Isis, migranti e crisi europea: come cambiano le nostre democrazie

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LA GANGA

LA VERSIONE DI GIUSI / di Giusi La Ganga

 

Oggi ci si trova in un momento decisivo: o si ritrova lo spirito dei fondatori dell’Unione e si rilancia una vera politica comune nelle questioni che contano (sviluppo, immigrazione, energia, sicurezza), cancellando l’immagine ormai consolidata di una burocrazia ottusa, pignola su mille piccole questioni e assente sulle grandi, ovvero ci si avvia verso un lento decadimento

 

L’offensiva dell’Isis e le ricorrenti ondate di terrorismo; l’aggravarsi del fenomeno dei migranti e le reazioni di rigetto presenti in tutta Europa; la crisi greca, con la possibile fuoruscita dall’euro; il difficile rapporto fra U.E. e Russia con tensioni anche militari.   Sono quattro questioni diverse, ma strettamente collegate, che condizionano non solo la vita quotidiana di milioni di famiglie nel vecchio continente, ma determinano effetti di lungo periodo, capaci di cambiare natura e prospettive alle nostre democrazie.

 

E tutte hanno un comune denominatore, che può essere  insieme problema e soluzione: l’Europa.  Dalla nascita dell’Europa dei Sei fino a Maastricht , il processo di unificazione godeva di un vasto consenso popolare e la prospettiva di costruire gli Stati Uniti d’Europa appariva non irrealistica. Certo  l’idea di una politica estera, militare o economica comune non era dappertutto condivisa, ma presto o tardi si pensava che la forza delle cose avrebbe spinto in quella direzione. L’ultimo atto grande di quella politica fu la costruzione dell’Euro, che aveva e ha i limiti che oggi sono ben chiari, ma che costituiva un nobile sforzo, che gettava, per così dire, il cuore oltre l’ostacolo.

 

Da allora in poi, anche grazie ad uno sconsiderato allargamento a 28 membri senza distinguere fra livelli diversi di integrazione, nell’Unione hanno sempre più prevalso logiche burocratiche e interessi nazionali, consumando via via lo slancio ideale delle origini. Oggi ci si trova in un momento decisivo: o si ritrova lo spirito dei fondatori dell’Unione e si rilancia una vera politica comune nelle questioni che contano (sviluppo, immigrazione, energia, sicurezza), cancellando l’immagine ormai consolidata di una burocrazia ottusa, pignola su mille piccole questioni e assente sulle grandi, ovvero ci si avvia verso un lento decadimento sia nella coscienza dei cittadini sia nell’efficacia dell’azione politica.

 

Ma occorre essere consapevoli che non si tornerebbe al già allora fragile equilibrio fra nazioni, ma che ci si inoltrerebbe in un percorso assai rischioso, dove gli effetti della globalizzazione e i mutati equilibri geopolitici del mondo metterebbero  spietatamente a rischio conquiste di benessere e di civiltà, che sembravano acquisite per sempre.La cosa più drammaticamente sconcertante è come i popoli dell’Europa reagiscano in questo frangente difficile. Si illudono di difendere le loro condizioni di vita fortunate con un atteggiamento di chiusura.  Il fatto è che i cambiamenti ti raggiungono anche se ti chiudi a riccio, e così ti colgono più impreparato e incapace di reagire. L’Europa avrebbe bisogno di statisti, capaci di guardare al di là dei sondaggi del momento o dell’interesse di parte. La crisi delle nostre democrazie oggi sta anche in questo.

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