Con Trump l’Iran torna “Stato canaglia”

FOCUS  di Filippo Re

Bush sta preparando un attacco nucleare contro l’Iran? Nell’aprile 2007, un giornalista chiese al presidente Bush durante una conferenza stampa alla Casa Bianca: “quando parla dell’Iran, signor presidente, lei afferma che sono aperte tutte le opzioni. Ciò include anche la possibilità di un attacco nucleare? Bush rispose: “tutte le opzioni sono sul tavolo. La prima cosa che i governanti dovranno capire è che un Iran con un’arma atomica in pugno sarebbe un fattore di incredibile destabilizzazione per il mondo”. Dalla Corea del Nord all’Iran e alla Siria, tornano gli “Stati canaglia” con un linguaggio aspro e rude che non si sentiva dai tempi di George W. Bush. I toni si sono riaccesi all’improvviso e, tra minacce, insulti e lancio di missili, il duello tra Teheran e Washington è ripreso caldissimo, sul modello nordcoreano, preoccupando la comunità internazionale. La mano tesa di Obama all’Iran, che ha portato all’accordo sul nucleare iraniano del 14 luglio 2015, è stata recisa da Trump che non si fida degli ayatollah per tanti motivi e non crede all’impegno dell’Iran a rinunciare all’arma atomica, fino a mettere in discussione l’intesa di due anni fa. La definisce non solo “pessima e imbarazzante” ma “una delle peggiori intese che gli Stati Uniti abbiamo mai sottoscritto” ricevendo l’approvazione entusiastica di Israele e dei falchi di Teheran. Si torna dunque all’antica nei rapporti tra la potenza americana e il Paese degli ayatollah, uno scontro a suon di parole pesanti, accuse e provocazioni che ricorda la stagione di Bush e Ahmadinejad. Trump afferma tra l’altro che “l’Iran deve mettere fine alla sua ricerca di morte e di armi di distruzione di massa”. I leader iraniani, Rouhani e Khamenei, rispondono che le parole di Trump sono “ignoranti, assurde e piene di odio”. Rispuntano anche le famose armi di sterminio di massa che nell’Iraq di Saddam Hussein erano chimiche e non furono mai trovate e che secondo Bush sarebbero servite agli iracheni per dominare il Medio Oriente e terrorizzare il mondo. Ora invece sarebbe l’Iran a produrre segretamente armi nucleari. Nuove nubi si affacciano sul tempestoso rapporto tra due grandi Paesi che non si sopportano dagli anni Cinquanta e che riporta alla luce una delicata questione che sembrava ricomposta dopo anni di lungo e faticoso negoziato. Si torna al muro contro muro, la piccola potenza persiana che si oppone alla forza della più grande potenza del pianeta. Trump e gli ayatollah vestono i panni di Bush e Ahmadinejad. Straccerà Trump l’accordo di Vienna? Il presidente americano detesta il regime iraniano ma all’interno della sua amministrazione le colombe sembrano prevalere sui falchi e pochi sono favorevoli a cancellare la storica intesa sul controverso progamma atomico. Il fronte europeo, guidato da Macron, rischia di dividersi. Uscire dall’intesa, si sostiene a Bruxelles, sarebbe un errore ma si accusa l’Iran di esercitare troppa pressione nella regione e di esagerare con i test missilistici. Trump invece vuole riaprire un vecchio capitolo di politica estera che ha segnato le relazioni internazionali e i rapporti tra le grandi potenze per tanti anni rischiando di portare il mondo vicino a un conflitto dalle conseguenze imprevedibili. Azzerare l’accordo e ricominciare da capo? Rinegoziare una nuova intesa? Trump deve chiarire entro il 15 ottobre al Congresso, che non ha mai ratificato l’accordo, se l’Iran sta rispettando o meno il patto firmato due anni fa. Probabilmente ha già deciso perchè considera l’Iran inadempiente rispetto alle condizioni poste dall’accordo. In questo caso

 (AP Photo/Carlos Osorio)

gli Stati Uniti ripristinerebbero le sanzioni eliminate mentre i Paesi europei, se vogliono, potranno continuare a rispettare le intese raggiunte e fare affari con l’Iran. Sotto accusa per la Casa Bianca ci sono i test missilistici che non solo violerebbero lo spirito dell’intesa ma dimostrerebbero che Teheran non intende affatto rallentare il suo programma nucleare militare che dovrebbe interrompere o almeno frenare per dieci anni. L’Iran naturalmente sostiene il contrario e parla di rinuncia totale alle armi nucleari citando il primo paragrafo del testo. L’intesa del 2015 tra i governanti iraniani e il Gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania e l’Ue) costringe l’Iran ad accettare ispezioni internazionali nei siti nucleari e già diverse volte gli ispettori dell’Onu hanno certificato che l’Iran sta rispettando il patto ma Trump parla di violazioni dei termini dell’accordo. La dimostrazione lampante dell’aggressività iraniana si è verificata il 23 settembre con il lancio di un missile con una gittata superiore ai 2000 chilometri, in grado di portare diverse testate nucleari, in disaccordo quindi con la risoluzione votata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu che prevede (il testo tuttavia non è molto chiaro su questo punto) la possibilità di sperimentare missili non in grado di caricare bombe nucleari. Il lancio del vettore Khorramshahr, fabbricato dopo anni di lavoro, dimostra chiaramente che l’Iran non ha mai ritardato il suo programma missilistico, neppure con Obama a Washington. Un campanello d’allarme per tutti dunque ma forse è ancora troppo presto per sostenere che l’atomica iraniana è vicinissima, come si diceva già oltre dieci anni fa. Ma c’è dell’altro: l’Iran viene messo sotto accusa da Trump per le sue attività in Siria, Iraq, Libano, nello Yemen e per la collaborazione con la Corea del Nord in materia nucleare. Non è la prima volta quest’anno che l’Iran mostra i muscoli. Il 29 gennaio le Forze armate di Teheran lanciarono un missile di medio raggio, poi esploso in aria, mentre a giugno i Guardiani della Rivoluzione, corpo militare d’élite del regime, ordinarono il lancio di alcuni missili in Siria contro postazioni dei jihadisti dello “Stato islamico”. Il nucleare iraniano diventa quasi un pretesto per scagliarsi contro un Paese “che continua a esportare terrorismo, violenza e caos”, che combatte in prima linea in Siria per sostenere Assad, a fianco dei russi e che sostiene Hezbollah, il partito di Dio libanese, nella lotta contro i gruppi jihadisti. E mentre aumenta il suo peso politico e militare nell’Iraq sciita, gli iraniani cercano di arrivare al potere anche nello Yemen sul Golfo di Aden dove armano e finanziano i ribelli sciiti in lotta contro un governo, cacciato dagli insorti, ma alleato dell’Arabia Saudita intervenuta militarmente al suo fianco. É l’ombra nera, cupa e minacciosa che gli ayatollah proiettano con successo all’estero a preoccupare la Casa Bianca. É l’Iran il grande nemico da affrontare, oltre alla Siria di Assad e alla Corea del Nord. Non è tanto il nucleare iraniano che torna a far paura uscendo improvvisamente dai bunker delle montagne iraniane in cui è stato confinato due anni fa dalla diplomazia internazionale ma il nuovo ruolo di primo piano che l’Iran ha assunto nella regione e di fronte al consesso mondiale dopo essere riemerso dall’isolamento internazionale e aver riacquistato credibilità e forza dopo anni di sanzioni. Ora che Teheran è rientrata nella comunità internazionale a tutti gli effetti è bene che ci rimanga. Le sue mosse vanno controllate attentamente, l’intesa prevede il ripristino delle sanzioni in qualsiasi momento ma isolarla di nuovo porterebbe su una strada sbagliata.

Filippo Re

(“La Voce e il Tempo”)

 

 

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