Giù le mani da Skanderbeg

FOCUS INTERNAZIONALE

 di Filippo Re

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Guai a toccare Skanderbeg, l’eroe nazionale albanese che salvò per lungo tempo il Paese delle aquile dall’invasione dei turchi frenando l’espansione ottomana verso il cuore dell’Europa. Fanno discutere recenti pubblicazioni che sminuirebbero l’importanza storica del valoroso condottiero cristiano che con le sue gesta ha scritto pagine di storia memorabili e indelebili. Poco religioso, poco cattolico, non così coraggioso e audace in battaglia come si è sempre creduto finora, e perfino non albanese? No al revisionismo storico, non ci stanno gli albanesi d’Italia vedendo il loro “braveheart” ridotto a semplice e banale leggenda. Da nord a sud della penisola si ribellano i discendenti di Giorgio Castriota Skanderbeg che chiedono giustizia. E tra loro spicca la vivace e agguerrita comunità torinese e chierese dei “Vatra Arberesh”, associazione culturale che riunisce gli italiani di origine albanese, che secoli fa si insediò nel nord Italia per far conoscere la storia e le tradizioni arbereshe attraverso convegni, mostre, viaggi, presentazione di libri, canti e balli popolari di gruppi folcloristici. Anche loro sono pronti a rispondere a queste insinuazioni con fatti e documenti storici inconfutabili. Da Tirana è già arrivata una prima chiara risposta: il 2018 è stato proclamato dal governo albanese “Anno nazionale di Skanderbeg” per commemorare i 550 anni dalla sua morte, avvenuta nel gennaio 1468, all’età di 63 anni. Gli studiosi fanno osservare che, a partire dall’epistola di Papa Callisto III che lo definì “Athleta Christi e defensor fidei”, è impossibile mettere in dubbio i documenti storici finora pervenuti. Ma chi fu questo personaggio e perchè è considerato un eroe albanese? Figlio del principe Giovanni, Giorgio Castriota, a soli nove anni, fu ceduto in ostaggio al sultano ottomano Murad II, padre di Maometto II il Conquistatore, e ricevette un’educazione islamica. Fu convertito all’islam e a 18 anni era in grado di cavalcare come un giannizzero, fino a diventare un comandante di cavalleria. Combatté per il sultano, represse rivolte e occupò nuovi territori, tanto da guadagnarsi il titolo di “Skander Beg” (Alessandro Magno), un imponente soprannome che lo accompagnò per tutta la vita. Si battè al fianco dei turchi ma nel 1443 avvenne la svolta: fuggì in patria, nella sua Albania, mentre partecipava a una spedizione turca in Ungheria, già in parte occupata dagli Ottomani, durante la quale si rese conto delle terribili condizioni di sudditanza e di povertà in cui vivevano gli ungheresi. Tornò dalla parte dei cristiani, ripudiò l’islam e abbracciò il cristianesimo. Cominciò a riconquistare città e villaggi invasi dai turchi diventando in breve tempo un eroe dell’indipendenza e il difensore

della cristianità nella lotta contro l’Impero ottomano. Per 25 anni tutti i tentativi di sottomettere l’Albania compiuti da Murad II e Maometto II furono da lui respinti. L’Europa cristiana lo guardò sempre con grande ammirazione ma fu lasciato solo a combattere una guerra impossibile da vincere contro un nemico che minacciava l’intero Continente cristiano. Quando l’eroe morì, 550 anni fa, il Paese delle aquile divenne una provincia dello sterminato impero dei sultani. Gli albanesi si insediarono in Italia tra il Quattrocento e il Settecento ma è soprattutto durante la conquista turca dei Balcani che avvenne la grande fuga verso la salvezza oltre l’Adriatico. Gli italo-albanesi oggi sono sparsi un po’ in tutta la penisola. Piana degli albanesi presso Palermo, San Paolo Albanese in Basilicata, Falconara Albanese nel cosentino sono alcune delle tante comunità storiche arbereshe presenti in Italia. La regione con il maggior numero di arbereshe è la Calabria, circa 60.000, seguita dalla Puglia e dalla Sicilia, oltre a Molise, Basilicata e Campania.

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