Casorati, il fascino malinconico e riservato di Torino

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La città sabauda fu terreno fertile per il ritorno all’ordine e ai valori plastici del 900 con rivisitazioni neo-quattrocentesche di Piero Della Francesca e secentesche di Wermeer nella atemporale “ Silvana Cenni”, di Mantegna negli scorci azzardati de “ La fanciulla dormiente”, di Ingres nell’eleganza de “ Il Concerto”. Tutte opere, come egli confessava, che potevano scaturire solo a Torino

 

La mostra di Felice Casorati in corso ad Alba fa ricordare quanto Torino è stata determinante per la sua arte a partire dal 1918. In altre città in cui il pittore soggiornò, a causa degli spostamenti del padre ufficiale, Milano, Reggio Emilia, Napoli, la stessa Padova che pure era in stretto contatto con Venezia, centro culturale di maggiore importanza, non trovò affinità elettiva come in Torino; l’atmosfera silenziosa, riservata, un po’ misteriosa si adattava perfettamente alla sua indole riflessiva e malinconica. Lo stesso fascino lo subì Nietzsche e pure De Chirico allorché s’ispirò alle Porte Palatine per “ La torre rossa” dove nella piazza deserta ed enigmatica  si inserisce, unica presenza, il Caval d’ Brons  di Carlo Alberto ed anche per “ Nostalgia dell’infinito” rievocazione della Mole Antonelliana.

 

Casorati si trovò subito a proprio agio nella città facendo amicizia con personaggi influenti quali l’architetto Annibale Rigotti promotore di salotti culturali, Alfredo Casella, Alberto Sartoris, e con Piero Gobetti con cui condivise in parte le idee politiche senza però prendere forti posizioni contro il regime comportandosi con diplomazia.L’incontro più fruttuoso fu con Riccardo Gualino che gli farà da mecenate commissionandogli molti ritratti e affreschi per il teatrino di casa sua.La scuola di pittura che aprì in Via Galliari annoverò allievi come Lalla Romano, Daphne Maugam e Sergio Bonfantini mentre fu a contatto con Paolucci, Menzio, Levi, Chessa che poco dopo, insieme alla Boswel e a Galante, divennero “I sei di Torino”

 

Nello studio di Via Mazzini 52, cuore della città, assorbì l’atmosfera ovattata e silenziosa cui diede corpo ai dipinti malinconici ed essenziali con allusioni alle quadrettature urbanistiche e alle architetture che tanto affascinarono Nietzsche. La città sabauda fu terreno fertile per il ritorno all’ordine e ai valori plastici del 900 con rivisitazioni neo-quattrocentesche di Piero Della Francesca e secentesche di Vermeer nella atemporale “ Silvana Cenni” (nell’immagine), di Mantegna negli scorci azzardati de “ La fanciulla dormiente”, di Ingres nell’eleganza de “ Il Concerto” Tutte opere, come egli confessava, che potevano scaturire solo a Torino.

 

Giuliana Romano

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