Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Il Tar del Lazio lascia in carica Pagella Twitter, il cinguettio che diventa urlo, la riflessione di una giovane studiosa   I due Gianni, lo storico controcorrente Oliva e l’avvocato e politico d’altri tempi  Oberto  L’elogio della cravatta  tra eleganza e rispetto istituzionale 

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Il Tar non ha toccato Enrica Pagella
La sentenza del Tar del Lazio che annulla le nomine di cinque direttori di Musei italiani su 20,
fa sicuramente discutere, come fecero discutere le nomine del ministro Franceschini in base ad un concorso che è stato considerato dal Tar non conforme alle norme vigenti.  La sentenza riguarda solo alcuni direttori perché solo due concorrenti scartati si sono rivolti al Tar, potremmo dire hanno avuto il coraggio di presentare un ricorso. Sicuramente aveva ragione Vittorio Sgarbi ad esprimere perplessità su questo concorso molto “privatizzato”, svoltosi a porte chiuse o addirittura in parte via Skipe. A costo di apparire un bastian contrario, continuo a pensare che i concorsi debbano essere pubblici e trasparenti. La sentenza del Tar pone infatti in evidenza dei criteri valutativi non accettabili a termini di legge.  Enrica Pagella, già presidente della Fondazione Torino Musei, che dal 2003 era direttore di Palazzo Madama e Borgo medievale, non è stata toccata dalla sentenza. Nel caso di Torino non era stata seguita la “linea straniera” e non erano stati umiliati i dirigenti di carriera, ma venne applicato il criterio “tradizionale”.E i buoni risultati si sono visti. Ovviamente nessuno discute di per sé le scelte di Franceschini, ma la forma-mi insegnava Mario Allara- nel diritto, è sostanza.

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Twitter come pietre?

Scriveva il torinese Carlo Levi che <<le parole sono pietre>>. Una vecchia frase degli anni immediatamente successivi alla fine della II guerra mondiale ed in effetti, allora, nel clima infuocato del dopoguerra italiano, le parole erano non solo pietre.Il “triangolo della morte” lo sta a testimoniare. Anche l’apolitico padre di Nicola Matteucci venne ammazzato per il solo fatto di essere un possidente. Un’analoga sorte era toccata al padre del filosofo torinese Vittorio Mathieu, ammazzato con la moglie da partigiani garibaldini nell’agosto 1944. Un incontro questa settimana con una giovane e colta docente torinese mi ha reso consapevole che la virulenza dei linguaggi sui social ,in particolare su Twitter, fa pensare a vere e proprie pietre scagliate attraverso la rete. L’obbligo della sintesi trasforma il pensiero in azione,riducendo al minimo il pensiero che si snatura in slogan. Viene a mancare il confronto delle idee e la politica si manifesta in modo primordiale ed insieme modernissimo. Io avevo sempre pensato che la tolleranza, senza se e senza ma, per tutte le idee dovesse sempre essere la stella polare di un laico. Solo di fronte alle azioni, in particolare a certe azioni, non ci poteva essere tolleranza. Idee e azioni avevano due diversi metri valutativi. Facevo un’eccezione per l’infame manifesto degli oltre 800 intellettuali che armarono la mano agli assassini del commissario Calabresi. La giovane docente mi ha ricordato che già durante la Grande Guerra molti intellettuali si lanciarono nell’uso di un linguaggio violento in cui la parola diventava un proiettile da scagliare contro il nemico. E mi ha anche fatto rilevare che il mio discorso finiva di privare la parola di parte del suo effettivo valore. Lo stringato e pacato manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce del 1925 non fu solo un documento scritto, ma animò l’impegno di molti. Osservazione ineccepibile. In effetti oggi il cinguettio di Twitter è solo apparentemente un cinguettio. Spesso diventa un urlo feroce, un incitamento all’odio e alla violenza.

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Il  nuovo coraggioso libro di Oliva
 Gianni Oliva è noto al vasto pubblico dei lettori per i suoi libri coraggiosi sulle foibe, sull’esodo giuliano- dalmata, sui Savoia, su Umberto II, sull’Esercito. Tutti temi che uno studioso di sinistra  non dovrebbe considerare degni di attenzione se non per  scrivere critiche spesso astiose o riservare silenzi  conditi di disprezzo. Oliva è uno dei pochi storici seri che la storiografia italiana abbia oggi.  L’ultimo libro dal  titolo “Combattere. Dagli arditi ai marò, storia dei corpi speciali” non passerà inosservato. Prevedo già alcune critiche aprioristiche e faziose che quasi sicuramente verranno espresse ,anche se il modo per liquidare chi dissente da noi è oggi la condanna del silenzio, della non recensione, del non invito in TV. Penso che sarà difficile mettere il silenziatore sullo scomodo libro di Oliva che ripercorre in modo lineare una storia che meritava di essere raccontata senza apriorismi faziosi. Gli arditi ,i marò, i paracadutisti ,la “Folgore” apparivano come i simboli dell’Italia fascista e guerrafondaia, incompatibile con l’art. 11 della Costituzione  in cui la guerra viene ripudiata.  I paracadutisti appiedati che resistono fino alla morte nel deserto africano di El Alamein  erano appannaggio dei nostalgici. Oliva ripercorre la loro storia, ricordando l’eroismo di quei soldati caduti a cui solo il Presidente Ciampi ebbe il coraggio di rendere omaggio. Ma dal libro viene fuori anche la storia della X Mas del principe Borghese, dei marinai che violarono il porto di Alessandria . L’autore parla di Luigi Durand de La Penne, di Teseo Tesei e di Elios Toschi, ma prima ancora di  Luigi Rizzo e della Beffa di  Buccari  nella I Guerra Mondiale e persino di Italo Balbo e di Giuseppe Bottai ,arditi nella Grande Guerra ,poi fascisti di primissimo piano. E’ un libro che non si può sintetizzare e che merita di essere letto. Fa onore ad Oliva l’averlo scritto ,diventa un dovere di un lettore che vuole informarsi sulla storia italiana leggerlo. Sicuramente è un libro che darà uno scossone alle vulgate.

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Gianni Oberto e il comune amore per Gozzano

Bello il nuovo tascabile di Palazzo Lascaris dedicato a Gianni Oberto Tarena, Presidente del Consiglio regionale e della Giunta regionale del Piemonte nel corso della I legislatura costituente, dopo essere stato Presidente della Provincia di Torino. La definizione di “disinteressato galantuomo” che costituisce il titolo di un paragrafo del libretto ,appare davvero calzante. Piemontese, avvocato, pubblicista, politico, uomo di grande cultura umanistica e giuridica, Oberto è stato un protagonista rimasto un po’ in ombra. Ingiustamente in ombra. Il Consiglio regionale gli dedicò un centro culturale che lavora in simbiosi con la biblioteca della Regione. Cattolico convinto, era anche un uomo aperto, potremmo dire un cattolico liberale, molto amico di Vado Fusi che me lo fece conoscere poco tempo prima di morire. Lo ricordo come un uomo molto cortese, riservato, direi “vecchio Piemonte “. Amava il suo Canavese profondamente, Ivrea faceva parte del suo DNA. Ricordo un altro incontro con lui insieme a Silvio Geuna che era stato rinchiuso nel carcere eporediese dopo la condanna all’ergastolo nel processo dell’aprile 1944 nel quale venne condannato a morte il generale Perotti. Più che di politica o di Resistenza, parlammo di Guido Gozzano e del “Meleto” di Agliè. Mi citò qualche verso a memoria. Io gli risposi con altri versi. Il nostro rapporto nacque nel nome di Gozzano. Raro, quasi eccezionale esempio di politico, specie democristiano. Per altri versi, già nel 1967 il Presidente della Repubblica Saragat ho la aveva insignito della medaglia d’oro dei benemeriti della scuola,della cultura e dell’arte.

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LETTERE –  scrivere a quaglieni@gmail.com

Lei scrisse tempo fa un elogio della cravatta .Come giudica i politici senza cravatta ed in jeans ,anche in cerimonie pubbliche ? A me sembra una mancanza di rispetto.

Gabriella Uberto

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La cravatta per me è un segno di eleganza, ma anche di rispetto. Le cravatte mi piacciono e ne ho una vasta collezione. Quando faccio un evento importante ne indosso una nuova che mi ricordi quell’evento. Da Marinella a Napoli sono di casa da molti anni. Ci andavano già mio nonno e mio padre. Longanesi , che scrisse che non portare la cravatta era un segno di indipendenza dai vincoli borghesi, è quasi sempre ritratto con la cravatta. Anche Togliatti portava la cravatta e anche il doppiopetto. Magari sono convenzioni, ma in Occidente sono convenzioni consolidate. Sergio Marchionne che si presenta al Quirinale con il solito maglioncino, è fuori posto come lo è Massimiliano Fuksas – progettista del grattacielo della Regione Piemonte- con la maglietta nera in ogni occasione. Ci sono anche politici in maniche di camicia. Diede il cattivo esempio Craxi quando al Palacongressi di Bari parlò, dopo essersi tolto la giacca per il caldo soffocante. Io mi sentirei di chiedere almeno a chi rappresenta le Istituzioni di sottoporsi al sacrificio di indossare giacca e cravatta. Enzo Ghigo, presidente della Regione per un decennio, era sempre inappuntabile come Aldo Viglione .Il via la cravatta e dentro i jeans, come è stato scritto, è un modo errato di voler assomigliare ai cittadini. I cittadini pretendono ben altro da chi eleggono .Se fossero bravi e onesti amministratori, il loro abbigliamento potrebbe passare in secondo piano ma ,quando un Sindaco o un Assessore indossano la fascia tricolore, devono avere l’abbigliamento adatto. Senza eccezioni.

pfq

 

 

 

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