Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Borghezio condannato a risarcire l’ex ministra  Kienge Nicoletta Casiraghi, una grande donna liberale Cenare tranquilli d’estate a Torino è diventato difficile Le Province dopo il referendum bisogna tornare a renderle  operative Il presidente Boeti a Bastia rende onore a Mauri Il cazzeggio salottiero nei circoli,le cattedre democratiche senza predella

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Xenofobia
L’on. leghista rivolese Mario Borghezio è stato condannato a risarcire l’ex ministra dell’integrazione Kienge con 50mila  euro per “insulti razzisti”. La frase che avrebbe pronunciato riguarderebbe gli africani che “appartengono ad un’etnia diversa dalla nostra “ e la Kienge che ,facendo il medico,avrebbe avuto un posto in una Asl che “sarebbe stato tolto a qualche medico italiano”:Frasi molto diverse da quelle davvero offensive dell’ex ministro Calderoli che giunse a paragonare la Kienge ad un orango. Il PM sostenne che il senso complessivo delle frasi di Borghezio  avessero un fondo razzista e xenofobo.Il giudice ha riconosciuto a Borghezio le attenuanti generiche.Cécile Kienge  è persona arrogante e presuntuosa, d rei decisamente antipatica, al di là delle sue origini congolesi. E non si è rivelata un buon ministro. Questa è l’unica critica che tiene. Avvitarsi su discorsi che riguardano il colore della pelle o la religione professata è sempre sbagliato. Questa le lezione che viene dalla sentenza.Borghezio è sempre stato politicamente scorretto e spesso si è lasciato andare,lui avvocato, a giudizi e a proclami che vanno  ben oltre la legittima  propaganda e la polemica  politica. Appare comprensibile  che l’ex ministra  si sia rivolta al giudice. Ripeto,il suo operato va valutato politicamente e il giudizio nei suoi confronti non può non essere negativo.

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Nicoletta Casiraghi 

Fu la prima donna in Italia ad essere eletta presidente di una provincia,quella di Torino, nel 1985. L’unica liberale donna che abbia avuto un riconoscimento importante. Il Pli fu sempre un partito maschilista.Un piccolo partito rissoso che nel 1993 ebbe una fine ingloriosa:un vero 8 settembre con tanto di fuga da parte dei suoi dirigenti. Zanone definiva Vittorio Emanuele III “il re fellone”,ma verso i suoi amici liberali che liquidarono con lui  il partito ,pur di tentare di riciclarsi in qualche modo,non ha mai espresso un giudizio adeguato e non ha mai formulato una riflessione sulla fine del partito  che fu di Cavour e di Giolitti e ,purtroppo, anche di tante mediocrità .  A Nicoletta ,dopo l’esperienza in Provincia, venne impedita l’elezione al Consiglio regionale. Ricordo le volgarità maschiliste  sparse in giro contro di lei  da attempati notabili liberali che rivelarono il livello infimo di una correntomachia  interna vergognosa.Il Pli era via via diventato anche un partito di clientele. Casiraghi che operò come presidente tra due presidenti socialisti ( Maccari e Ricca ), aveva saputo agire con determinazione,coraggio,limpida onestà,pur in un quadro politico traballante.  Il marito di Nicoletta,dopo la  sua morte,ebbe il coraggio di fare nomi e cognomi di coloro che furono i killer del partito liberale ,dopo aver avuto onori e prebende non trascurabili che consentirono loro di occupare alcuni vertici molto importanti. I liberali si autoaffondarono in maniera indecente anche a Torino,non solo a causa degli scandali di alcuni loro esponenti.Essi,di fronte alla candidatura di Valentino Castellani, che fu il sindaco migliore del centro-sinistra, mandarono al massacro Bepi Dondona  che capeggiava la lista liberale per favorire,non richiesti, Castellani. Nicoletta mantenne ferme le sue posizioni  liberali,facendo scelte comunque disinteressate e in linea con i suoi principi liberali. Lei rimane nella storia del liberalismo italiano come figura importante  di quello piemontese:quello di Brosio,di Badini Confalonieri,di Villabruna, di Zini Lamberti, di Jona,di Zignoli,di Alpino e di Catella. Nella rissosa Gioventù liberale dove io diciassettenne esordii pieno di entusiasmo  lei  fu l’unica persona equilibrata,onesta,non invischiata nelle beghe.Antonio Patuelli,che era stato segretario nazionale della GLI, venne a ricordarla con me  nel 2011, a pochi mesi dalla sua morte, mettendo in evidenza la sua straordinaria,sfortunata testimonianza.

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Cene d’estate a Torino 
Era bello cenare d’estate a Torino nei molti locali che preparano all’aperto. Oggi in parte non lo è più. Musicisti improvvisati si danno il cambio e richiedono con insistenza un’offerta. La loro non è neppure una musica piacevole,anzi impedisce, se si è con amici, di parlare in tranquillità.  Per non dire delle questue e dei venditori ambulanti che insistono per ottenere qualcosa, dicendo di bambini senza pane o addirittura senza  medicine. Viviamo in una crisi devastante e nessuno può pensare ad isole felici. Ma la misura è davvero colma. Piazza Vittorio e piazza Carignano sono le più prese d’assalto. Ed anche i ristoranti si sono spesso allineati alla crisi e i loro menu sono poveri di offerte allettanti. Manca sovente  la creatività e insieme la fedeltà alla tradizione. Prevale il ronzìo della quotidianità,quello che si vorrebbe evitare andando a cena fuori casa. Com’erano diversi i tempi quando da Pavia (non ancora pizzeria), in precollina, c’era il futuro critico Angelo Mistrangelo che mi preparava gli spaghetti alla siciliana fatti alla lampada. Com’era diverso quando tanti torinesi si trovavano sulla terrazza della “Pigna d’oro “ di Pino a godere dell’ottima cucina e del fresco della collina. Alcuni miei amici ci andavano d’estate con l’amica, quando la moglie era al mare, illudendosi di passare inosservati. Oggi sarebbe impossibile perché le macchine fotografiche dei telefonini non ti lascerebbero scampo… Resta comunque  meglio scegliere l’aria condizionata e stare dentro i locali o spingersi decisamente fuori porta, non solo se si è in piacevole compagnia “non ufficiale “. Anche la collina  torinese ,così ricca di bei locali, offre poche chanches davvero meritevoli di segnalazione.   

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Le Province non cancellate 
Tutti dicevano che esse andavano abolite, poi il referendum del 4 dicembre le ha confermate come ha rimesso in gioco il CNEL,organismo di cui nessuno ,se non i suoi componenti, sente la necessità . Con una scelta affrettata sono state costituite le città metropolitane che stentano a trovare la loro strada, anche perché i finanziamenti a loro disposizione sono molto esigui anche le se incombenze loro affidate sono evidenti a tutti. E’ chiaro  che le Province hanno un ruolo non surrogabile  e che svolgono ,o meglio, dovrebbero svolgere una funzione che appare indispensabile. L’idea di Ugo La Malfa  che già tanti anni fa voleva abolirle, si è rivelata errata. Semmai andrebbero ripensate le regioni sulle quali Malagodi scrisse delle riflessioni  critiche che andrebbero rilette. Anche le “macroregioni”  di Gianfranco Miglio ,un giurista stimato da Bobbio, andrebbero riprese almeno come spunto di riflessione. Ma soprattutto le Provincie non posso restare a bagno maria in attesa che qualcuno pensi a come farle funzionare. 

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Il Sacrario di Mauri  e il presidente Boeti
A Bastia di Mondovì esiste un sacrario partigiano, inaugurato nel 1947 e costruito per iniziativa del comandante Enrico Martini Mauri, medaglia d’oro al V.M. per dare degna sepoltura ai mille caduti delle Divisioni Alpine Autonome. E’ un sacrario non adeguatamente ricordato persino dal sito del Comune di Bastia. Per molti gli azzurri di Mauri sono partigiani di serie B ,forse solo perché vollero definirsi volontari della Libertà, un’espressione usata ,per altri versi, anche da Piero Calalamandrei  Per anni vennero considerati tout -court dei badogliani. Il Vicepresidente del Consiglio Regionale del Piemonte e presidente del Comitato Resistenza Costituzione della Regione è andato sabato scorso a rendere onore a quei Caduti  e ha tenuto un discorso di alto livello morale e storico, rendendo l’omaggio dovuto a Mauri  ai suoi 11 mila Volontari e ai suoi mille Caduti. Nel suo discorso tra l’altro ha detto :”Quei militari furono alla base dell’unità della Resistenza  che vide coagularsi intorno al desiderio di libertà  e di democrazia  uomini dell’esercito , contadini, artigiani, operai, medici, sacerdoti “.Il riferimento conclusivo del discorso al terrorismo  internazionale che “semina morte e terrore” ci appare molto importante: “Com’è successo con i nazisti, le nazioni civili debbono far fronte  comune contro questa follia che dev’essere sradicata, per restituire un mondo nel quale sia piacevole vivere e costruire il proprio futuro”. Era il discorso che i cittadini, i reduci e i parenti dei Caduti  attendevano ascoltare.

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LETTERE   scrivere a quaglieni@gmail.com

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L’ho ascoltata venerdì alla festa per i 170 del circolo degli Artisti di Torino. Ho visto il disagio dei relatori nel salire su un’alta pedana e parlare seduti senza avere la possibilità di avere vicino a sé un appoggio o la possibilità di bere un po’ d’acqua. Questa moda di togliere il tavolo nei convegni mi sembra stupida.

Maura Fossati

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Io ormai mi sono dovuto abituare perché spesso mi trovo a parlare in queste condizioni. Certo è impossibile leggere una citazione, per non dire bere un goccio d’acqua : il tavolino era ad un metro e mezzo da dov’ero io. Sono d’accordo con lei, mi sembra una moda stupida, volta a copiare il salotto televisivo. Ma, a volte, come nel caso del 170° del Circolo degli Artisti, non ci si poteva limitare al solito “cazzeggio” , si dovevano fare discorsi di altro tipo. Ed ho notato il disagio di molti. Chi organizza un convegno o una conferenza deve fornire ai relatori, oltre ad un buon microfono, gli strumenti necessari per dare al pubblico il meglio. L’idea nata nel circolo di via Bogino sembra però aver attecchito anche altrove, per dare un’idea meno formale all’evento. Anche Luciano Violante una volta sentì il disagio di non poter appoggiare i libri che doveva citare.  E’ un po’ come quando vennero abolite le predelle sotto le cattedre che servivano per avere uno sguardo d’insieme sugli allievi a cui si tiene lezione. Una sorta di cattedra democratica in base all’assioma che allievo e professore devono essere uguali. All’Università vennero ripristinate perché il buon senso lo imponeva. Non è che quindici centimetri di pedana in meno favorissero rapporti migliori con gli studenti. Ci fu anche chi volle rapporti partitari e si fece dare del tu dagli studenti. Asinerie tardo -sessantottine prive di ogni logica. 

pfq

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