Così il torinese scopre il velista che è in lui!

Siamo in molti, quaggiù. Un ingegnere che sta in Crocetta guarda la sua barca dondolare nel porto di Varazze, un ex cabinotto rispolvera la deriva dello zio nascosta in un magazzino ad Alassio. Un impiegato di mezza età di San Salvario si imbarca a Loano per un corso di vela, una diciottenne delle Vallette studia per la patente nautica a Livorno, anche se non ha i soldi neppure per un weekend in spiaggia. Siamo in molti, anche se non è facile. Noi, i torinesi al mare, non l’abbiamo sottomano come i liguri, anche se un paio d’ore ci sono sufficienti a raggiungere il mare, la nostra pelle non è abituata, di solito è troppo chiara per stare al sole in costume. Non abbiamo fatto mai nulla di questo, solo basket, calcio, pallavolo, tennis, un corso di karate. Non sappiamo relazionarci con un mezzo che si muove con l’aria, nell’acqua. Spesso neppure sappiamo bene quanta responsabilità ci voglia nel prendere il mare e seguire un itinerario, preservando la salute di chi è con noi o intorno a noi. Tuttavia, siamo in molti, e abbiamo l’entusiasmo, la gioia per un riflesso sull’acqua che il ligure non vivrà mai, il rispetto per un’onda più cattiva delle altre che un toscano non proverà mai. Ci imbarchiamo nelle imprese folli, perché dobbiamo correre per dimostrare che anche noi possiamo essere marinai. Un mio amico, torinese fece la traversata dalla Toscana alla Corsica con il suo Laser, una barchetta di poco più di quattro metri per quaranta chili. Così a me è successo di iniziare piano piano, con la famiglia e una barca di dieci metri, a zonzo per il Mediterraneo tutta l’estate, e poi la successiva, sempre, per più di vent’anni. Beh, al mare ci sono poi rimasto, forse anche per dimostrare qualcosa a me stesso! E alle vele, e al loro disegno ho dedicato la vita, da quelle più piccole a quelle della barche da sogno. E ancora oggi la vela è lì, pronta per tutti: non è difficile, né costosa. Ci sono scuole vela di iniziazione per tutte le età, anche per chi non ha mai avuto opportunità, voglia o coraggio e decide di iniziare ad andare in barca a 60 anni. Oppure, molto meglio, per chi di anni ne ha solo pochi (dai 6 in poi), e viene spinto o si spinge a provare qualcosa di diverso. Alcuni non rimarranno conquistati, ma altri verranno stregati, e sarà per sempre. Non c’è preparazione migliore alla indipendenza e, in definitiva, alla vita, di quella di imparare a gestire una barca tutta propria in ogni condizione, e tuttavia facendo parte di una squadra. Troverete quasi sempre grande professionalità da parte degli istruttori, che oggi vengono preparati meticolosamente. Non è raro sentire le risate che provengono dagli scaletti dove i ragazzi rientrano, salati e stanchi, ma felici! Tutto mentre i genitori attendono, perchè gli orari non sono proprio quelli svizzeri quando si esce in barca, e finchè questa non è ricoverata per bene non si va a casa. Senza contare che quest’inverno ci si può preparare per la prossima estate, per portare in giro i nostri amici – torinesi. Noi staremo al timone, mentre gli altri stapperanno le birre, o lascheranno un po’ la randa. Piaceri differenti ma ugualmente deliziosi, per noi torinesi con la malattia del mare!

 

 Vittorio d’Albertas

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