Iran, con Rouhani vince il “popolo viola”

FOCUS / di Filippo Re

L’Iran degli ayatollah conferma alla presidenza della Repubblica iraniana il riformatore moderato Hassan Rouhani, eletto per la seconda volta al primo turno (un presidente uscente non è mai andato al ballottaggio nella storia recente dell’Iran). Già i dati parziali di ieri sera e della notte davano il presidente in carica in netto vantaggio sullo sfidante, il religioso conservatore Ebrahim Raisi, fedelissimo dell’ayatollah Khamenei, la Guida suprema della nazione iraniana. Molto alta l’affluenza, che ha superato il 70%, facendo rinviare la chiusura dei seggi alla tarda serata. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, Rouhani ha ottenuto 23 milioni di voti, pari al 57%. Il suo avversario, il conservatore Ebrahim Raisi, ha invece avuto 15 milioni di voti, fermandosi al 38,5%. L’altro candidato conservatore, Mostafa Mirsalim, ha ottenuto 297.276 preferenze (1,14%), mentre l’altro candidato riformista Mostafa Haschemi Taba, che aveva invitato i suoi sostenitori a votare Rouhani, ha avuto 139.331 voti (0,53%). L’Iran sceglie quindi di non tornare indietro e di seguire un nuovo corso moderato per almeno altri quattro anni ma come insegna la storia degli ultimi quarant’anni, dai tempi del fondatore della Repubblica islamica dell’Iran, il rivoluzionario Khomeini, chiunque vinca le elezioni iraniane, il vero vincitore è sempre la Guida Suprema del Paese, cioè  l’ayatollah Khamenei che controlla tutto, dall’esercito

 alla magistratura, dall’economia ai media e al quale spetta sempre l’ultima parola. Finora nel campo riformista hanno ben figurato l’ex presidente Khatami e Rouhani, ma al di là di sorrisi e simpatie, tentativi coraggiosi di riformare il sistema teocratico e di aprire il Paese al mondo esterno nulla è mai cambiato davvero. Hanno sempre prevalso gli uomini dell’apparato religioso, i mullah e i pasdaran, l’establishment conservatore ostile a ogni apertura al mondo occidentale e ottuso di fronte alle esigenze dei giovani che sono la stragrande maggioranza degli iraniani. Questa volta la sfida era tra due religiosi, un moderato e un ultraconservatore, e l’ha spuntata il presidente uscente votato dalla maggioranza dei giovani, da quel “popolo viola”, il colore del movimento di Rouhani, che lo sostiene da quattro anni. Luci e ombre spiccano nel suo bilancio di fine mandato.

Gli iraniani hanno premiato Rouhani per aver concluso l’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti e l’Onu il 14 luglio 2015 che prevede la riduzione dei piani atomici persiani in cambio della fine delle sanzioni economiche facendo uscire gradualmente l’Iran dall’isolamento internazionale. L’intesa tuttavia non ha ancora avuto gli effetti che si speravano perché l’economia iraniana è ancora distante da una vera ripresa dopo tanti anni di sanzioni e ci si aspettava che le conseguenze dell’accordo si potessero sentire a livello concreto tra la gente ma così non è stato. I risultati positivi dell’accordo nucleare e del superamento delle sanzioni sono stati in buona parte oscurati dal calo del prezzo del petrolio e la ripresa delle esportazioni iraniane è stata quasi vanificata dal crollo del prezzo del barile di greggio da 104 a 44 dollari.Il presidente ha reso più distesi i rapporti con la comunità internazionale e soprattutto con l’Occidente, ha migliorato l’economia dopo la disastrosa gestione di Ahmadinejad anche se la disoccupazione è ancora alta, è salita dal 10 al 12%, ma l’inflazione si è notevolmente abbassata scendendo dal 40 al 9%. Rouhani non può forse fare di più perchè l’economia iraniana è in buona parte in mano ad apparati vicini alle Guardie della rivoluzione e ai Pasdaran che dipendono da Khamenei, difendono strenuamente i loro interessi e sono contrari a eccessive aperture al mercato. La disoccupazione resta alta soprattutto tra i giovani (è salita dal 24 al 30%) e il Pil è tornato a crescere e per quest’anno il Fondo monetario (Fmi) prevede una crescita del 3,3 per cento. Al contrario dello sconfitto Raisi, il tradizionalista che vuole più religione nella società e un rapporto più duro e meno conciliante con l’Occidente, Rohuani rappresenta ancora una speranza per i giovani che vedono in lui una maggiore tolleranza rispetto agli anni bui di Ahmadinejad e gli sono grati per la maggiore libertà che si vive nelle città. Tra gli aspetti negativi, la situazione dei diritti umani e delle libertà individuali che Rouhani aveva promesso di migliorare. Decine di giornalisti, oppositori politici, blogger, scrittori e artisti sono in carcere: nel corso del suo mandato le condanne a morte sono aumentate (sono almeno 3.000), oppressione e censura sulla stampa sono pressochè quotidiane. Moussavi e Kharroubi, i due leader dell’Onda verde, il movimento democratico e riformista che nel 2009 fu oggetto di una dura repressione da parte del regime perchè contestò aspramente le elezioni truccate che fecero vincere per la seconda volta Ahmadinejad sono ancora agli arresti domiciliari mentre a Khatami è stato ritirato il passaporto.

 

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