In memoria dei Moti del 1864

Lavazza cavallo

Le proteste di piazza seguivano la decisione di trasferire la capitale del neonato Regno d’Italia da Torino a Firenze, già con l’occhio a Roma

 

Il 21 e 22 settembre nel 1864 per la storia di Torino e del Piemonte è una data da cerchiare in rosso. Rosso come il sangue dei torinesi (e dei piemontesi) che caddero sotto il fuoco dei carabinieri reali, della polizia e dei soldati che soffocarono così, molto duramente, le proteste di piazza che seguivano la decisione di trasferire la capitale del neonato Regno d’Italia da Torino a Firenze, già con l’occhio a Roma dove venne portata nel 1870 dopo la breccia di Porta Pia con i bersaglieri di Lamarmora che misero fine al potere temporale di Papa Pio IX. L’episodio della città sabauda, però , nella storiografia ufficiale passò in secondo piano, anzi, venne minimizzato e non è ricordato nei libri di scuola. In tutto furono cinquantadue gli uomini, le donne ed i bambini che persero la vita e quasi 200 i feriti.

 

Nonostante l’episodio avesse suscitato raccapriccio in tutta Europa, l’indagine venne archiviata e nessuno venne individuato come colpevole. Sino ad oggi anche la toponomastica di una Torino, che è diventata via via sempre più cosmopolita (pur mantenendo, anzi cercando di mantenere le proprie radici, grazie anche all’impegno di associazioni e movimenti che lo ricordano alle istituzioni) sembra avere rimosso quasi del tutto quanto avvenne in quelle due tragiche giornata con poche eccezioni, una è quella di Roberto Gremmo nel suo bel libro “La prima strage di Stato, il massacro di Torino del 1864”. Negli anni c’è stata soltanto la posa di una piccola lapide in un angolo di piazza San Carlo.

 

Gioventura Piemonteisa per non dimenticare organizza un incontro domenica 20 settembre, in piazza San Carlo, sotto il Caval ed Bronz, alle ore 16, nel cuore di Torino, per una commemorazione popolare e la deposizione di un omaggio floreale, sotto lo slogan “ricordare è un dovere”. Ed effettivamente tutte le operazioni di recupero della memoria non sono mai negative e meriterebbero maggiore attenzione dalle istituzioni, proprio perché sono, comunque, a prescindere da qualsiasi tendenza o ambito politico, di un patrimonio culturale comune ad un luogo.

 

Massimo Iaretti

 

 

 

 

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