Come si vive a Mosul, nella roccaforte del sedicente “Stato Islamico”?

I racconti sono da brivido e ci proiettano indietro di molti secoli, quando si viveva tra barbarie e atrocità senza fine. Se sgarri, ti bastonano ovunque tu sia, in casa, in strada, in un locale, ti raggiungono ovunque in pochi minuti, anche in una grande città di due milioni di abitanti. I malcapitati di Mosul stavano probabilmente meglio quando l’antica Ninive era la capitale del celebre regno assiro

Come si vive a Mosul, nella roccaforte dei jihadisti del sedicente “Stato Islamico”? Parlatene con qualche esule iracheno che vive in Italia e che ha familiari e amici laggiù, nel nord Irak. I racconti sono da brivido e ci proiettano indietro di molti secoli, quando si viveva tra barbarie e atrocità senza fine. Se sgarri, ti bastonano ovunque tu sia, in casa, in strada, in un locale, ti raggiungono ovunque in pochi minuti, anche in una grande città di due milioni di abitanti. I malcapitati di Mosul stavano probabilmente meglio quando l’antica Ninive era la capitale del celebre regno assiro. O almeno non si correvano i pericoli che si corrono oggi, ogni giorno, nelle vie di questa metropoli. Dopo aver distrutto siti archeologici, statue, monumenti e simboli del passato, ora si terrorizza la gente, seguendola dal mattino alla sera. Di notte è meglio barricarsi in cantina e non accedere la luce. Testimone indiretto di ciò che avviene a Mosul è Younis Tawfik, nato a Mosul ma cittadino torinese ormai da 36 anni. Scrittore musulmano, poeta e intellettuale molto noto in Italia, Younis parla al telefono con i suoi parenti rimasti a Mosul che oggi, di fatto, sono prigionieri dei tagliagole dell’Isis, come tutti gli altri che non obbediscono agli ordini del Califfo. “I miei cari sono in pratica agli arresti nella loro città occupata dai soldati dell’Isis, afferma il direttore del Centro culturale italo-arabo Dar al-Hikma, è difficile uscirne e scappare, le strade sono pattugliate giorno e notte.

Dappertutto sventolano le bandiere nere dello “Stato islamico” che occupò Mosul il 10 giugno 2014 cacciando dalla città decine di migliaia di cristiani. “Io ho paura, come ne avete voi in Europa in questo periodo, e temo soprattutto per la mia famiglia ogni qualvolta parlo e scrivo libri contro i fondamentalisti islamici”. Younis Tawfik lasciò l’Iraq nell’estate del 1979 poco dopo l’arrivo al potere di Saddam Hussein e sbarcò in Italia dove tuttora vive. Ha studiato e si è laureato a Torino, ha insegnato in alcune Università italiane e poi si è messo a scrivere romanzi e saggi di successo. Già ai tempi di Saddam, un altro dittatore, alleato dell’Occidente e che forse oggi siamo costretti, nonostante tutto, a rimpiangere, Younis non si sentiva molto tranquillo lontano da casa e temeva per i famigliari ma adesso con i jihadisti dell’Isis le cose sono peggiorate. In realtà non è una vita molto facile, né per lui né per i suoi amici e parenti che vivono nelle regioni controllate dai nuovi invasori. Suo fratello, di religione cristiana, è stato ucciso nel 2008 dai terroristi islamici e lo stesso Tawfik non è ben visto dai fondamentalisti per la sua attività di scrittore e insegnante in un Paese occidentale. In questi giorni la famiglia di Younis è stata nuovamente presa di mira dai combattenti estremisti a Mosul. “Hanno bloccato l’auto di mio fratello per le strade della città, l’hanno buttato fuori dalla macchina e l’hanno frustato davanti a tutti, 15-16 frustate.

Cosa aveva fatto di male? La bambina piangeva e la madre, per consolarla, ha abbassato il velo sul viso e a questo punto si è scatenata la furia selvaggia di questa gente. Un gruppo di miliziani si è accanito su mio fratello. È andata ancora bene, ma queste sono cose normali, accadono tutti i giorni. Vivere sotto un tale califfato che in realtà è un’organizzazione criminale è sempre più difficile, anche per i musulmani che non la pensano come loro”. I cristiani ne sanno qualcosa, cacciati da Mosul e dintorni quando le bandiere nere sono entrate in città un anno e mezzo fa, proprio loro che avrebbero più diritto dei musulmani a vivere in queste terre poiché sono arrivati molto prima dell’Islam. “Attenti all’Isis, si sfoga lo scrittore iracheno, questi sono meglio organizzati e più abili di Al Qaeda, usano alla perfezione i social network e tutti gli altri mezzi di comunicazione, conoscono molte lingue e trasformano i loro kamikaze in miti per trovare nuovi seguaci e ammiratori”. Per saperne di più sul tema, sta per essere pubblicato il nuovo libro di Tawfik che, nel titolo, “Il nuovo stato islamico. Industria della morte”, Bompiani editore, sintetizza in modo crudo e lampante il pensiero dell’autore nei confronti dei terroristi islamici.

Filippo Re

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