La felicità in questo mondo

Guardando oltre la pandemia / Tutti abbiamo pensato, almeno per un attimo, che la felicità fosse un concetto universale, uno stato di grazia valido per tutti, vissuto con le stesse modalità, sentito semplicemente attraverso le conosciute emozioni positive

Forse in parte è così perché quando siamo felici le espressioni e le vibrazioni che il nostro corpo trasmette sono comuni ovunque, ma ciò che ci fa felice può cambiare in base a dove viviamo, al mondo a cui apparteniamo.

L’origine latina del termine, felicitas, ci dice che il prefisso fe è sinonimo unanime di abbondanza, prosperità e ricchezza ma il modo con cui percepiamo la felicità, con cui la viviamo e persino attraverso cui cerchiamo di raggiungerla dipende però da variabili che ne determinano spesso anche il significato.L’educazione, la cultura di cui siamo parte, il nostro vissuto emotivo ci fanno relazionare in maniera diversa rispetto a questo stato di appagamento, di ottimismo ed entusiasmo, di serenità e pace.Il nostro ambiente, geograficamente parlando, è infatti un microcosmo fatto di abitudini, esperienze storiche e culturali, valori e credenze che diventano parte integrante della nostra vita e ne influenzano il modo di condurla e concepirla. La ricerca del benessere, sia esso corporeo o immateriale, può essere differente in base alla latitudine, ogni civiltà dunque possiede la sua endemica felicità.

Helen Russell ha scritto un libro, un guida pratica, una mappa di questo giubilo emotivo, come viene ricercato e vissuto nei diversi paesi del mondo: l’Atlante della Felicità.

In Cina, per esempio, si pratica lo xingfu, vivere con l’essenziale, in assenza della continua ricerca di beni materiali ma apprezzando invece quello che si ha e non nutrendo continue aspettative su quello che si desidera. L’elemento fortuna è importante perché non tutto è sotto il nostro controllo.

In Norvegia, invece, vivere all’aria aperta, friluftsliv, è un vero e proprio felice stile di vita, una filosofia che procura gioia perché, secondo questo pensiero, permette di allineare il nostro ritmo con quello della natura. Camping, trekking e ogni altra attività outdoor equivale ad una totale immersione verde e benefica, sia a livello fisico che spirituale.

In Thailandia ridimensionare i conflitti e vivere secondo il concetto buddista di pen rai, ovvero non ti preoccupare, è il fondamento per essere felici. Se una cosa va male, se i nostri obiettivi non sono raggiungibili, se qualcosa va storto forse non è semplicemente il momento giusto, meglio pensare ad altro e rimandare i nostri propositi. Non è una manifestazione di inattività ma semplicemente un elogio all’accettazione.

In Spagna uscire e fare tardi con gli amici davanti un aperitivo, possibilmente fatto di birra e meravigliosi stuzzichini, il tapeo, rende gioiosi e appagati. Similmente in Irlanda passare una serata al pub, ovviamente al suon di drink alcolici, fa dimenticare i problemi in completo abbandono alla allegria e al buon umore.

In Brasile, la saudade, il ricordo di una passata letizia, una malinconica assenza riferita sia a persone che a cose, fa vivere la felicità con una nota nostalgica, ma con la consapevolezza che ciò che abbiamo nel presente non deve essere dato per scontato.

In Giappone si celebra il wabi sabi, il senso dell’effimero e del fugace, “la bellezza imperfetta, impermanente e incompleta” secondo la dottrina buddista. Un approccio al minimalismo, all’incompiutezza che suggerisce di rendere più lento il nostro cammino e di considerare accettabili le cose difettose e persino di dargli valore maggiore una volta riparate, “una cicatrice che ci arricchisce“.

Infine eccoci in Italia, come raggiungono la felicità gli italiani? Secondo la Russell grazie al dolce far niente, che non vuol dire letteralmente e unicamente passare il tempo oziando, ma godersi la vita ritagliandosi pause rilassanti dedicate al cibo e ad un bicchiere di vino, possibilmente in compagnia, e viaggiando. Lo shopping poi, nel bel paese, è un grande alleato della felicità, comprare oggetti alla moda e possedere status symbol infatti rappresenta un modo che fa sentire gli italiani appagati e soddisfatti. Il piacere dato dal possesso però è spesso passeggero e questo è dovuto alla velocità con cui oramai ci si abitua alle cose che generano spesso entusiasmi iniziali, ma vengono prontamente abbandonate per essere sostituite con altre. Allora meglio cercare la felicità e investire non in oggetti ma in esperienze, in relazioni che ci arricchiscono e in conoscenze che lasciano tracce di indelebile beatitudine.

Maria La Barbera

 

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