Carlo Terzolo. La realtà immaginata

FINO AL 21 APRILE

E’ stato pittore di grande talento. E di stupendo mestiere. Fedele a un “credo realista”, tutto particolare, che neppure i primi soggiorni parigini (anni Venti – Trenta) e la frequentazione, attraverso l’amicizia con l’ “ardimentoso” Prampolini, di ambienti artistico-culturali contrassegnati da grandi fermenti innovativi, riuscirono a scalfire più di tanto. Classe 1904, astigiano di Incisa Scapaccino, ma formatosi all’Accademia Albertina di Torino e, in seguito, docente egli stesso all’Accademia e al Liceo Artistico subalpino, Carlo Terzolo ha saputo coniugare, a livelli di assoluta maestria, realtà visionarietà e immaginazione in un unicum artistico per il quale Luigi Carluccio a ragione parlò di “Iperrealismo” e “Surrealismo”. Componenti narrative certamente presenti e non contrastanti nell’ opera di Terzolo, capace di lavorare con certosina maniacalità di segno e colore, ma anche di straniarsi dai vincoli del quotidiano per depurarlo dai limiti del contingente, giocando, fantasticando e pur anche ironizzando con sogni, memorie e magie di libertà interpretativa di grande fascino e suggestione. A dirla lunga sul peso e sul singolare significato che nell’arte del Novecento ebbe l’opera del Maestro astigiano, basti citarne la presenza a ben cinque Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma, senza dimenticare il primo premio “Città di Torino” conquistato nel ’50 alla Promotrice e la partecipazione a svariate mostre (la prima importante a “La Bussola” di Torino nel ’52 con presentazione di Italo Cremona), tutte corredate da un gran successo di pubblico e di critica.

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Scomparso nel 1975, solo nell’80 la Regione gli dedicò una retrospettiva a Palazzo Chiablese, cui seguirono nell’ ’87 una retrospettiva a “Le Immagini” di Torino e nel ’91 un’antologica a “La Finestrella” di Canelli, seguita da altre due, nel 2001 e nel 2012, organizzate al “Palazzo Crova” di Nizza Monferrato e alla “Casa del Conte Verde” di Rivoli. Da allora, ci pare che, soprattutto a livello pubblico – torinese e piemontese – qualcosina in più si sarebbe potuto e dovuto fare per tenere viva la memoria del “nostro” Terzolo. Un plauso, dunque, all’iniziativa della Fondazione Bottari-Lattes di omaggiare l’artista con una contenuta ma significativa mostra organizzata allo “Spazio Don Chisciotte”, in via della Rocca, fino al prossimo 21 aprile. Perfetto quel titolo allusivo alla “realtà immaginata”, la retrospettiva è amorevolmente curata dai figli Luca e Paolo, in collaborazione con Vincenzo Gatti, e presenta sedici opere (in prevalenza oli su tela) accanto a una dozzina di disegni, schizzi rapidi e bozzetti preparatori realizzati “al volo” su taccuini o fogli sparsi per essere poi analizzati e ricomposti in studio sotto forma di opere ben definite e compiute. Visioni di una realtà sempre occhieggiante ad “altro”, in cui la narrazione “viene scissa e ricomposta – scrivono i curatori – secondo logiche interne solo alla logica dell’opera stessa”. Fatto salvo un rigorosissimo dipinto del ’24, “I pini di Natale” appartenente alla collezione di Mario Lattes, tutti gli altri sono stati realizzati dai primi anni Sessanta e scelti attraverso una scrupolosa selezione tematica che ha imposto il sacrificio di opere iconiche, come quelle dei grandi paesaggi, delle cascine o delle fornaci. Al posto d’onore (solo per disposizione dei quadri) l’“Interno” del ’59: un tavolino in primo piano su cui poggiano un cono, una trottola e uno specchio che riflette una “realtà immaginata”, il fiume e la collina torinese che proprio non si vedevano dallo studio del pittore (già di Umberto Mastroianni), al civico 4 di via Perrone. Dietro appare a metà anche una figura femminile che sembra restia (o infastidita?) a rinunciare alla   propria privacy. Ironia. Curiosità. Voglia di gioco e di evasione. Tutto ciò che troviamo anche nella “Ragazza con le galline” del ’75, unica opera in mostra senza firma. L’artista morì prima di ultimarla. E chissà se a quella fanciulla che corre impacciata nel tentativo d’acchiappare il pennuto ribelle, sotto gli occhi di un bimbo con la palla in mano e l’indifferenza di un micio che si crogiola e si stiracchia sul muretto, Terzolo avrebbe voluto aggiungere qualcosa in più? Resta il dubbio, che non sminuisce la briosità dell’atmosfera. Come nel delizioso “La scelta della cartolina” del ’69, con tanto di cartoline realmente illustrate una a una, l’uomo con giacca a spalla e bretelle indeciso nella scelta, il cagnolino paziente in attesa e, sullo sfondo di un angolo della riviera ligure che parrebbe Noli, il roccioso isolotto che parrebbe l’isolotto di Bergeggi. Flash visivi. Piacevolissimi. Ma anche scombussolamenti della memoria. Di quell’antica infanzia rurale – con i carradori, i pozzi a bricola, le ruote, i tricicli da trasporto, lo schiacciasassi, le scale nell’aia sempre pronte all’uso e la vecchia bicicletta appoggiata al muro del cascinale – che tanto l’avrà legato all’amico Cesare Pavese, conosciuto nell’adolescenza a Reaglie, dove le famiglie furono per un buon periodo vicine di casa.

Gianni Milani

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“Carlo Terzolo. La realtà immaginata”

Spazio Don Chisciotte – Fondazione Bottari Lattes, via della Rocca 37b, Torino, tel. 011/19771755-1; www.fondazionebottarilattes.it

Fino al 21 aprile – Orari: martedì – sabato, ore 10,30 – 12,30 e 15 – 19 

 

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Nelle foto

– “Ragazza con le galline”, 1975
– “Interno”, 1959
– “La scelta della cartolina”, 1969
– “Pozzo a bricola con tacchino”, 1973
– “Il triciclo”, 1971

 

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