Dialoghi tra l’Arte africana tradizionale e quella contemporanea

donna-mumuila-oderzo“Africa, la Grande Madre”, con opere della collezione Albertino-Alberghina

 

A sottolineare la curiosità, l’interesse e per molti la felice scoperta che la cultura e l’arte africane vanno acquisendo presso una gran parte del pubblico del nostro paese – con la conferma del termine “arte” a dispetto di pregiudizi neppur sospinti troppo in là nei decenni addietro, con buona pace di un necessario quanto tranquillo giudizio estetico -, si estende in questi giorni ancor più il panorama di quel continente con l’inaugurazione di una mostra intitolata “Africa, la Grande Madre”, sotto la cura sempre perfezionista e agguerrita di Donatella Avanzo, che prende il via il 3 dicembre, un lunghissimo periodo sino al 28 maggio del prossimo anno, nelle sale di Palazzo Foscolo a Oderzo, in provincia di Treviso (una eccellente cornice, questa, costruita nel XVI secolo per Alessandro Contarini, con le caratteristiche tipiche della villa veneta cinquecentesca, vittima delle deturpazioni napoleoniche, sede dei comandi militari nel corso della Grande Guerra, vittima ancora di un grave incendio nel 1974, restaurata felicemente nella seconda metà degli anni Ottanta per ospitare oggi una pinacoteca, convegni, esposizioni d’arte). Dicevamo un’estensione di interesse, richiamando alla memoria di chi legge un’altra mostra, “Africa, dove vive lo spirito dell’arte”, apprezzata nei suoi primi quindici giorni d’apertura da un vasto pubblico (l’esposizione si chiuderà il 29 gennaio) nelle sale della Casa Museo del Conte Verde a Rivoli. Uno sguardo sull’arte africana quindi, che qui in un più ampio panorama spazia “dai graffiti preistorici all’oro dei faraoni, dall’arte africana tradizionale all’arte contemporanea”, rimettendo in campo una visione artistica e, ricordiamolo in tutta la sua importanza, religiosa, per troppo lungo tempo sottovalutata e dimenticata, rivalutata in seguito da un gruppo d’artisti come maternita-oderzo-2Picasso, Matisse, Braque, Derain e Brancusi, pronti ad attingere “alla grande lezione formale offerta da quegli idoli, maschere e feticci, per tradurla in una nuova e vitale stagione estetica”, come sottolineano le parole di presentazione alla mostra. Un percorso lungo quello della valorizzazione, che ha trovato un favore incondizionato e supportato dai sentimenti della passione e della consapevolezza da parte dei viaggiatori, dei collezionisti, degli etnografi pronti a guardare con un occhio diverso l’Art nègre, sino a svelarne in tutta la propria completezza l’eredità culturale arrivata sino a noi. Un collezionismo che nella mostra consegna un invidiabile bagaglio (maschere e preziose statuette nei diverse materiali, immagini) ad opera di Bruno Albertino e Anna Alberghina, medici entrambi e viaggiatori nei più diversi paesi del territorio africano (per tutti, la Costa d’Avorio e il Mali, l’Angola e il Mozambico e il Ghana), e non soltanto, un occhio particolarmente attento lui alla scultura dell’antico continente, indagatrice lei, attraverso il mezzo fotografico, nel ritrasmettere ad un pubblico lontano volti e ambienti, tradizioni e costumi, momenti catturati alla vita quotidiana, i villaggi, il lavoro, le acconciature, i colori delle vesti, istantanee di una cultura che va aiutata a mantenere una genuinità da sempre messa in pericolo da fattori esterni (“i nostri studi, i viaggi che compiamo, gli scambi che da sempre sviluppiamo con altri appassionati e studiosi ci dicono la necessità di testimoniare di un’Africa che lentamente si dilegua, travolta dal vortice della globalizzazione, dall’economia di mercato, dalle religioni importate e dal neocolonialismo economico”, sottolineava ancora Albertino presentano la suamaschera-oderzo1 importante partecipazione alla mostra di Rivoli). Per l’occasione, nella volontà di ripercorrere la lunga strada fatta sino qui dall’arte dell’Africa, vengono altresì esposti alcuni calchi dei celebri graffiti preistorici della valle del Bergiug nel Sahara libico, risalenti a circa 11.000 anni fa, documentati dalla spedizione denominata “Fiumi di pietra” condotta da Alfredo e Angelo Castiglioni, celebri ricercatori, con Giancarlo Negro e Luigi Balbo. La ricostruzione di importanti sezioni pittoriche di tombe egizie, realizzate da Gianni Moro, illustranti i temi della vita quotidiana, delle attività agricole e artigianali, sono messe a confronto con un filmato girato dagli stessi Castiglioni nel cuore delle società africane, a dimostrazione del mantenimento di certi atteggiamenti culturali nel tempo; e ancora un grande diorama che fa parte della ricostruzione di un insediamento minerario per lo sfruttamento del quarzo aurifero da cui veniva estratto l’oro per i faraoni dell’Antico Egitto. A lato dei “reperti”, le opere di vari artisti contemporanei, Raffaella Brusaglino, Giuliana Cusino, Ezio Gribaudo, Isidoro Cottino, Giancarlo Laurenti, George Lilanga, Ugo Nespolo, Nino Ventura, Pietro Weber, sono lì a testimoniare le contaminazioni o i ponti di dialogo disposti negli anni più recenti tra l’arte nostra di oggi e le radici che per molti versi l’hanno generata.

 

Elio Rabbione

 

 

Nelle foto, dall’alto verso il basso:

Donna Mumuila, Angola, foto di Anna Alberghina

Maternità Phemba, Kongo-Yombe (coll. Albertino-Alberghina)

Maschera Kifwebe Luba (coll. Albertino-Alberghina)

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