Il “triangolo nero” da Piazza Statuto al Rondò della Forca

Sto nostradamusituata sul 45° parallelo, alla metà esatta  dell’emisfero, Torino da sempre è accompagnata dalla sua fama di città magica, collocata al vertice del “triangolo bianco”, insieme con Lione e Praga, ma anche del  “triangolo nero”, con Londra e San Francisco. Nel bel mezzo di un importante nodo energetico, tra due fiumi, la “femminea” Dora e il “maschio” Po, la città ancor prima di diventare il centro di potere della dinastia sabauda, aveva saldi e diffusi legami con le pratiche esoteriche. Non a caso Torino divenne meta dei viaggi dell’ alchimista e astrologo svizzero Paracelso e di Giuseppe Balsamo, il famoso Conte di Cagliostro che, condannato dalla chiesa cattolica come eretico dedito alla magia,  morì rinchiuso nella fortezza di San Leo, sull’appennino tosco-romagnolo. Lo stesso vale per il misterioso alchimista e avventuriero francese noto come il Conte di Saint-Germain, un “maestro Asceso”, ossia una di quelle persone che dopo una o più esperienze terrene, realizzata in sé la fusione tra materia e spirito, ottenevano – a loro dire –  un “corpo di gloria” non più soggetto alle leggi di gravità e di morte. A metà del 1500 anche il più famoso dei medici, astrologi e veggenti, Michel de Nostredame ovvero Nostradamus, raggiunse Torino per far visita a Margherita di Valois e al duca Emanuele Filiberto di Savoia, con il compito di aiutare i due nobili ad avere un figlio. Gli esoteristi, però, sostengono che a muovere i suoi interessi fossero piuttosto le misteriose  tre grotte alchemiche che si celerebbero  nelle viscere dell’altra Torino, quell’ universo parallelo di gallerie, cripte, cunicoli che ne contraddistingue il sottosuolo. Secondo alcuni, una traccia concreta della permanenza torinese del famoso estensore di profezie consisterebbe in una  marmorea lapide, scritta in francese, un tempo collocata  sull’androne della cascina Domus Morozzo, appartenente alla omonima famiglia risiedente presso la villa Vittoria to frejusdi via Lessona in borgata Parella, demolita negli anni sessanta. La traduzione della scritta  indicava come “Nostradamus alloggia qui, dov’è il Paradiso, l’Inferno, il Purgatorio. Io mi chiamo la Vittoria, chi mi onora avrà la gloria. Chi mi disprezza, la completa rovina”. Per vie e palazzi di Torino, nei primi decenni del secolo scorso,  s’aggirava anche un misterioso autore di libri di alchimia che si faceva chiamare Fulcanelli,  la cui identità non fu mai stata resa nota. All’ombra della Mole Antonelliana , nel 1903, nacque il sensitivo e veggente Gustavo Adolfo Rol, una delle figure esoteriche più discusse del novecento. Una targa, affissa al civico 31 di Via Silvio Pellico, dove visse per oltre sessant’anni, ricorda la sua straordinaria figura, nota per lo sguardo magnetico. Il baricentro dove si concentrano le energie negative a Torino si trova a Piazza Statuto. In epoca romana ospitò una grande necropoli e da sempre venne considerata un luogo in ombra, misterioso, tutt’altro che positivo. Al centro della piazza un monumento in pietra scura ricorda le vittime sul lavoro per la costruzione del primo vero tunnel sotto le Alpi ( se si escludono  i 75 metri del “buco di Viso”, che separano la valle Po da quella francese del Queyras ). Il monumento, la Fontana del Frejus, è sormontato da un genio alato che porta sul capo una stella a cinque punte ma, secondo la leggenda nera, si tratterebbe di ben altro e più inquietante personaggio: Lucifero, il “portatore di luce” , l’angelo ribelle caduto in disgrazia. La sua figura, rappresentata con le mani rivolte verso il basso, indicherebbe l’accesso segreto agli Inferi. Non a caso , proprio al centro della piazza, si trova  l’accesso che conduce al complesso sistema to rondo cafassofognario (che all’altezza di piazza Statuto ha il suo snodo principale), da cui si accederebbe ai cunicoli che condurrebbero alle già citate grotte alchemiche. Ma c’è di più: i cultori dei misteri di Torino sostengono che in città il vertice del triangolo della magia nera cada esattamente nel punto indicato da un piccolo obelisco  ( la “guglia Beccarla”, eretta nel 1808) che porta sulla sommità un astrolabio, situato nell’aiuola del piccolo giardinetto che si trova di fronte al monumento del Traforo ferroviario del Frejus. Non  distante da piazza Statuto, fulcro della Torino esoterica, c’è il Rondò della Forca. Lì, alla confluenza degli attuali corsi Valdocco, Principe Eugenio e Regina Margherita con via Cigna, per quasi vent’anni – dal 1835 al 1853  venne innalzata la forca per le esecuzioni capitali per mano del boia. Illuogo, a quel tempo in aperta campagna, venne scelto per la sua vicinanza alla prigione che si trovava in quella che oggi è via Corte d’Appello. In precedenza le impiccagioni venivano effettuate sulle rive del Po, della Dora per poi essere inscenate in Piazza delle Erbe (l’attuale Palazzo di Città) e nella Piazza Reale (oggi Piazza San Carlo). Solo negli anni dell’occupazione francese la forca fu sostituita dalla ghigliottina  ( la “beatissima”) e le teste rotolarono sotto la sua mannaia in Piazza Carlo Emanuele II detta anche Piazza Carlina, in quegli anni chiamata “Place de la Liberté”. Tutto ciò non fece che aumentare la “sulfurea” reputazione della zona occidentale della città, la più tenebrosa, tanto che lo stesso nome del Corso Valdocco deriverebbe dal toponomastico di latina memoria “Vallis Occisorum”, la “valle degli uccisi”. Alla congiunzione tra corso Principe Eugenio e corso Valdocco, all’inizio degli anni sessanta, è stato inaugurato un monumento dedicato a San Giuseppe Cafasso, conosciuto come il “prete della forca”, per la sua opera di assistenza spirituale ai carcerati e ai condannati a morte. I cadaveri dei condannati venivano poi sepolti in San Pietro in Vincoli, nel cimitero dei giustiziati. Per non farsi mancare un brivido in più, al numero due di via Bonelli, nel quadrilatero torinese – tra via delle Orfane e via Sant’Agostino – ecco la “casa del boia”. E’ lì che, quando la via portava il nome di Contrada Pusterla e in seguito via dei Fornelletti, per tradizioneto boia bonelli secolare vivevano i più temuti tra i cittadini di Torino: gli incappucciati  addetti a tirare la corda del patibolo. L’ ultimo, tal Pietro Pantoni, misantropo, tutto casa e lavoro, non usciva quasi mai dalla propria abitazione  e  si racconta che l’ unico suo amico fosse un certo Caranca, becchino di Rivarolo. Nella vicina chiesa di Sant’Agostino, il boia, poteva contare su di un banco separato dagli altri e un certo timoroso rispetto, viceversa nella Chiesa della Misericordia, in via Barbaroux, sono conservati alcuni reperti, tra cui il registro con i nomi dei giustiziati e il cappuccio dei condannati. Pur essendo il suo “mestiere” ben pagato (un editto del 1575 stabiliva un prontuario di servizi con relativi compensi: si andava dalle 21 lire per un’ impiccagione semplice alle 36 lire in caso di squartamento cruento)  tutto ciò non lo metteva al riparo da una sorta di gogna sociale e dal disprezzo dei più. Per questo, ancora oggi, passando davanti a quel portone, si può avvertire un senso di disagio e un filo d’ansia.

Marco Travaglini

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