Il messaggio di Nosiglia: “Natale di pace. Impariamo ad allargare i confini della nostra casa”

“L’accoglienza rappresenta anche oggi uno dei gesti più difficili, perché esige un atteggiamento e una scelta precisa: quella della gratuità. La cultura che persegue anzitutto il proprio interesse ostacola l’apertura del cuore senza riserve verso gli altri. Viene meno il gesto libero e spontaneo e l’apertura alle persone senza secondi fini e tornaconti, per puro dono”.   E’ quanto scrive l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nel suo messaggio natalizio rivolto alla diocesi. La conseguenza  è dunque che “si ama chi ci ama, si aiuta chi ci può a sua volta aiutare, si accoglie chi un giorno ci potrà restituire quel favore”. Quindi, “la mia casa, la mia famiglia, i miei amici, il mio paese, la mia religione, la mia proprietà, tutto ciò che è mio è un valore e come tale va rispettato”. Ma “Gesù è venuto per insegnarci una via migliore: quella di allargare i confini della nostra casa, famiglia, patria e cultura a tutti coloro che lo desiderano, rompendo steccati consolidati e superando divisioni di ogni genere”. Diventa possibile secondo  Nosiglia, “perdonare anche chi ci ha offeso o fatto del male, fare il primo passo per riallacciare un rapporto o un’amicizia compromessa e data ormai per chiusa”. Infine, un invito alla pace che diventa “possibile”, quando “nasce dentro di noi, accettando di fare spazio a Dio, e si traduce in gesti concreti di amore e di perdono, di impegno per la promozione della dignità di ogni uomo, per l’abbattimento di ogni steccato che ci divide dagli altri”. Di seguito, il testo integrale della lettera

 

LETTERA DI NATALE DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA, ALLE FAMIGLIE E ALLE COMUNITÀ DELLA DIOCESI

(Torino, dall’Arcivescovado, 25 dicembre 2017)

 

ABBIAMO VISTO LA SUA STELLA

Cari amici, la “visita” annuale che, in occasione del S. Natale, rivolgo alla vostra famiglia si sofferma quest’anno su un episodio del Vangelo di Matteo che ha sempre colpito profondamente l’immaginazione collettiva di tanti artisti e poeti, oltre che quella dei bambini e ragazzi. Si tratta infatti del racconto suggestivo della venuta dei Magi, personaggi misteriosi che hanno seguito una grande stella cometa, apparsa nel cielo al tempo della nascita del Signore. San Matteo descrive con dovizia di particolari l’avvenimento, che ricordiamo nella festa dell’Epifania. Racconta il Vangelo che «alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta Michea… Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”. Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (cfr. Mt 2,1-5.7-12). La grande gioia del Natale, che nella notte santa ha inondato il cuore di alcuni semplici e poveri pastori di Betlemme, esplode nella Liturgia dell’Epifania e contagia di sé tutta la terra. È la gioia dei Magi, che seguendo la stella giungono alla capanna, dove adorano il Bambin divino e gli offrono oro, incenso e mirra – simboli della sua regalita, della sua divinità e della sua umanità. La stella che li ha guidati è un segno chiaro e presente nel loro cammino fino a Gerusalemme, là dove debbono chiedere al re Erode, ai sacerdoti e agli scribi del Tempio notizie sulla nascita del Messia. Con questa tappa, il Signore ha voluto far conoscere a tutti la notizia della propria nascita e ha posto i capi del suo popolo di fronte alla possibilità di andare anche loro ad adorarlo. Ma essi non si muovono e si limitano ad indicare la città di Betlemme come luogo in cui, secondo le profezie, dovrebbe nascere il Figlio di Davide, destinato a regnare su tutta la terra. Questo basta ai Magi per riprendere il cammino, seguendo quella stella straordinaria che è riapparsa. Il significato di questo racconto dell’Evangelista Matteo è dunque chiaro: anche i pagani – perché tali erano i Magi – sono stati chiamati alla fede in Cristo e addirittura sono i primi ad accorrere a lui, riconoscendolo per ciò che egli è veramente: il Figlio di Dio e Salvatore di tutti gli uomini. L’apostolo Paolo annuncia stupito questo mistero ai suoi cristiani provenienti dal paganesimo: il mistero di grazia che salva tutti gli uomini in Cristo è stato tenuto nascosto alle precedenti generazioni e ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito. I gentili sono cioè chiamati in Cristo Gesù a partecipare – come gli Ebrei discendenti di Abramo – alla stessa eredità e a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo. Oggi vediamo come questa profezia si stia avverando in ogni parte del mondo in cui ci sono discepoli del Signore: la Chiesa riunisce genti e nazioni le più diverse per cultura, lingua e tradizioni e ne fa un solo popolo che proclama le meraviglie di Dio e ne celebra la salvezza. La festa  dell’Epifania è dunque un invito a riconoscere in Gesù il Signore e Salvatore, fonte della gioia e della speranza che apre orizzonti di unità e di pace per tutte le genti. La ricerca della unità Al di là infatti delle molte religioni presenti nel mondo e degli usi e costumi propri di ogni popolo, emerge un profondo anelito che spinge l’umanità verso la sua unità. È un cammino che rispecchia quello dei Magi, i quali, senza sapere l’uno degli altri, si mettono in marcia perché è presente nel loro cuore l’attesa della salvezza. In questa ricerca dei Magi vedo rispecchiato anche l’attuale pellegrinaggio dell’umanità, protesa – malgrado tante resistenze e contrasti – a raggiungere una meta comune e condivisa che è suscitata da Dio stesso: l’unità, fonte prima di pace, di giustizia e di solidarietà. Tante sono ancora le resistenze che cercano di ostacolare tale cammino:

• il fondamentalismo religioso, che rifiuta la libertà religiosa quale diritto naturale di ogni persona e vuole contrapporre, anche con l’uso della violenza, del terrorismo e della guerra, un popolo a un altro popolo, i credenti di una religione ai credenti di un’altra;

• quell’aperta e reclamizzata forma di ateismo e materialismo, che ignora o emargina Dio dalla vita delle persone e da quella pubblica, disancorando ogni norma etica da Colui che solo può darle senso e renderla sicuro punto di riferimento nel guidare comportamenti e scelte coerenti alla dignità e libertà di ogni persona e al vero progresso della società;

• la paura e il timore di essere sopraffatti da chi è diverso per cultura, religione, etnia: dunque, il rifiuto dell’accoglienza, dell’incontro sereno e costruttivo, a partire dalla verità e dall’amore reciproco, per edificare il mondo che Dio vuole e che è il migliore possibile, anche per l’uomo e per ogni popolo;

• le sperequazioni sociali ed economiche, che tendono a mantenere in perenne stato di miseria, di fame e di ingiustizia tanti popoli, poveri magari non di beni materiali, ma culturali, finanziari e strutturali, adeguati a gestire in prima persona le loro risorse, sfruttate abilmente dai Paesi industrializzati per diventare sempre più potenti e ricchi;

• le guerre fratricide, quelle che sono ogni giorno nella cronaca dei mass-media e le tante dimenticate, ma presenti in molti Paesi e continenti, alimentate da un vergognoso e deleterio commercio delle armi, di cui anche il nostro Paese vanta il triste primato;

• infine, la diffusa cultura dell’individualismo e del relativismo, che mina alla base la solidarietà e l’amore e mette al centro di ogni scelta personale, familiare, economica, politica e sociale il massimo profitto e l’utilità individuale.

Eppure, se questi sono ostacoli seri e complessi da cui è difficile liberarsi, si fa strada sempre più nel cuore della storia del nostro tempo una tendenza forte e irreversibile all’unità di tutto il genere umano, che senza azzerare le differenze – le quali sono una grande ricchezza per tutti – conduce a ricercare le vie più idonee a sostenere un comune cammino di pace, di giustizia e di comunione tra i popoli e le religioni. Occorre dare forza a questo movimento dal basso e vincere il timore che porta a chiudersi a riccio dentro la propria realtà culturale, religiosa, politica ed economica. C’è bisogno di lavorare per una globalizzazione degli spiriti, della cultura, della solidarietà, promossa dai credenti e dagli uomini di buona volontà presenti in ogni popolo e religione. In nome di Dio e dell’uomo, è possibile e doveroso tendere a quest’obiettivo, che è alla portata del nostro tempo. La famiglia, via maestra per vivere la comunione L’incontro e le relazioni amicali tra persone trovano nella famiglia la prima comunità, dove si impara a riconoscersi fratelli e a vivere esperienze ricche di umanità e di condivisione. Purtroppo,  tante famiglie sono oggi divise; altre sono composte solo da un solo coniuge – spesso la madre, con i figli – o si riducono a una persona sola. Ciò di cui oggi si soffre di più, anche in casa, è la carenza di relazioni sincere e profonde dal punto di vista umano e spirituale. Viviamo in un mondo di diffusa e capillare informazione, che si avvale di linguaggi affascinanti ed aperti a sempre nuovi stimoli ed interessi. È un dato, questo, molto positivo, ma che rischia paradossalmente di isolare ancora di più la persona dentro un mondo virtuale e soggettivo, dal quale diventa difficile uscire per dialogare e rapportarsi all’altro e agli altri. Si impoveriscono pertanto i rapporti interpersonali e la comunicazione verbale ed esperienziale tra coloro che pure vivono l’uno accanto all’altro. Ne soffrono le famiglie, i gruppi e le comunità. La solitudine è la più diffusa malattia dello spirito che incide profondamente nella vita delle persone. Penso a tanti anziani e malati, che, pur avendo figli e nipoti, vicini di casa e parenti, trascorrono molti giorni senza vedere nessuno dei propri cari, se non la badante, e non ascoltano alcuno, se non la televisione. Molti altri sono accolti nelle numerose case di riposo, dove solo occasionalmente ricevono visite di parenti e amici. Tante volte dico loro: «Ma i vostri figli e nipoti?». E la risposta è sempre la stessa: «Hanno la loro famiglia, la loro vita carica di impegni». Li giustificano per amore, ma con gli occhi tristi e, ne sono certo, il cuore gonfio di sofferenza. Lo stesso capita a tanti ragazzi e giovani, che sembrano circondati da amici, attività sportive e divertimenti, beni materiali e grandi affetti in famiglia: nessuno però si occupa delle loro crisi interiori, del vuoto dell’anima che, a poco a poco, li consuma e li rende estranei ai genitori e a tutti. E che dire della relazione tra coniugi, soffocata dal fare e dai servizi necessari per la vita di famiglia, che assorbono la maggior parte del tempo, dalle crescenti preoccupazioni economiche, dalle fatiche derivanti da situazioni di divisioni o di sofferenze fisiche e morali! Non si trova più il tempo per parlare, perché la televisione irrompe con il suo assordante rumore persino durante i pasti e le attività domestiche di chi lavora impegnano sempre fino a tardi, anche la sera. E non dimentichiamo la Rete, che occupa il tempo dei ragazzi e giovani ed esalta il rapporto e il linguaggio virtuali, a scapito delle relazioni anche familiari. Tutti ci lamentiamo di queste situazioni, che generano stress e noia, ma pochi riescono a fare scelte controcorrente e a decidere di impostare la vita di casa con tempi e modalità diverse, dando spazio maggiore al dialogo e all’incontro, anche spirituale, unica via che porterebbe pace e serenità ad un cuore affannato e sovraccarico di preoccupazioni. La bellezza dell’amore in famiglia salverà il mondo Solo ciò che nasce dall’amore guarisce la solitudine e solo chi mette al centro della propria vita il valore delle persone, prima che le cose e i servizi, riesce a gustare la gioia dell’incontro. L’amore lenisce le ferite dell’anima, quando è continuo e mostra che la persona e le sue esigenze contano più di tutto: dei soldi, del doppio lavoro, della casa bella e ricca di cose, delle feste. Solo l’amore penetra dentro ed è il balsamo che guarisce. E l’amore esige tempo, tanto tempo per stare vicino, per parlarsi ed ascoltarsi, per condividere, per guardare negli occhi e sentire il cuore di una persona. Ma non è solo l’amore umano, pure forte e importante, che sta a fondamento di relazioni sincere e feconde di bene: occorre l’amore di Dio, che cementa la comunione di vita nelle case con la sua divina presenza. Fare posto nelle relazioni familiari al Signore ci fa comprendere quanto importante sia trovare il tempo, nella propria casa, per la preghiera, via privilegiata che permette di scoprire ed accogliere ogni giorno la volontà di Dio. Natale può essere il momento propizio per iniziare. Attorno al presepe ci si può trovare insieme, genitori, figli, anziani, per ascoltare i racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù, gustarne la semplicità e la ricchezza di fede e di annuncio. La casa dei cristiani è sempre stata considerata come una “piccola Chiesa” dove è, non solo possibile, ma doveroso pregare e dove i genitori e gli anziani esercitano, con la loro guida e testimonianza, il compito di essere sacerdoti e profeti. I tempi e i modi sono diversi e ciascuno deve trovare i propri, ma quello che importa è aprire uno spazio di preghiera nel vortice delle mille “cose da fare”. La più bella ed arricchente preghiera è senza dubbio l’ascolto della Parola di Dio. La Bibbia ed il Vangelo, in particolare, sono gli strumenti più efficaci e alla portata di tutti. Ce lo ha ricordato con forza Papa Francesco con la “Giornata della Bibbia”, in cui le nostre comunità e famiglie sono state invitate a sostare, per trovare il tempo di aprire il Libro sacro e soffermarsi a nutrirsi del cibo della Parola di Dio, fonte di serenità e di speranza per ogni famiglia. Rispondere a quest’invito, affinché non rimanga questione di un solo giorno e diventi esperienza di vita che porta in famiglia una luce e un calore nuovi, esige qualche rinuncia, per mettere ordine nell’organizzazione del proprio tempo, e comporta soprattutto la necessità di dare spazio al silenzio, spesso soffocato dalle continue parole e dalla voce assordante e continua dei mass-media. Il beato Papa Paolo VI, in un memorabile discorso a Nazareth, parlò della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe come modello per ogni famiglia e disse tra l’altro: «La famiglia di Nazareth ci insegna anzitutto il silenzio. Oh! se rinascesse in ogni casa la stima del silenzio, atmosfera mirabile e indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita di ogni giorno. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto sia importante la riflessione, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera che Dio solo vede nel segreto» (Discorso tenuto a Nazaret, 5 gennaio 1964). Alzati, rivestiti di luce «La gloria del Signore brilla sopra di te. Le tenebre sono fitte come la nebbia, ma su di te risplende il Signore» (cfr. Is 60,1-2). Questo invito della prima lettura biblica dell’Epifania deve essere preso sul serio, se vogliamo vincere quel senso di impotenza che blocca tante nostre comunità, le chiude dentro una sindrome da assedio e aggrava una visione negativa del loro presente e del loro futuro. La fede in Cristo è speranza certa di luce perché le tenebre non potranno mai soffocarla: come la stella dei Magi, essa ci precede per indicarci il cammino, è lì davanti a noi, è in noi e traccia la strada della nostra vita. Dico di no, cari fratelli e sorelle, ai profeti di sventura, alle previsioni di apocalissi imminenti che tarpano le ali della speranza cristiana. Per volare alto, invece, occorre proporre le vette della santità e le vocazioni più impegnative della vita cristiana senza timore. Più siamo mediocri nelle proposte evangeliche e più saremo assorbiti dal vortice del “fare”, che atrofizza le spinte ideali del cuore. Soprattutto dei giovani. Proprio a loro chiedo di aiutarci a ricuperare, come comunità cristiana e società, la freschezza e l’utopia degli ideali evangelici più alti e impegnativi e domando loro di non lasciarsi addormentare piacevolmente dalle proposte culturali evasive e accomodanti, perdendo la libertà interiore e la bellezza di saper sognare in grande il loro futuro. Mettiamoci tutti in cammino, non stiamo ad aspettare chissà quale segno dal cielo. Come i Magi, alziamo lo sguardo in alto e forse scopriremo che il segno già c’è ed è evidente e chiaro: basta avere la fede per vederlo e la volontà di seguirne il tracciato. Quel segno è la luce di Cristo, è egli stesso luce del mondo e di ogni uomo che cerca la verità e vuole la vita. Per questo si è fatto bambino e uno di noi, perché chiunque lo accoglie abbia la vita e l’abbia in abbondanza. Carissimi, auguri a voi, bambini, ragazzi e giovani, perché Gesù, che si è fatto uno di voi, ha provato le vostre stesse emozioni, ha vissuto le vostre stesse esperienze di famiglia e di amicizia. Su di lui potete contare come Amico vero, sincero e fedele. Auguri a voi anziani, che nelle feste di Natale attendete un segno di prossimità più intensa e 5 meno frettolosa da parte dei figli. Il Signore vi sostenga con la sua vicinanza e vi renda consapevoli del grande compito di testimonianza a cui siete chiamati verso figli, nipoti e parenti. Auguri a voi, che siete nel dolore per la perdita di una persona cara, o per qualche malattia grave, o per divisioni in famiglia, o per solitudine o abbandono: il Salvatore che nasce è fonte di speranza e di vita nuova per chi crede in lui. Auguri a chi vive la situazione di crisi economica con la preoccupazione per il mantenimento del posto di lavoro, o per trovarne uno nuovo in seguito ad un licenziamento; agli immigrati che senza lavoro rischiano di perdere il permesso di soggiorno. Il Divin Bambino ha dovuto subire fin dalla nascita situazioni difficili: egli condivide perciò la vostra sofferenza e vi offre forza e conforto. Auguri anche per chi non ha con sé una famiglia o non ne ha più una di riferimento e ha scelto di vivere da solo, sulla strada. C’è per tutti una grande famiglia di Dio che è la comunità di coloro che celebrano nel Natale la nascita del Salvatore e si sentono uniti dalla stessa fede e dalla sua costante presenza nella Chiesa. Di questa famiglia tutti possono fare parte e in essa sentirsi accolti, compresi, amati. Buon Natale e che il Figlio di Dio benedica con la sua presenza la vostra casa, mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, che esprime la paternità e amicizia del vescovo verso ciascuno di voi.

Cesare Nosiglia vescovo, padre e amico

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE
Articolo Precedente

VIA TORINO VESTITA A FESTA GRAZIE AI COMMERCIANTI ED AI BAMBINI

Articolo Successivo

Il Peso del Natale

Recenti:

IL METEO E' OFFERTO DA

Auto Crocetta