Torino è culinaria. Il cibo da esibire come identità

di Enzo Biffi Gentili

Anche se la decantata qualità della vita sotto la Mole  non corrisponde esattamente alla posizione di Torino e dintorni – settantasettesima nel 2017- nella classifica sul vivere bene delle province italiane del quotidiano “Italia Oggi”. O ai valori di inquinamento atmosferico registrati negli ultimi giorni

 

L’avvenimento torinese più rilevante della scorsa settimana, secondo molti autorevoli pareri, è stato l’inaugurazione di EDIT (sciogliendo l’acronimo: Eat Drink Innovate Together), la nuova struttura d’avanguardia birrogastronomica voluta da Marco Brignone che occupa ampi spazi dell’ex fabbrica di cavi elettrici INCET in via Cigna. Tra i laudatori, Luigi La Spina, con un articolo intitolato Il gusto vincente del Piemonte unito a Torino (“La Stampa”, 24 novembre 2017), che si conclude auspicando ulteriori sforzi, anche della mano pubblica, “per aggiungere un tassello non secondario all’immagine di una città, col suo territorio, in cui la qualità della vita è ben superiore a quella di tante sue concorrenti” (affermazione che forse non corrisponde esattamente alla posizione di Torino e dintorni -settantasettesima nel 2017- nella classifica sulla qualità della vita delle province italiane del quotidiano “Italia Oggi” pubblicata lunedì scorso, curata dal dipartimento di Statistiche Economiche dell’Università La Sapienza di Roma. O ai valori di inquinamento atmosferico registrati negli ultimi giorni, ma non andiamo a cercare, per restare in argomento edibile, il pelo nell’uovo…). Non c’è dubbio infatti che il Piemonte può rivendicare – limitandosi al settore del food- un primato qualitativo e occupazionale (quest’ultimo anche in alcuni di quei mestieri nei quali Indro Montanelli, con la solita sua preveggente lucidità, dichiarava gli italiani insuperabili: sarti, calzolai, direttori d’albergo e appunto cuochi, insomma, l’imbattibilità nei “mestieri servili”, citando testualmente le sue parole, ma, si sa, è passati dai mestieri “militari” torinesi ai camerieri).

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Torniamo all’invito rivolto da La Spina alle Pubbliche Amministrazioni perché elaborino una “accurata regia di marketing” a sostegno di un’iniziativa privata così attiva, ricordando oltre a EDIT lo Snodo alle OGR. Due imprese alimentari che hanno anche ambizioni culturali -innovazione, condivisione, sperimentazione di nuovi stili di vita e lavoro- che quindi necessiterebbero di una rialimentazione esterna ulteriormente stimolante; e così e ancor più il prossimo grande evento in programma a Torino nel 2018, il concorso gastronomico Bocuse d’Or, celeberrimo a livello internazionale. Sarebbe, se non sprecata in una miriade di banali conati, un’occasione importante per esibire il cibo come elemento di una specifica, “originale” identità torinese e piemontese. Le referenze alte le abbiamo: dalla specialità “alchemica” e produttiva nelle essenze profumate alla cucina futurista, di flagrante attualità per la sua artificialità “chimica”. Sino ad azzardare, essendo Torino sede del Museo Egizio, la rappresentazione di quelle perturbanti analogie tra le ricette per l’imbalsamazione e alcune operazioni di pratica culinaria che illustrò lo scomparso Piero Camporesi, il nostro massimo studioso di comparatistica letteraria e gastronomica. Tanto per rinnovare in forme “sofisticate” quel ruolo di promozione di una nuova sensibilità culturale per il nutrimento che le Giunte regionali presiedute da Enzo Ghigo, a unanime giudizio, seppero storicamente esercitare, e non solo a livello locale.

 

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