La partecipazione popolare nelle società sportive

“La soluzione di molti problemi per  il Toro, e per lo sport in genere, sarebbe quella di far nuovamente entrare, a pieno titolo, la gente appassionata nella gestione della società e del fenomeno sportivo”

In vista del convegno che l’Associazione ToroMio ha organizzato il 2 dicembre prossimo, presso l’ Aula Jona del Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino, in corso Unione Sovietica 218 bis, per la presentazione di un disegno di legge che promuove la partecipazione popolare nelle società sportive, abbiamo raggiunto l’Avvocato Massimiliano Romiti, Presidente di ToroMio.

Cos’è ToroMio?

Si tratta di un gruppo di tifosi del Torino che ha pensato che la soluzione di molti problemi per la loro squadra del cuore, il Toro, e per lo sport in genere, sarebbe quella di far nuovamente entrare, a pieno titolo, la gente appassionata nella gestione della società e del fenomeno sportivo che tanto appunto le appassiona, dal momento poi che proprio sulla passione sportiva si fonda anche lo sport business, tanto appetito da tutti.

Ci parli del titolo. La forza della partecipazione nello sport. Un altro calcio è possibile… perchè questo titolo?Due anni fa, nel corso di un primo convegno che riportava la medesima prima parte del titolo, abbiamo sottolineato come all’estero le realtà calcistiche, che hanno conservato la reale partecipazione dei tifosi alle loro dinamiche decisionali, siano ancora oggi dominanti sul piano sportivo ed economico. Pensiamo a Real Madrid, Bayern Monaco e Barcellona.

Ma abbiamo detto come anche realtà meno importanti in assoluto si giovino di questo modello per costituire degli esempi e penso qui all’Athletic Bilbao, al resto della Bundesliga ed al modello argentino del River Plate. Se tutto ciò è possibile e funziona altrove, allora un altro calcio è possibile anche in Italia. Semplice.

In effetti in Italia il calcio non è in uno dei suoi momenti migliori. Secondo Lei perchè?

Per una scelta politica sbagliata. Venti anni fa, mentre la Spagna decideva di potenziare i suoi azionariati popolari storici e la Bundesliga difendeva tenacemente il suo sistema partecipativo pur aprendosi al capitale esterno, in Italia si decideva di cedere l’intero mondo del calcio e dello sport professionistico in genere alla pura e semplice logica d’impresa.

Si rinnegava così oltre un secolo di tradizione sportiva e non ci si accorgeva, forse, di andare così a recidere formalmente il cordone ombelicale tra gente e pallone con grave perdita di energie per il movimento. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

La serie A perde da venti anni posizioni non solo sportive, ma anche economiche, e come movimento nazionale tocca il punto più basso da sessanta anni a questa parte.

Germania e Spagna invece negli ultimi due mondiali hanno raccolto i frutti della loro semina così come in Champions League ed i loro movimenti sportivi continuano a crescere, anche economicamente, molto più velocemente del nostro, addirittura in grave regressione assoluta sul piano dei praticanti.

In pratica ci siamo fatti del male decidendo di fare entrare potentemente l’economia nel calcio?

In generale non intendo affatto dire questo, soprattutto in Italia dove spesso le gestioni economiche sono tutt’altro che impeccabili. Anche se a questo proposito ritengo anche di dire che la convinta introduzione della partecipazione popolare apporterebbe al sistema giovamenti, sia sul piano della moralizzazione, sia su quello della sicurezza negli impianti che dell’attenzione alla ricaduta sociale del fenomeno sportivo sul territorio. Ma, per tornare al discorso economico, voglio solo dire che pensare che la crescita di un movimento calcistico come quello Italiano potesse fondarsi sugli stessi identici fondamentali di crescita di una Premier League – diritti tv e attrazione di capitali esteri – sostanzialmente tralasciando gli appassionati, era una miope illusione.

Perchè?

Perchè la nostra è un’altra storia. In Inghilterra la rivoluzione Anglo-americana del calcio business introdotta dal Manchester United è partita oltre venti anni fa alla conquista dei mercati internazionali con moltissimo anticipo sulle altre federazioni e ciò ha procurato alla Premier League un vantaggio quasi incolmabile su certi mercati, una grande rendita di posizione, per così dire.

E poi diciamocelo, per attirare i miliardari internazionali a sfidarsi tra loro nel calcio, Londra ha un business-appeal superiore a qualsiasi altra città europea ed è aperta al mondo da quando è stata fondata.

E allora?

Continuiamo ad osservare la realtà. I tedeschi e gli spagnoli hanno raccolto la sfida lanciata dal Manchester United e dalla Premier League e l’hanno persino vinta, sul piano sportivo ed anche economico, per quanto riguarda i rispettivi top team. Ma per farlo Barcellona, Real Madrid, Bayern Monaco non hanno certo valutato di rinunciare alla loro base sociale, anzi hanno cominciato a curarla sempre di più per farla diventare sempre di più la base dei loro successi.

Noi, invece, in Italia, anche con una certa presunzione, ci siamo illusi che recidendo il cordone ombelicale di cui ho parlato sopra, avremmo comunque potuto farne a meno perchè una multinazionale televisiva, ovvero qualche miliardario straniero, si sarebbe preso sulle spalle l’intero movimento calcistico. Questo non è accaduto ed il rapporto tra calcio ed appassionati in compenso è sempre più in crisi con evidente perdita di risorse per l’intero movimento.

Che ci resta da fare dunque?

Augurarci tutti che la gente, la passione, la tradizione sportiva si riapproprino almeno in parte del fenomeno sportivo di cui sono dei fattori fondamentali. Il calore, l’affetto e quella nota di lealtà e disinteresse, che caratterizza la passione sportiva della gente, non devono rimanere energie completamente isolate dalla governance del Club. Pena un mondo del calcio destinato ad esprimersi in modo molto inferiore alle proprie potenzialità, perchè rinnega in fondo se stesso. Ed un calcio in generale meno bello ed attraente. La proposta di legge che verrà da noi presentata il 2 dicembre al Dipartimento di Management Marketing dell’Università di Torino vuole essere un punto di partenza per tutti per un nuovo mondo del calcio possibile. Perchè questo vecchio mondo del calcio italiano mai forse come ora ha bisogno di questo punto di partenza.

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