Le imprese cinesi crescono del 47%, quelle italiane (spesso) chiudono

In provincia di Torino i cinesi sono circa ottomila. Non mancano le problematiche di integrazione: spesso sono difficili le relazioni con i genitori sia per gli adolescenti  ricongiunti, sia per i ragazzi nati qui. Ma soprattutto gli anziani che arrivano in Italia si trovano quasi sempre in solitudine

 

cina subalpinaIn 5 anni, dal 2008 al 2013, le imprese cinesi a Torino e in Piemonte sono cresciute del 47%, ossia il 5,3% del totale. Lo rende noto la Camera di Commercio che comunica anche come si verifichi esattamente l’opposto per le attività italiane che segnano un -1,6% ogni anno.

 

E lo sapevate che, dopo romeni e marocchini, i cinesi sono l’etnia più presente a Torino? Sembrano meno di quelli che sono per la loro atavica riservatezza. E’ difficile vederli al di fuori delle attività che svolgono. Li ha definiti “altri italiani”, Roberto Cortese, curatore della mostra omonima allestita presso l’associazione Progetto Democratico di via Ormea, in occasione del Capodanno cinese dello scorso 2 febbraio. Un’esposizione che ha raccolto centinaia di scatti sulla comunità cinese di Torino, composta da molti giovani: circa un quarto ha meno di 14 anni. La maggior parte di loro è giunta in città dalla Cina sud-orientale, in particolare dalla provincia di Zhejiang, (montagnosa, povera e popolata da oltre 40 milioni di abitanti). Secondo una ricerca del Gruppo Abele di qualche tempo fa (ma i dati non sono aggiornati) in provincia di Torino i cinesi sono 7.553, di cui 6.786 in città (4,7%) su 142.191 stranieri residenti.  Le fasce di età più presenti  vanno dai 25 ai 54 anni (56,7%) e  da 0 a 14 (24%). 

 

Qualche altro dato: 1500 sono studenti iscritti al Politecnico, altri 500 in varie facoltà universitarie. I quartieri  con il maggior numero di residenti sono Porta Palazzo-Vanchiglia (2.210), e Barriera di Milano (1.681).   La  ristorazione e la confezione di abbigliamento o pelletteria e il  commercio al dettaglio di prodotti alimentari ed artigianali sono le principali attività dei “sino – torinesi”. Nella nostra città, più dell’80% dei cinesi proviene dal distretto di Yuhu, dove il cognome più diffuso è Hu.

 

Secondo il Centro Interculturale del Comune e i curatori del Progetto LIA (Corso di formazione per operatori pubblici e privati a contatto con utenze miste) “l’obiettivo migratorio degli immigrati cinesi a partire dagli Anni ‘70 non era quello di rimanere a Torino e stabilizzarsi, bensì quello di guadagnarsi una somma sufficiente per poter tornare in patria ed aprire un’attività in modo da poter avere un futuro migliore o una situazione familiare più tranquilla. Ma vivendo in una nazione civilizzata e industrializzata , ovvero modernizzata, anche perché la capacità di adattarsi è molto elevata per i cinesi, le aspettative cambiano, in un modo quasi naturale. Oggi come oggi, la maggior parte cerca un lavoro fisso e una famiglia stabile, magari dopo si può anche dare una mano ai parenti o amici che sono in difficoltà”.

 

Non mancano le problematiche di integrazione: la ricerca del Gruppo Abele ha messo in risalto le difficili relazioni con i genitori sia per gli adolescenti ricongiunti, sia per i ragazzi nati a Torino. Ma soprattutto gli anziani che arrivano in Italia si trovano quasi sempre in totale solitudine e isolamento.  Il livello culturale della popolazione cinese subalpina è medio-basso, poiché la maggior parte proviene dalle campagne, caratterizzate da ignoranza e povertà.  Da segnalare, poi, episodi preoccupanti sul fronte della legalità e della sicurezza sul lavoro.

 

Una sartoria gestita da cinesi è stata sequestrata qualche mese fa dalla polizia a Moncalieri  per violazioni delle norme più elementari in materia di sicurezza. Le macchine per cucire mancavano dei regolari dispositivi di protezione delle parti meccaniche. Inoltre mancava il documento di prevenzione dei rischi e la certificazione di conformità dell’impianto elettrico. Al momento del controllo erano presenti due persone ma le postazioni di lavoro erano sette. Un altro aspetto singolare è dato dalla bassa mortalità della popolazione cinese in città: secondo i dati del settore Statistica del municipio, il tasso di decessi è pari allo 0,006%, vale a dire di 18 volte inferiore ai comuni mortali torinesi. Lo scorso anno sarebbero morti solo 4 cinesi. A chi sospetta strani raggiri, un responsabile della comunità, Paolo Hu, ha risposto attraverso i giornali: “nessun mistero, la nostra è una popolazione giovane e sana”. Chissà. Questo complesso quadro sociale sta portando la comunità cinese a richiedere, attraverso le istituzioni pubbliche e le organizzazioni sociali torinesi, risposte adeguate alle proprie necessità.

 

Qualcosa si sta muovendo, lo dimostrano la recente costituzione di una unione industriale italo–cinese, l’Aicct (Associazione industriale commercianti cinesi di Torino) e il successo delle iniziative per il Capodanno cinese: tra gli eventi organizzati, oltre alla già citata mostra fotografica, un’esposizione speciale al Mao – Museo di arti orientali, lo spettacolo di musiche e balli tipici al teatro Valdocco e una grande festa al Palazzetto dello Sport del parco Ruffini.

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