Avigliana, le opere di Alfredo Levo nella Chiesa di Santa Croce

levo1Il disordine delle periferie, la magia del circo, l’infanzia offesa: tra lirismo e realtà la grandezza di un artista

 

Di Alfredo Levo – nasce nel ’21 a Ribordone Canavese, alla fine del conflitto mondiale, già fatti propri appieno il talento e la professionalità nel disegno e nella pittura, intraprende la strada della grafica pubblicitaria che lo porterà a seguire le pagine della “Gazzetta del Popolo” e a inventare la testata di “Tuttosport” viva ancora oggi, a metà degli anni Cinquanta approda alla Rai per diventare uno degli scenografi più apprezzati, con la gestione dell’ufficio grafico che faceva capo al telegiornale ma che di fatto supportava tutti i programmi, trent’anni di carriera che non lasciarono escluso neppure il festival di Sanremo, lunghi anni intervallati dalla partecipazione a collettive e personali che sfociarono in riconoscimenti e premi di primaria importanza – ricordo nel maggio di due anni fa una preziosa retrospettiva alla Promotrice torinese, ad un anno dalla scomparsa, una sala mozzafiato in cui si poteva riflettere ancora una volta sulla grandezza di un artista che, con tratti allo stesso tempo lirici ed estremamente realisti (“la salda tempra espressionista”, scriveva Angelo Mistrangelo), rivisitava le proprie passioni, dalla classicità allo sport, guardava con ironia al mondo e al sogno cinematografico di Charlot, rendeva omaggio a Picasso, sottolineava con eccellente acutezza i propri personaggi, immersi nel disordine delle periferie o trasportati da un mondo antico al nostro stesso quotidiano.levo2

Felicemente l’Associazione “Arte per Voi” ripropone fino al 16 ottobre presso la chiesa di Santa Croce, in piazza Conte Rosso ad Avigliana, a cura di Giuliana Cusino, la bellezza del percorso artistico di Levo, una quarantina di opere suddivise in acrilici e tecniche miste, in chine su carta e acquetinte, dove in un antico e suggestivo contesto ancora una volta riappaiono l’originalità di certi soggetti e la sincerità dello svolgimento, i sentimenti di umanità che certi angoli impressi nella memoria dell’artista o catturati da una precisa occasione trasmettono a chi guarda. Levo non descrive soltanto con immensa bravura, Levo partecipa con il cuore ancor prima che con la mente a quanto va rappresentando. Lo fa con i chiaroscuri (colpisce “Vietnam” del 1968, in tutta la propria tragedia) che esplodono nei “Pupi” o nei ricami perfetti che inquadrano i “Girasoli dalla finestra” (2000); lo fa con l’uso del colore, a tratti con la sua esplosione o il concreto intersecarsi, a fermare una suggestione, a sottolineare un motivo, a sprigionare uno stato d’animo. C’è il mondo delle giostre colorate che hanno appena stazionato al limite del paese, quasi un sogno, di cui il cavallo bianco in primo piano è il levo3manifesto (“Piccolo circo di periferia”, 1965/75; “ Ti sogno sempre, Luna Park”, 1982), c’è l’immagine delle città, possono essere Venezia o Firenze, intrise di ricordi cubisti, spezzate nei propri panorami, visioni cartellonistiche che diventano pittura e che, dalla bellezza dei grandi centri, si spostano nelle periferie che crescono storie diverse. La bellezza del mondo, traumatizzata, si frantuma, ingloba le sagome spezzate e sofferenti degli adulti, vuoti manichini accumulati lì quasi a voler testimoniare l’indifferenza e la povertà e l’inutilità che riempiono ormai strade e piazze (“Uomini vinti”, 1967), il dolore che anche l’infanzia inevitabilmente prova, intristita, grigia, sperduta (“Infanzia, 1968). In qualche angolo restano i colori squillanti degli sportivi che lottano per un trionfo, vecchi campioni chiamati a essere baluardo e difesa, ma su tutto pare prendere peso, nell’universo pittorico di Levo, una modernissima quanto dolorante “Deposizione” (1969), chiusa nel suo corpo sfatto, ancora una volta vinto, e in quei carnefici che vestono armature di oggi o la solitudine del “Poeta” dell’anno precedente, schiacciato contro l’albero beckettiano che unico spettatore, dentro il vuoto minaccioso del panorama, ascolta versi senza memoria.

Elio Rabbione

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