Ecco il paradosso di Emilio Salgari

I suoi romanzi hanno ottenuto un eccezionale riscontro popolare, soprattutto presso gli adolescenti, ma sono stati scarsamente apprezzati dalla critica letteraria

 Ecco il paradosso di Emilio Salgàri. Amato da generazioni di ragazzi almeno fino agli anni Settanta del Novecento – l’ultima cresciuta con il celeberrimo Sandokan televisivo -, spacciatore di fantasie esotiche da sfogliare sotto le coperte durante le notti insonni, eppure così poco considerato dai contemporanei. Mentre De Amicis e Carducci unificano i gusti letterari dell’Italia risorgimentale, sostenendo gli indirizzi autoritari e nazionalistici del Regno sabaudo, Salgàri compone romanzetti d’appendice per un quotidiano di Verona. Salgariello, come lo appellano ironicamente i concittadini, manifesta ambizioni probabilmente superiori alle proprie capacità e comunque bellamente ignorate dai circoli letterari. E lui che fa? Deluso e frustrato dalla mancanza di attenzione, si cuce addosso una biografia fittizia: ha abbandonato gli studi al Regio Istituto Tecnico e Nautico di Venezia, ma millanta d’essere capitano di lungo corso e di aver viaggiato per i sette mari. Si rifugia furtivamente nelle sale silenziose delle biblioteche, all’ombroso riparo di atlanti e mappe, inventandosi paesi lontani, giungle impenetrabili, belve in agguato ed acque infestate da pirati di cui si fa prigioniero a vita. Compone un libro dopo l’altro, lavorando instancabilmente ogni notte, in preda a una febbrile follia: finita una storia si catapulta in quella successiva, avido lui stesso di scorribande corsare in cui calarsi con il kriss tra i denti, covando riscosse impossibili.

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Che Salgàri fosse un gran dissipatore di fama e fortune, braccato a vista dai creditori, corrisponde più a leggenda che a verità. Va bene: forse era un mitomane, certamente un visionario, un fabbricatore di menzogne, ma non è la narrativa a essere tutta una menzogna? Scrive – questa la verità – non tanto per mantenere la moglie malata e i quattro figli, quanto per domare la tigre della depressione che gli artiglia l’anima senza dare tregua. Quella stessa depressione che gli ha già portato via il padre e di cui saranno vittime i figli Romero e Omar. È la fatica creativa a consumarlo come una candela nell’alloggio torinese di Corso Casale 205 in cui si è trasferito nel 1900. Quattro libri l’anno, impone il contratto-capestro sottoscritto con l’editore Speirani. Alla fine della sua esistenza lascerà una produzione impressionante, oltre duecento opere tra romanzi e racconti, di cui molti scritti sotto pseudonimo. Ogni giorno prende il tram e si reca alla biblioteca civica centrale per documentarsi con maniacale accuratezza. “Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere”, scrive ad un amico nel 1909. Si lamenta con Speirani d’essere osteggiato, rovinato, senza un soldo, invece è annichilito dal suo stesso sentirsi inferiore, oppresso da sentimenti di autosvalutazione. Il suo umore influenza le interazioni con il resto del mondo, soprattutto quello letterario, da cui non si sente riconosciuto. Incontra De Amicis alle partite di pallone elastico e nemmeno osa avvicinarsi per stringergli la mano.

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La storia triste di Emilio Salgàri finisce la mattina del 25 aprile 1911, immagino piovosa come nelle foreste di Mompracem. Possiamo seguire letteralmente i suoi passi come lui avrebbe fatto raccontando di Yanez o Tremal-Naik. Esce di casa, percorre Corso Casale sino alla chiesa della Madonna del Pilone. Oltrepassata la trattoria del Muletto piega a sinistra e comincia a salire per i prati verdeggianti del precollina, dove oggi si trovano Via Lomellina e Via Odoardo Tabacchi. Costeggia alcuni villini isolati in Strada del Lauro, quindi si inerpica per il bosco di Val San Martino. Lo ritroverà per caso una lavandaia in un burroncello: ha ancora in mano il rasoio con cui si è scannato come uno dei suoi eroi malesi, lo sguardo rivolto al sole nascente. “Vi saluto spezzando la penna”, lascia scritto, ma, sfortunatamente, neppure quel gesto estremo suscita nella comunità letteraria il clamore che egli aveva sperato; tutta l’attenzione del mondo accademico è rivolta ai preparativi per l’imminente celebrazione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Al funerale che si svolge nel Parco del Valentino partecipano un nugolo di ragazzi, i suoi libri sotto il braccio. A ben pensarci, è il più bel commiato che uno scrittore possa meritare.

 

(Sulla vita di Emilio Salgàri consiglio il romanzo di Ernesto Ferrero Disegnare il vento – L’ultimo viaggio del capitano Salgàri, Einaudi, 2011.)

 

Paolo Maria Iraldi

 

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