La “Buona Scuola” inizia dalla mensa!

IL MONDO DEL BIO / di Ignazio Garau *

 

GARAU2Occorre avviare una riflessione seria sui modelli di ristorazione adottati nel nostro paese, sulle modalità di appalto del servizio, sulla centralizzazione delle cucine, sulla convenienza di scegliere derrate alimentari biologiche, sulla qualificazione complessiva del servizio e sull’importante ruolo nell’educazione e nella formazione dei giovani che riveste l’esperienza del pasto a scuola, oltre che nella prevenzione di importanti patologie

 

Non si può parlare di “Buona Scuola” se si dimentica il ruolo prezioso e indispensabile che l’alimentazione e, quindi, la mensa scolastica possono giocare per la formazione e il benessere dei giovani studenti. Durante ogni giorno di scuola, con il pasto servito a scuola, abbiamo l’opportunità di trasferire ai nostri ragazzi informazioni fondamentali per la loro salute e per la loro cultura. Battersi per esonerare i propri figli dalla refezione scolastica per contrastare i prezzi alti e/o problemi nella qualità del servizio, come sta avvenendo anche a Torino, è fuorviante e non affronta le questioni che sono importanti: educazione, prevenzione, inclusione, convivialità e diritto al piacere, lotta alla povertà, ecc.. Dopo l’Expo di Milano e gli impegni dei Comuni per le Food Policy, occorre agire per garantire il diritto alla piacevolezza del pasto nelle scuole, al cibo buono e biologico, con prezzi accessibili a tutti. E’ un investimento sul futuro della nostra società.

 

BAMBINILa Legge 107/2015, denominata “la Buona Scuola”, non affronta il tema dell’alimentazione dei ragazzi e della cultura alimentare. Eppure, negli anni passati il nostro paese ha fatto “scuola” in Europa, e non solo, in tema di ristorazione scolastica. Nel 2004 le mense scolastiche romane sono state riconosciute dal Consiglio d’Europa tra le migliori “prove di buone pratiche nella pubblica amministrazione”. Anche l’Agenzia della Nutrizione Scolastica della California ha analizzato i metodi e l’organizzazione dei pasti scolastici degli studenti romani e i ricercatori dell’Università di Cardiff hanno incontrato in Campidoglio le autorità comunali, visitato le scuole, stilando il rapporto “School Meals in Rome – The Quality Revolution”. Non sono mancate le visite di altre capitali europee per studiare le esperienze di altre città italiane: senza fare l’elenco completo, possiamo dire che le esperienze italiane sono state al centro dell’attenzione.

 

Le amministrazioni europee che hanno studiato le esperienze italiane ne hanno fatto tesoro e hanno investito per migliorare i loro modelli di servizio. Oggi i ruoli si sono invertiti e siamo noi che rischiamo di dover imparare da loro: mettere a confronto la situazione italiana con quella di alcune capitali europee significa evidenziare un divario di sensibilità, di scelte e di investimenti. Vuol dire suscitare sorpresa nei diversi nostri interlocutori, che si occupano della gestione della ristorazione collettiva nelle diverse città europee, con cui ci siamo confrontati. “Ma come, voi che siete la patria della dieta mediterranea, che siete paese leader nelle produzioni dell’agricoltura biologica, che vantate una così importante tradizione e cultura alimentare …”  mi sono sentito ripetere più di una volta.

 

I tagli alle risorse a disposizione degli Enti Locali e la necessità di contenimento dei costi hanno provocato, infatti, modifiche al servizio erogato e sicuramente non un miglioramento della sua qualità. Certo non mancano le eccezioni, ma ad esempio il biologico è stato bersaglio di attacchi (“costa troppo”, “ci sono problemi nel reperirlo”, ecc.) e si è creata volutamente molta confusione tra alimenti biologici e prodotti tipici, locali, prodotto stagionale, a KM 0, a lotta integrata, facendo sorgere un antagonismo tra questi vari termini a scapito uno dell’altro, con la conseguenza che sono state abbandonate molte delle buone pratiche che erano state avviate. L’esperienza della Città di Copenaghen, ad esempio, ci dimostra che il tema del prezzo delle derrate biologiche e della loro disponibilità è un falso problema e che si può puntare alla conversione biologica del pasto affrontando correttamente l’aspetto dei costi.

 

La Città di Copenaghen ha promosso la costituzione di una Fondazione che gestisce dal 2007 la conversione al biologico di 900 cucine municipali, impiegando nel team tecnico circa 30 persone con diverse professionalità: cuochi, dietisti, formatori, comunicatori, project managers. Loro compito è quello di ideare buone pratiche per migliorare il processo di produzione dei pasti, con l’obiettivo di arrivare al 100% bio, senza aumentare i costi delle materie prime. I pasti distribuiti giornalmente sono circa 65.000 e già qui appare evidente che il modello di ristorazione adottato non è quello della centralizzazione spinta: le grandi cucine centralizzate hanno lasciato il posto a ben 900 cucine, decentrate e distribuite su tutto il territorio comunale. Anche il numero del personale impiegato nella preparazione dei pasti (circa 1.700 persone) evidenzia che il modello di decentrare la preparazione dei pasti può creare occupazione. Il costo dei pasti, anche se un confronto non è così semplice e immediato, appare inferiore a quello di molti comuni italiani.

 

Occorre, dunque, avviare una riflessione seria sui modelli di ristorazione adottati nel nostro paese, sulle modalità di appalto del servizio, sulla centralizzazione delle cucine, sulla convenienza di scegliere derrate alimentari biologiche, sulla qualificazione complessiva del servizio e sull’importante ruolo nell’educazione e nella formazione dei giovani che riveste l’esperienza del pasto a scuola, oltre che nella prevenzione di importanti patologie. Scelte che non comportano necessariamente un aumento dei costi, come abbiamo visto nell’esperienza concreta della Città di Copenaghen, ma che anzi possono contribuire efficacemente anche a rigenerare i circuiti economici locali, in un rapporto nuovo e diverso con la produzione agricola e a creare opportunità occupazionali.

 

L’indagine di Save The children

 

In Italia, le impostazioni sono molto differenziate da comune a comune, come rileva anche una recente indagine di Save The children, che ha diffuso, per il terzo anno consecutivo, il rapporto “(Non)tutti a mensa”, analizzando i servizi di ristorazione scolastica nelle scuole primarie. “La presenza del servizio non è garantita in tutti i Comuni in maniera uniforme ma varia in modo significativo sul territorio a seconda della disponibilità di risorse economiche – scrive Save The children – oltre che della volontà politica delle amministrazioni”.

 

La mensa, rileva il rapporto, non è presente in tutte le scuole: il 40% degli istituti principali ne è sprovvisto. Percentuale che sale in alcune regioni del Sud, per esempio in Puglia (53%), Campania (51%), Sicilia (49%) mentre al Nord, la mensa manca in circa un terzo delle istituzioni scolastiche principali (per esempio in Veneto, 32%; Liguria, 29%; Lombardia, 27%; Piemonte, 27%).Ma anche laddove c’è, il servizio di refezione scolastica presenta grandi differenze sia per quanto riguarda i criteri di accesso, che per gli standard qualitativi.

 

Dall’analisi delle mense delle scuole primarie nei 45 Comuni capoluogo di provincia con più di 100.000 abitanti, emerge che nel 90% dei casi il servizio è affidato a ditte esterne di ristorazione e per il 65% dei comuni il servizio viene effettuato esclusivamente con pasti trasportati da cucine esterne. Molti i comuni del Sud Italia (ad eccezione di Cagliari) che usufruiscono esclusivamente di servizi di refezione con pasti trasportati dall’esterno.

 

Inoltre, prosegue il rapporto, anche se tutti i comuni monitorati dichiarano di aver recepito le direttive delle Linee Guida del Ministero della Salute per quanto riguarda la predisposizione dei menù sulla base dei LARN (Livelli di Assunzione giornalieri Raccomandati di Nutrienti) e la previsione di controlli esterni, non tutti hanno attivato la Commissione Mensa in tutte le scuole, fondamentale per coinvolgere anche le famiglie sul tema dell’educazione alimentare.

 

La mensa non è uguale per tutti, evidenzia ancora Save The children, poiché esaminando nel dettaglio le tariffe applicate nei 45 comuni capoluogo monitorati, queste variano notevolmente, con rette minime che vanno dagli 0,35 euro al giorno di Salerno ai 5,5 di Bergamo e tariffe massime che vanno dai 2,3 euro di Catania ai 7,7 euro di Ferrara.Anche per quanto attiene il diritto o meno all’esonero dal pagamento della retta, ci sono molte differenze, fino a arrivare al “paradosso che una famiglia in condizione di povertà a Bergamo si trova a pagare di più di una famiglia con un reddito medio – alto a Trento” e Save the Children evidenzia ancora che il 57% dei comuni intervistati prevede misure di riduzione e esenzione solo per i residenti, mentre il 43% non prevede nessuna forma di restrizione legata alla residenza.

 

Di fronte a una situazione così differenziata, con difficoltà nell’accesso, problemi di costo e/o di gradimento del servizio, stanno nascendo forme di resistenza, collettiva o individuale, per ottenere il riconoscimento del diritto di non utilizzare il servizio di refezione scolastica, optando per l’alternativa del pasto da casa. Ci sono le petizioni collettive, ma c’è anche la ricerca di soluzioni individuali, magari chiedendo un certificato medico per ottenere l’esonero dalla mensa.L’aspetto economico riveste un importanza considerevole, con la difficoltà per molte famiglie di sostenere i costi del servizio, soprattutto quando in casa c’è più di un bambino da mandare in mensa.

 

“Sono anni che Save the Children denuncia il gravissimo aumento della povertà minorile in Italia. Diamo atto al Governo di aver inserito finalmente, nella nuova legge di stabilità, l’avvio di una misura organica di contrasto alla povertà minorile e, in particolare, un fondo sperimentale triennale dedicato a contrastare proprio la “povertà educativa”, la dimensione a nostro avviso più grave e meno considerata della povertà dei bambini, che blocca sul nascere le loro aspirazioni e le prospettive di crescita per il futuro. Ci auguriamo che questi interventi segnino un effettivo punto di svolta nelle politiche di welfare sull’infanzia in Italia e che, in questo quadro, si intervenga anche sulle mense scolastiche, sottraendo questo servizio dalla discrezionalità dei singoli comuni e considerandolo invece come servizio essenziale, con gratuità di accesso per tutti i minori in povertà”, afferma Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia – Europa di Save the Children. “Auspichiamo che si definisca un piano per l’estensione del servizio a tutte le scuole, a partire da quelle che si trovano nelle aree più deprivate, anche al fine di tenerle aperte tutto il giorno, con il supporto di tutte le realtà sociali ed educative territoriali. Va inoltre posta particolare attenzione alla qualità del servizio, per l’educazione alimentare e la promozione della salute, garantendo la possibilità ai genitori e agli stessi bambini di partecipare attivamente e di monitorare il servizio.”

 

La mensa scolastica è un’opportunità per costruire delle Food Policy capaci di rispondere a più esigenze nel segno della sostenibilità: sociale, economica, culturale, promuovendo un progetto di miglioramento della qualità della vita. Occorre difendere il diritto di accesso alla mensa, il diritto alla gradevolezza del pasto, con l’utilizzo di alimenti biologici, perché la ristorazione è un diritto per i ragazzi, un investimento sul futuro, perché ci consente di intervenire per la prevenzione delle patologie conseguenza di una errata alimentazione, ovvero di errati modelli alimentari e di cibi non adeguati.

 

Scegliere i prodotti dell’agricoltura biologica, inoltre, non significa solo sostituire i prodotti “convenzionali” con i prodotti “bio”, perché è la scelta di chi vuole prendersi cura della propria salute e di quella dell’ecosistema in cui viviamo, adottando un nuovo stile di vita. L’agricoltura biologica è, infatti, un insieme di principi e di valori che costituiscono una visione originale del modo in cui l’uomo si deve occupare della terra, dell’acqua, delle piante e degli animali per produrre, preparare e distribuire il cibo e altri beni. L’agricoltura biologica afferisce al modo in cui le persone interagiscono con paesaggi vivi, si rapportano luno con l’altro, contribuiscono a formare e custodire l’eredità per le generazioni future. Scegliere alimenti biologici per le mense scolastiche significa proporre ai giovani, ai futuri cittadini questi valori.

 

Dopo l’Expo di Milano, con i tanti buoni propositi annunciati, e condivisi, dopo la “Carta di Milano”, il “Milan Urban Food Policy Pact” sottoscritto a Milano il 15 ottobre scorso, il “Patto dei Sindaci per il cibo, l’alimentazione e l’agricoltura sostenibili” presentato dal Sindaco Fassino nel corso del III Forum Mondiale sullo Sviluppo Economico Locale svoltosi a Torino dal 13 al 16 ottobre scorsi, il tema delle “mense scolastiche” può rappresentare un’opportunità per avviare efficaci “Politiche Alimentari” nelle Città, oltre a un efficiente nuovo rapporto tra aree urbane e  territori rurali. Occorre puntare a un migliore servizio di mensa scolastica, anziché battersi per ottenere l’esonero dal servizio!

 

* Ignazio Garau

Presidente Italiabio

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