IL RITORNO A TORINO DI AUGUSTO CESARE FERRARI

FOCUS INTERNAZIONALE / ARTE

Il 20 settembre si inaugurerà presso l’Accademia Albertina di Torino la mostra “Augusto C. Ferrari, pittore architetto da Torino all’Argentina. ¡Qué bello es vivir!“, che chiuderà il 18 novembre. 

Nato figlio di ignoti a San Possidonio (Mo) nel 1871, Augusto crebbe con la famiglia della balia fra Bassa Modenese, Oltrepò Mantovano  e Genova, dove nel 1892 fu riconosciuto dal padre Francesco Ferrari, negoziante di vini nato a Cavezzo ma residente a Roma. Finalmente col  cognome Ferrari,  corse a Torino per intraprendere la vita che sognava: studiare in Accademia e fare il pittore. Nel 1900 si diplomò docente di disegno d’ornato al Museo Industriale di Torino. Espose a Torino dal 1901 alla Promotrice ed al Circolo degli Artisti, di cui fu socio da quell’anno. Dipinse anche panorami, dapprima col suo maestro Giacomo Grosso, per le battaglie di Torino e di Maipù, poi da solo, quando  realizzò con aiuti il grande panorama di Messina distrutta (1950 mq di pittura, esposto a Torino negli anni 1910-11). Su indicazione di Giacomo Grosso, decorò nel 1911 la chiesa parrocchiale del suo paese natale, Cambiano (To). Approdato a Buenos Aires  nel 1914 per riallestire il suo panorama, non riuscendo nell’impresa, affrontò la sua vita di migrante dipingendo due chiese in cambio di ospitalità. Ma la vita riprese a girare per il verso giusto: conobbe Celia del Pardo che nel 1917 divenne sua moglie e presto si fece conoscere, ricevendo gli incarichi di altri due panorami e della decorazione della chiesa di San Miguel (suo capolavoro, ora monumento nazionale), nella quale lasciò prova della sua maestria nel governare grandi spazi con la pittura. Per questa impresa realizzò un’eccezionale documentazione fotografica preparatoria (di modelli e scene),  delineando il programma decorativo col parroco mons. Miguel De Andrea, importante  esponente della Chiesa argentina. Raggiunta una certa agiatezza, tornò a Torino nel 1922 con la moglie e tre bimbi per fare il pittore, iscriversi  nuovamente al Circolo degli Artisti, studiare, viaggiare…. Tornò in Argentina con la famiglia nella primavera del 1926, per non allontanarsene più.  Dopo lo scarso successo della grande mostra realizzata a Buenos Aires subito dopo il rientro, superò la nuova difficoltà  riproponendosi – a cinquantacinque anni – come architetto, soprattutto apprezzato dagli Ordini religiosi, che in lui, architetto ornatista eclettico con grande erudizione e un geniale talento nel combinare frammenti diversi, trovavano l’interprete perfetto per perpetuare programmi iconologici e simbologie, in riferimento alle loro radici europee. Realizzò dapprima il chiostro nel convento cappuccino che lo aveva accolto nel 1914 (Nueva Pompeya), poi la grande e splendida chiesa neogotica del Sagrado Corazón (“De los Padres Capucinos”) di Córdoba (1927-32), poi molte altre chiese e complessi ecclesiastici nella provincia di Córdoba e ville private nella vicina cittadina di villeggiatura di Villa Allende. Lavorò fino a tarda età, quando ancora fu impegnato nelle supervisione architettonica e direzione lavori dell’abbazia benedettina di Belgrano a Buenos Aires, ed in progetti di chiese che elaborava per proprio svago e dedicava ai nipoti.

Liliana Pittarello

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