Lui è Renato Fiacchini, in arte Renato Zero

C’è un brano al quale sono particolarmente legata, fa parte dell’album Cattura pubblicato nel 2003 da un artista che non sono solita seguire molto. Lui è Renato Fiacchini, in arte Renato Zero. Istrionico, provocatore, trascinatore, ha scritto più di 500 canzoni affrontando tematiche di tutti i tipi davvero. Con quasi 50 milioni di dischi venduti è tra gli artisti italiani che hanno venduto il maggior numero di dischi ed è l’unico ad aver raggiunto il primo posto nelle classifiche italiane ufficiali di vendita in cinque decenni consecutivi. All’inizio della sua carriera la frase che si sente ripetere più sovente è: ”sei uno zero”, e vorrei esserlo io uno zero come lui. Nell’atmosfera dei tardi anni sessanta, che si sta impercettibilmente spostando dalla ingenua fase del beat all’impegno politico, Renato è ancora alla ricerca di un’identità. Sarà nei primi anni settanta, con lo sviluppo completo del glam rock, caratterizzato da cipria e paillettes, che potrà proporre senza problemi il suo personaggio. Questo personaggio provocatorio ed alternativo verrà raccontato in pezzi come Mi vendo e nell’intero album Zerofobia, da Morire qui a La trappola, da L’ambulanza al brano-emblema della filosofia zeriana, Il cielo. Ma in Cattura, molti anni dopo, in quell’album, c’è una traccia che io amo alla follia: Magari. Magari mi entra nelle ossa, per la sua malinconica incertezza. Una voce narrante. Una nostalgia totalizzante. Dettagli di un caffè mai preparato. Complimenti mai realizzati. Un amore che non è potuto sbocciare. Un amore che non è potuto essere. Una speranza contraria e disperata per un amore che non sarà mai: “Mi amerai mai?” Magari. Magari toccasse a me prendermi cura dei giorni tuoi, svegliarti con un caffè e dirti che non invecchi mai, sciogliere i nodi dentro di te le più ostinate malinconie…magari. Amatevi, non vivete di magari, non fateli morire certi amori, vi renderanno felici. Magari non  ve ne pentirete.

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Chiara De Carlo
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