"Il caso Spotlight": assolutamente da vedere, l’avvincente ricostruzione di un’inchiesta

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a cura di Elio Rabbione
 
 

Nel luglio del 2001 Marty Baron passò dal Miami Herald al Boston Globe (oggi è alla direzione del Washington Post, il quotidiano del Watergate, il grande salone e le poche luci accese sino a tardi, le ricerche e l’inchiesta di Tutti gli uomini del Presidente) e vi trovò il team di Spotlight, un gruppo di giornalisti d’assalto, in un periodo di stanca. Andò a rispolverare un articolo che a metà degli anni Novanta era stato relegato alle pagine cittadine, ritenuto di poca importanza (e che già avrebbe potuto segnare un punto di partenza se qualcuno gli avesse prestato un’attenzione maggiore, riconoscerà anni dopo il capo equipe), quello su di alcuni sacerdoti accusati di abusi su minori, mai approfondito a sufficienza, mai scavato per venire a conoscenza se tra i vari casi successi ci fosse un legame, per comprendere se la Chiesa fosse a conoscenza e se se ne fosse occupata. Esiste un altro caso di pedofilia, quello che coinvolge padre John Geoghan, su cui l’arcivescovo Bernard Francis Law, a capo dell’intera comunità cattolica bostoniana, pur al corrente, ha sempre fatto di tutto perché non si indagasse, forte della tanta documentazione secretata. La squadra si mette a indagare, scopre vittime e documenti, soprattutto l’omertà di un’intera comunità che è ben lontana dalla volontà di far piena luce sull’accaduto. Grazie all’apporto dell’avvocato chiamato a salvaguardare i diritti delle parti lese, si comprende come i casi si moltiplichino, una decina in un primo tempo, poi dilaghino smoderatamente, coinvolgendo un’ottantina di sacerdoti.

Abusi sistematicamente praticati con le gerarchie ecclesiastiche pronte a mettere ogni cosa a tacere. Il lavoro risultò frenetico, le prove finalmente si susseguivano alle prove, anche se gli attentati alle Torri Gemelle arrestarono per alcune settimane indagini e risultati, alla fine, nel gennaio dell’anno successivo, il primo articolo venne dato alla stampa. In seguito nacquero più di seicento articoli per raccontare e per condannare, per raccogliere quelle prove per cui l’arcidiocesi di Boston pagò circa 85 milioni di dollari come risarcimento nei confronti di molte delle vittime di abusi e fu indotta a pubblicare una lista con i nomi di 159 preti accusati di pedofilia.

Il caso Spotlight, diretto da Thomas McCarthy, è uno dei film più significativi di questa stagione, raccontato senza retorica, con un ottimo ritmo incalzante, appassionante, che non sarebbe così coinvolgente se anche non potesse contare su un gruppo d’attori in vero stato di grazia forse sopra tutti Lev Schreiber, perfetto Baron a tenere i fili a volte esilissimi dell’intera operazione: ma tutti quanti sono davvero eccezionali -, candidato a sei premi Oscar (tra cui miglior film e miglior regia, ma pure miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio auspicabilissimo -, migliori attori non protagonisti, Mark Ruffalo e Rachel McAdams), fedele all’inchiesta che portò il team ed il giornale alla vittoria del Pulitzer nel 2003, ricostruita passo passo con le ricerche affannose, con la lettura dei tanti dossier o la riscoperta dei vecchi articoli troppo in fretta dimenticati, con le sconfitte e quei successi in cui nessuno aveva più il coraggio di sperare, con il sostegno dovuto alle vittime e lo sconcertante incontro con alcuni individui, incapaci di dare un peso giusto e umano alle proprie colpe, con le chiacchiere dolciastre con quanti avevano tutto l’interesse a far sì che ogni cosa continuasse a rimanere sepolta.

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