A futura memoria: il "caso Tortora"

Venerdì 20 febbraio 1987, Tortora tornò in televisione e aprì la nuova edizione di “Portobello” con la stessa frase che disse Luigi Einaudi quando riprese a collaborare al Corriere della sera dopo il fascismo: “Dove eravamo rimasti?”

 

MELLANO“A futura memoria” è il titolo dell’ultimo libro di Leonardo Sciascia. Il volume, che è una raccolta di articoli pubblicati dal grande scrittore sui diversi giornali con cui collaborava, riporta un significativo sottotitolo: “se la memoria ha un futuro”. Gran parte degli scritti si riferiscono alla lotta alla mafia e molti di essi parlano della “vicenda Tortora”. Enzo Tortora, celeberrimo anchorman televisivo, fu arrestato il 17 giugno 1983 con grande clamore mediatico perché accusato di associazione di stampo camorristico e traffico di droga, sulla base di dichiarazioni di pentiti poi rivelatesi false. Dovette scontare oltre sette mesi di carcere e arresti domiciliari ed affrontare un lungo iter processuale, che portò anche ad una condanna in primo grado a dieci anni di reclusione, prima di essere scagionato nel processo d’appello e definitivamente dichiarato estraneo ai fatti dalla Corte di Cassazione nel 1987. Tortora lottò attivamente per una “Giustizia Giusta” impegnandosi in politica fino ad essere eletto deputato al Parlamento europeo.

 

Venerdì 20 febbraio 1987, Tortora tornò in televisione e aprì la nuova edizione di “Portobello” con la stessa frase che disse Luigi Einaudi quando riprese a collaborare al Corriere della sera dopo il fascismo: “Dove eravamo rimasti? “. Poi aggiunse: ”Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche, ma me lo consentirete. Molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me, questi terribili anni; molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. Questo grazie a questa cara, buona gente dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiungo: io sono qui e lo sono anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono. E sono molti. E sono troppi. Sarò qui e resterò qui anche per loro.” Profondamente minato nel fisico morì poco tempo dopo, il 18 maggio 1988, non ancora sessantenne.

 

Proprio ieri, 16 settembre, ho partecipato a Torino, nella centrale Piazza Solferino, ad una toccante cerimonia in occasione dell’intitolazione di una galleria del centro città a Enzo Tortora. Alla cerimonia erano presenti molte autorità, dal Sindaco di Torino Fassino, al Presidente del Consiglio comunale Porcino, al Vicepresidente del Consiglio regionale Boeti, alla consigliera regionale Accossato, al redattore del TG2 e Direttore di “Notizie Radicali” Vecellio. Ma tra i vari interventi succedutisi il più emozionante è stato quello di Piero Angela, amico personale di Tortora, con il quale iniziò la sua carriera di giornalista televisivo, che ne ha tratteggiato un affettuoso profilo umano e professionale.

 

Se dagli esempi occorre imparare, la vicenda Tortora, definita da Giorgio Bocca “il più grande esempio di macelleria giudiziaria all’ingrosso del nostro Paese”, sembra tuttavia non aver insegnato molto alla giustizia italiana se è vero, come è vero, che ancora oggi molte persone sono in carcere da innocenti. La contabilità della giustizia italiana – infatti – registra come un terzo della popolazione detenuta sia in attesa di giudizio e come la metà di essi, al termine dell’iter processuale, venga dichiarata estranea ai fatti loro ascritti, innocente, o comunque non colpevole. Come Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale sono ancora in attesa che qualche altra città piemontese, oltre a Torino, Asti e Mondovì, intitoli una via a Enzo Tortora e magari, coraggiosamente, proprio una via di accesso a un istituto penitenziario, come doveroso tributo alla sofferenza di un uomo giusto ma anche come memento per tutti gli operatori della giustizia, perché il “caso Tortora” sia finalmente considerato un “caso Italia”.

 

 

Bruno Mellano
garante.detenuti@cr.piemonte.it

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