in circuiti consolidati con base a Milano. Non si tratta di un complotto: è che, a differenza del 2006, la candidatura di Torino parte debole, per una varietà di ragioni. Tra tutte, la più importante è che i protagonisti o non ci credono o remano contro. Di fatto, l’unica vera carta che ci resta  è la preferenza del Cio per le città con impianti esistenti e una cultura dei Giochi stabilita. Ecco perchè qualcuno, per eliminare il rischio residuo che il Comitato alla fine scelga Torino (malgrado Coni, governo e categorie), ha pensato bene di sparare sui piedi a un campione già azzoppato.
 
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