Quale sicurezza nell’anestesia cardiochirurgica?

Le linee guida in tutto il mondo sottolineano come l’anestesia volatile (o inalatoria) sia preferibile rispetto a quella di tipo intravenoso per i suoi effetti cardioprotettivi nelle operazioni cardiochirurgiche, come il bypass aortocoronarico

 

Uno studio multicentrico, pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale The New England Journal of Medicine, dimostra, invece, che non c’è alcuna differenza tra i due tipi di anestesia dal punto di vista della sicurezza. La ricerca, condotta in 36 Centri e 13 Paesi con un coinvolgimento di 5.400 pazienti, è stata coordinata da medici e ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele coadiuvati dalla Città della Salute di Torino, in particolare dal professor Giovanni Landoni, referente Ricerca Clinica in Anestesia e Rianimazione Chirurgica del San Raffaele, e dal professor Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazione Cardiochirurgica, referente Aree Cliniche del San Raffaele, e dal professor Luca Brazzi, Direttore Anestesia e Rianimazione universitaria ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. Per numero di Centri e pazienti coinvolti, la ricerca è uno dei più grandi studi anestesiologici mai condottiOggi l’anestesia è indispensabile per qualsiasi tipo di intervento chirurgico, in quanto permette ai pazienti di essere sottoposti ad operazioni ed altre procedure più o meno invasive senza provare dolore, oltre a proteggere l’organismo dall’intervento stesso. Molti progressi della chirurgia dipendono dagli sviluppi della moderna anestesia, senza la quale, per esempio, non sarebbe possibile effettuare interventi cardiochirurgici maggiori, le cosiddette “operazioni a cuore aperto”. Ricerche pre-cliniche e meta-analisi negli anni hanno suggerito di preferire, negli interventi al cuore, l’anestesia inalatoria rispetto a quella intravenosa per le sue conseguenze farmacologiche positive, come la riduzione di infarto miocardico o gli effetti cardioprotettivi sulle cellule stesse. Tuttavia, fino ad oggi non esistevano studi consistenti che dimostrassero delle reali differenze nelle conseguenze cliniche tra anestesia intravenosa e volatile nei pazienti sottoposti a questo tipo di operazioni.La ricerca condotta dai medici e ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e della Città della Salute di Torino, in collaborazione con ospedali di tutto il mondo – dal Brasile alla Malesia, dall’Arabia Saudita all’Australia – ha voluto verificare l’effettiva differenza tra i due tipi di anestesia generale nelle operazioni di bypass aortocoronarico, monitorando la mortalità ad un anno dei pazienti ed eventuali reazioni avverse all’anestesia. “Abbiamo scelto di focalizzarci sull’intervento di bypass aortocoronarico perché si è dimostrato essere un ottimo modello per vedere gli effetti dell’anestesia, oltre che uno degli interventi maggiori più frequenti – conta infatti circa un milione di interventi l’anno”, affermano Giovanni Landoni, primo nome dello studio, e Luca Brazzi. Dal 2014 al 2017 sono stati reclutati 5.400 pazienti – un numero particolarmente ampio per ricerche di questo tipo – successivamente divisi in due gruppi in modo randomizzato: un gruppo è stato trattato con anestesia volatile e l’altro con anestesia intravenosa. Monitoraggi successivi non hanno mostrato alcuna differenza significativa nelle conseguenze cliniche post-operazione. Anestesia volatile e intravenosa sono, quindi, ugualmente sicure. “Siamo molto orgogliosi del risultato ottenuto perché, oltre a rassicurare medici e pazienti, ciò significa che già nell’immediato sarà possibile ridurre i costi dell’anestesia in ogni Paese: dal momento che i risultati sono del tutto comparabili, saranno i Paesi stessi a decidere se preferire un’anestesia rispetto all’altra a seconda dei costi che questa comporta nei singoli paesi”, affermano Landoni e Brazzi. Lo studio, oltre ad essere uno dei più grandi studi anestesiologici mai condotti, è un esempio di ricerca clinica indipendente e collaborativa, promossa e realizzata grazie a finanziamenti ricevuti dal Ministero della Salute.

I risultati dello studio verranno presentati a Brussels il 19-22 marzo durante la 39esima edizione del congresso ISICEM (International Symposium on Intensive Care and Emergency Medicine), il più importante in questo campo, con oltre 11.000 partecipanti.

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