Il capolavoro ritrovato

Guarino Guarini arriva a Torino nel novembre del 1666. Ha quarantadue anni, è nato a Modena, non è soltanto architetto, ma anche teologo, filosofo, matematico, per i seminaristi della città natale ha composto una tragicommedia dal titolo La Pietà trionfante. È entrato a far parte dell’ordine dei Teatini e durante il periodo trascorso a Roma per il noviziato ha visto e apprezzato l’opera del Borromini, da cui sarà principalmente influenzato. All’inizio degli anni Sessanta, progetta e realizza a Messina la Chiesa della Santissima Annunziata, che verrà distrutta dal terremoto del 1908, è chiamato a Parigi, forse si reca a Praga e Lisbona per nuovi progetti ma non esistono documenti a provare quei viaggi. A due anni dall’arrivo alla corte sabauda, è nominato “ingegnere ducale” da Carlo Emanuele II, con il seguito di capolavori come la Cappella della Santa Sindone e la Chiesa di San Lorenzo, di Palazzo Carignano e della Chiesa di San Filippo Neri. Nel 1680 ottiene il titolo di “teologo” della casa di Emanuele Filiberto, debito di gratitudine per gli anni passati al servizio della corte e per l’abilità dimostrata nell’ideazione della Cappella della Sindone. Muore a Milano, nel 1683, in circostanze non definite.

 

 

La stupefacente verticalità della Cappella

Sin dal 1607 Carlo Emanuele I aveva incaricato Carlo di Castellamonte di dar vita ad un luogo che avrebbe dovuto custodire il il lenzuolo sacro, un luogo ideato per legare intimamente il palazzo del duca e la sede della religiosità torinese, per riconfermare il possesso del simbolo tangibile della cristianità. I primi anni della costruzione, tra scavi per le fondamenta e le lunghe interruzioni non sono particolarmente produttivi, a metà degli anni Cinquanta Bernardino Quadri ne riprende la costruzione ma modificandone il progetto originario, pensando a un edificio circolare che sia posto al di sopra del livello del piano nobile del palazzo e collegato alla navata della cattedrale grazie a due scaloni laterali. L’arrivo del Guarini vede esplodere un progetto inatteso e innovativo, una stupefacente verticalità che si esprime su sei livelli di archi sovrapposti, ruotati gli uni rispetto agli altri, che si riducono man mano a salire e a convergere nella stella/sole in pietra, al cui centro spicca la colomba dello Spirito Santo. Al centro della cappella l’altare del Bertola, con la teca a preservare la sacra reliquia.La presenza della corte, i battesimi e i funerali, il popolo a venerare e ad ammirare, le ostensioni. Poi la tragedia della notte dell’11 aprile 1997, le fiamme che divampano improvvise, l’eroismo dei vigili del fuoco nell’atto di mettere in salvo la teca, la gente incredula con gli occhi rivolti in alto a guardare distruggersi un capolavoro e un simbolo, l’incredulità del momento e dei giorni successivi come pure la rassegnazione che sempre più, buia, si faceva strada verso la necessità di cancellare quel che ancora rimaneva in piedi. Poi i ventuno anni passati a vedere, intramontabili per alcuni sguardi, le impalcature che stavano lì a testimoniare le tante difficoltà, le lunghe tempistiche, il lavoro di tante persone impegnate sui vari fronti del restauro: arrivando all’inaugurazione di giovedì scorso, nel foyer del teatro Regio, alla presenza del Ministro per i beni e le attività culturali Alberto Bonisoli, della Direttrice dei Musei Reali Enrica Pagella, del Presidente della Regione Sergio Chiamparino e della Sindaca Chiara Appendino, dell’Arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, degli sponsor e partner del progetto.

 

Il lavoro di tante persone per una scommessa finalmente vinta

Dinanzi ad un capolavoro restituito ormai definitivamente “a chiunque ama la bellezza”, ha detto Chiamparino, ai torinesi e all’Italia e potremmo a dire al mondo interno (da questa settimana la sua visita rientra all’interno del percorso dei Musei Reali), il ministro ha espresso il ringraziamento a “tutti coloro – tra restauratori, architetti, ingegneri e tecnici – che in questi lunghi anni hanno lavorato per il recupero di questa straordinaria opera dell’architettura barocca, un lavoro eccezionale svolto dal personale del Mibac con passione, professionalità e dedizione al servizio di un bene comune”, sottolineando altresì il forte rapporto, quasi a simbolo che vince nell’immaginario collettivo, esistente tra la comunità e la cappella, mentre Chiara Appendino ha tenuto a precisare come l’inaugurazione “non è soltanto un punto di arrivo ma bensì un punto di partenza”. E, ancora il presidente della Regione, tra gli applausi della sala, ha ricordato come, all’indomani della tragedia, si sia “dimostrata appieno la tradizione tutta torinese e piemontese del tirarsi su le maniche” e come “mani sapienti abbiano saputo ricostruire questo capolavoro”. Anche Nosiglia ha fatto sentire la propria voce: ha espresso la volontà che la cappella finalmente ritrovata in tutto il suo splendore – resta ancora l’altare del Bertola a testimoniare, con quello scheletro scuro e quei monconi di marmi e di balaustra anneriti, gli effetti devastanti dell’incendio: il suo restauro inizierà nella primavera prossima – non resti esclusivamente quel capolavoro barocco che è, tappa obbligata del patrimonio artistico e culturale della città, ma sia anche un luogo di preghiera, come fu per secoli.

Adesso il capolavoro è di nuovo lì davanti ai nostri occhi, prova dell’impegno tra forze pubbliche e private e testimone delle eccellenze del Paese, e delle sue capacità. Il costo complessivo del restauro è stato di oltre 30 milioni di euro, vi hanno partecipato il Ministero delle attività culturali con 28, la Compagnia di San Paolo con 2,7, la Fondazione Specchio dei tempi con 645 mila, la Consulta con 150 mila e Iren con 125 mila, per dar vita a una illuminazione a più colori che già ha fatto discutere autorità e pubblico.

 

Un restauro lungo più di vent’anni

Per la mancanza di materiale documentario e grafico utile a comprendere la genesi e la reale statica della struttura dell’edificio, si è reso necessario eseguire indagini approfondite e sofisticate, come in primo luogo la messa in sicurezza della cupola mediante un sistema di ancoraggi e cerchiature metalliche che ne scongiurassero il crollo. Dopo la rimozione dei detriti, si è dovuto passare al montaggio degli impianti e dei sistemi che dovevano monitorare il comportamento della struttura. Nascendo cosi “il cantiere della conoscenza e della sperimentazione”, i rilievi e la schedatura di circa seimila frammenti in pietra, le ricerche storiche, chimiche, fisiche e strutturali, l’individuazione dei punti resistenti dell’edificio. Per acquisire la pietra che vada a sostituire certi materiali danneggiati, è richiesta la riapertura dell’antica cava originale di Frabosa Soprana, si porta avanti il consolidamento degli elementi superstiti e si restaurano i quattro gruppi scultorei e le tombe dei personaggi di Casa Savoia, Emanuele Filiberto, Amedeo VIII, Carlo Emanuele II e il principe Tommaso. Si sostituiscono ancora pilastri e trabeazioni, archi e parti di pareti, sono riprese le volte degli scaloni verso il Duomo e dei due vestiboli, si procede all’integrazione materica e al trattamento di finitura delle superfici interne. Ogni marmo è riconsiderato, i capitelli e le cornici, il grande finestrone che getta lo sguardo dalla cappella al duomo sottostante, l’affresco del lanternino e il rifacimento della sua raggiera dorata. Molto resta ancora da fare, non ultimo offrire al visitatore l’utilizzo degli scaloni – secondo la visuale guariniana – che da sempre eravamo abituati a percorrere senza affidarci al passaggio interno al palazzo, attraverso le collezioni. La direttrice dei Musei Reali Enrica Pagella (che durante l’inaugurazione ha parlato di “un’architettura immaginifica, ardita, ambiziosa”) e la soprintendente Luisa Papotti dovranno trovare una soluzione che accomuni sicurezza e comodità. Mentre si torna ad ammirare il capolavoro, ci si rende conto che siamo ancora di fronte ad un altro – sormontabile – punto di partenza.

 

Elio Rabbione

 

Le foto sono di Daniele Bottallo

 

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