Marco Gastini alla Galleria “Persano”

A pochi mesi dalla scomparsa la mostra ricorda il pittore torinese, fra i grandi dell’arte contemporanea italiana

Una ventina di opere inedite, quasi tutte di grandi dimensioni, e una nutrita raccolta di “maquettes”. E’ un omaggio dovuto, quello che Giorgio Persano dedica fino al prossimo 14 maggio, negli ampi spazi della torinese Galleria di via Principessa Clotilde, a Marco Gastini, nato a Torino nel 1938 e a Torino scomparso il 28 settembre del 2018. La mostra era stata infatti concordata da tempo fra lo stesso pittore e l’amico gallerista che oggi concretizza l’idea ripercorrendo, attraverso l’esposizione di opere fortemente significative, l’avventura artistica di uno dei più grandi e “instancabili” ed estrosi (di quell’estrosità coi piedi ben piantati a terra che guarda sempre alla concretezza del mestiere) artisti italiani del secondo Dopoguerra. Dagli anni ’70 ad oggi. Alle spalle – ma mai del tutto dimenticata – l’esperienza informale e gli impulsi ansiogeni anziché no del post-informale (dall’Arte Povera allo Spazialismo di Fontana via via fino al Minimalismo occhieggiante ai Paolini ai Griffa così come ai Castellani), gli anni rappresentati in mostra alla “Persano” sono quelli legati al periodo “analitico” di Gastini – la tela bianca, il “poverismo” cromatico e segnico, il gesto di esile incisività – e a seguire, in moti di andata e ritorno inaspettati e improvvisi, gli anni prepotentemente attratti dall’esplosione della materia (dal legno al ferro al carbone alle terrecotte o all’ardesia) “graffiata” dall’irrequietezza di un colore (il suo amato “blu” soprattutto) che pare condurre l’opera all’invasione e al recupero degli spazi esterni. Sono pagine, sempre, di profonda emozione, espressione passionale di una grande creatività appartenuta a un grande giocoliere dell’arte che ha saputo cavalcare con piena levità e senza imbarazzo alcuno le grandi scuole del Contemporaneo, restando sempre fedele a un’indipendenza di stile e d’intelletto che risiedeva soprattutto, come ebbe a scrivere qualche anno fa Marcella Beccaria “nel rigore – direi quasi nell’orgoglio – con cui ha sempre pensato a sé stesso come a un ‘pittore’, scegliendo di continuare a stare dalla parte della pittura anche in anni caratterizzati da un dilagante rifiuto culturale della stessa, come teoria e come pratica”. Attenzione, però: “Pittura che non dev’essere – annotava lo stesso Gastini– catalogabile, che deve sbilanciare per essere vera e che deve sfuggire alle intenzioni, anche alle mie”. Arte in bilico. Perennemente. Arte che non sai mai se abbia appieno esaurito le sue trame o, al contrario, sia solo agli inizi del gioco narrativo. Pittura che vive di movimento e precarietà come nel monumentale “Il sogno respira nell’aire” (1988), una sorta di geniale poderosa pitto-scultura (in cui, come in altre opere, ritorna quell’antico gusto del fare, respirato e assimilato fin da ragazzo nel laboratorio da marmista del padre) esposta per la prima volta in una galleria, carica di impasti cromatici che con violenza aggrediscono il precario (all’apparenza) assemblaggio di carbone, legno e lamiera di ferro, dove i cerchi possono diventare ruote e tracimare e invadere in un baleno l’area d’intorno. Dell’87, è invece “Mentre ancora la polvere muove”: quattro lamiere di rame, gravate dall’opaco nerofumo che pare appena posato sulla superficie luminosa del metallo, e su cui l’artista graffia e incide forme di casuale e semplificata astrazione, che rimandano alla magica primordiale gestualità della pittura rupestre. Materia e ancora materia. Accanto alle tele bianche o madreperlacee di fine anni ’70, sintesi di ricerca fra segno, spazio e “azzeramento cromatico” con quel bianco “che non è mai vuoto”, diceva Gastini; o ancora – e sono le ultime lasciateci dall’artista – tele datate 2018, appena appena sfiorate da leggeri tratti di carboncino o solcate da vigorose geometrie di colore (forme e silhouettes indecifrabili, a volte misteriche) o da ardesie che frantumano i piani, “feriscono e accrescono la materia”. Di grande interesse infine le “maquettes”, portate in rassegna e che Gastini abitualmente realizzava come progetti (ben saldi e concreti, quelli per la Banca d’Alba del 2010) o in forma autonoma, scelte per meglio comprendere lo sviluppo del suo lavoro negli anni. “Un percorso – sottolinea Giorgio Persano – che ci conduce in un viaggio nel tempo e che intende trasmettere, dell’artista e dell’amico, un ricordo vivo e aperto al futuro”.

Gianni Milani

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Marco Gastini
Galleria “Giorgio Persano”, via Principessa Clotilde 45, Torino; tel. 011/835527 o www.giorgiopersano.org
Fino al 14 maggio
Orari: mart. – sab. 10/13 e 15,30/19 
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Photo Pino dell’Aquila – Courtesy Galleria Giorgio Persano

– “Il sogno respira nell’aire”, tecnica mista, carbone, legno e lamiera di ferro su legno, 1988
– “Mentre ancora la polvere muove”, tecnica mista, carbone e legno su rame, 1987
– “Senza titolo”, tecnica mista, carta e terracotta su tela, 2018
– “Senza titolo B”, acrilici, pearl white, conté, grafite e pastelli su tela, 1978

 

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