La lezione dei Walser

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Da questa straordinaria storia si possono trarre ancora oggi utili insegnamenti per la tutela del territorio, il rispetto dei delicati equilibri della montagna, la promozione di uno sviluppo turistico ordinato, rispettoso della natura e del paesaggio, l’attenzione a non sfruttare oltre misura le risorse di un’area limitata

Inospitali, misteriose, ricettacolo di luoghi paurosi da evitare. In passato le montagne non furono ritenute abitabili oltre certi limiti. Lo storico romano Tacito le definì “Infames frigoribus Alpes”, considerando le Alpi un ostacolo al commercio ed al passaggio degli eserciti. Ne passò del tempo fino ad arrivare a poco prima dell’anno Mille quando, nell’Alto Vallese, nell’attuale Svizzera, iniziò la colonizzazione delle alte quote, la conquista della montagna da parte del contadino medioevale nel periodo in cui tutti aspettavano la fine del mondo. Protagonisti principali furono i Walser (il nome deriva da una contrazione di Walliser, vallesano) discendenti di un popolo “alemanno”, penetrato nell’alto medioevo a ridosso delle Alpi centrali. Acclimatati alle grandi altitudini dell’alto Vallese, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, i Walser colonizzarono le zone più elevate delle Alpi ed in particolare le valli intorno al Monte Rosa, dando vita alle comunità d’Alagna, Gressoney, Issime, Rimella, Rima, Macugnaga e Ornavasso. Un’altra spinta migratoria portò, attraverso il Passo del Gries, alla conquista della Val Formazza (Pomattal), da dove fu poi raggiunto Bosco Gurin, nell’elvetico Canton Ticino. Questi coloni, arroccati e isolati nell’aspro ambiente dell’alta montagna, programmarono e realizzarono la vasta opera di bonifica di zone a quei tempi perlopiù disabitate, creando villaggi autosufficienti in grado di sopravvivere ai rigori di lunghi inverni. I prodotti del loro lavoro erano soprattutto di tipo caseario: il latte, il burro e il formaggio, provenienti dagli allevamenti bovini degli alpeggi. Poi fu realizzata la “Alpwirtschaft”, un’economia che consisté nell’unire agricoltura e allevamento. Da questa straordinaria storia si possono trarre ancora oggi utili insegnamenti per la tutela del territorio, il rispetto dei delicati equilibri della montagna, la promozione di uno sviluppo turistico ordinato, rispettoso della natura e del paesaggio, l’attenzione a non sfruttare oltre misura le risorse di un’area limitata. Averne cura non solo è un dovere ma è anche un fattore strategico per lo sviluppo economico e turistico delle “terre alte”. L’abate valdostano Aimé Gorret, nella seconda metà dell’Ottocento scriveva: “Un viaggiatore che parta per la montagna lo fa perché cerca la montagna, e credo che rimarrebbe assai contrariato se vi trovasse la città che ha appena lasciato”. Parole sagge delle quali tener conto.

Marco Travaglini

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