Anni 2020… la gestione dello sport nel futuro

Il mondo dello sport è in continua evoluzione, anche se sembra però che a questa evidenza molti non sappiano farsene una ragione. Parlo dell’acquisizione sul campo dei diritti per svolgere un campionato di qualsiasi categoria vincendo un campionato di categoria inferiore oppure del suo contrario, perdere la categoria e discendere negli abissi della retrocessione. Tutto ciò era romantico se consideriamo e valutiamo lo sport per quello che in passato era considerato, cioè uno svago, un passatempo da praticare quando si era giovani e poi si andava a lavorare. Purtroppo il tempo è passato (o forse per fortuna…) e ora gli svagati del calcio, del basket, del tennis…etc… guadagnano cifre non sempre iperboliche ma comunque molto alte se paragonate a lavoratori “comuni”. Si dirà che la loro carriera è breve, che devono capitalizzare in fretta e tante buone ragioni consimili, ma in realtà, quello che molti ignorano, chi per vera ignoranza e chi per convenienza da strumentalizzare, è che l’atleta, in un modo o nell’altro, troverà un nuovo impiego in un’altra squadra, mentre altre sono le realtà (altrimenti dette “persone” e non risorse umane…) che si troveranno in difficoltà. Un’impresa sportiva, intesa come azienda, non ha solo gli atleti, anzi! Ha gli impianti da gestire con personale adeguato, ha le segreterie da mettere in funzione, uffici stampa, addetti agli atleti, magazzinieri, staff medici e persone addette alle biglietterie, addetti allo stadio o ai palazzetti e molteplici altre figure in funzione dell’ambiente e del livello raggiunto.

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Tutte queste persone lavorano grazie all’azienda che “gioca” in serie A… o altro livello che sia. Mettere in piedi tutto questo meccanismo ha costi elevati (se lo si vuole fare in regola) ed è necessario che chi investe non debba temere di buttare tutto in un attimo per un rigore sbagliato o un tiro libero finito sul ferro. Salire di livello crea entusiasmo, ma la strutturazione necessita di tempo. E se la piazza non risponde, tutte queste persone non lavoreranno più, in questo ambito almeno. Il diritto sportivo è romantico, giustifica passioni ma non considera i “drammi” che questo causa, e la parola non è usata abusandola. Le grandi città o le grandi piazze in generale come bacino di utenza garantiscono pubblico, attenzione dei media, sponsor, ma nonostante questo anche qui si fatica a costruire. Se a tutto questo si aggiunge ancora l’incognita di restare a questi livelli si comprenderà la difficoltà a realizzare qualcosa di particolarmente bello. Lo sport è gioia, sofferenza, entusiasmo e agonismo, ma deve essere anche spettacolo, altrimenti il pubblico non si muoverà per vederlo. E se è solo tecnica piacerà a pochi. Quando uno sport non ha pubblico, il perché c’è sempre, che lo si voglia o meno. Ma se è la paura di perdere a non permettere lo spettacolo o l’ingresso di volti nuovi magari dal mondo dei vivai sportivi, è evidente come non sarà lungi il tempo in cui a tale “non-spettacolo” si recheranno solo gli appassionati tifosi, che in ogni tempo e luogo sono sempre un sottoinsieme degli appassionati dello sport in sé.

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Lo sport ha costi e persone che vivono grazie allo sport stesso e non dovrebbe più essere permesso di “rischiare” la qualità della vita di chi ci lavora solo in funzione delle capacità degli atleti o rischiare il “posto” a causa degli infortuni che possono subire, o scatti “emotivi” degli atleti stessi che danneggeranno la loro azienda. Lo sport ha bisogno di aziende, impianti e di manager forti che garantiscano sicuramente i giocatori, ma soprattutto i volti oscuri dei lavoranti veri dello sport, di quelli che hanno un lavoro grazie ai giocatori di quella squadra, mentre i giocatori di quella squadra non hanno il lavoro grazie agli “oscuri”…  Per proteggere loro, per tutti quelli che mettono “in campo” la loro opera quotidiana e di cui nessuno mai parla, il vero progetto è: per tutti lo sport, ma per quello professionistico, in quanto tale, solo ai professionisti. Il mondo dello sport non può fare a meno di una piazza sportiva come quella della nostra città. Si possono dire tante cose su altre città con passati più “storici”, ma nel panorama delle diverse discipline sportive, con più vittorie ad alto livello in ogni ambito sportivo Torino non invidia nessuno. Gli spazi per praticare “la qualità” sportiva sono addirittura in surplus rispetto alla necessità. L’antidiluviana concezione dello sport come diritto sportivo è ormai in pieno contrasto con le necessità economiche e fiscali con le quali il mondo dello sport odierno deve fare i conti!  Un progetto sano dovrebbe prevedere aziende in grado di garantire posti di lavoro “agli oscuri” per più tempo. Altrimenti la precarietà di cui tutti lamentano nella quotidianità del lavoro “normale” dovrebbe (e in realtà è!) diventare la condizione unica non di chi gioca sul prato verde o sul parquet ma di tutti coloro che vendono anche le bibite allo stadio (se ci sarà la partita) o i parcheggi intorno allo stadio (se si giocherà una partita) o anche solo delle magliette souvenir (se ci sarà ancora quella squadra…).

Paolo Michieletto

 

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