Aleppo prova a rinascere

FOCUS /di Filippo Re

Aleppo prova a rinascere dopo quasi cinque anni di guerra civile. Dal luglio 2012 fino a dicembre 2016 Aleppo è stata trasformata in un grande campo di battaglia. Poi le forze governative siriane sostenute da russi, milizie iraniane e dagli Hezbollah libanesi hanno posto fine al lungo assedio che ha sventrato la città lasciando una lunga scia di morte e disperazione. È stata imposta la tregua e gli ultimi gruppi di ribelli siriani sono stati costretti a lasciare la parte orientale della città che occupavano da oltre quattro anni. Migliaia di Aleppini, in gran parte civili, sono morti e la città, un tempo una delle più belle e affascinanti del Medio Oriente, presenta oggi un volto spettrale.

Una città fantasma, con due milioni di abitanti rimasti al buio per cinque anni, senz’acqua, cibo e medicine e con gli ospedali ridotti a un cumulo di macerie. Ma com’era Aleppo prima della guerra civile, nella Siria del clan alawita degli Assad, del padre Hafez el Assad e del figlio Bashar? Negli anni Settanta e Ottanta il partito baathista al potere a Damasco divenne bersaglio dell’opposizione armata e numerosi alawiti furono eliminati. Il fatto più grave accadde proprio ad Aleppo il 16 giugno 1979 quando decine di cadetti, quasi tutti alawiti, della locale scuola di artiglieria furono massacrati da un gruppo di terroristi. Scrive Patrick Seale nella sua biografia di Hafez el Assad “Il Leone di Damasco”: “un insegnante, il capitano Ibrahim Yusuf, riunisce i cadetti nella sala mensa e fa entrare i guerriglieri che aprono il fuoco sui giovani. Trentadue restano uccisi sul colpo, secondo il rapporto ufficiale, e altri 54 vengono feriti. Ma altre fonti affermano che l’effettivo bilancio sarebbe almeno di 83 vittime. È una dichiarazione di guerra”. La reazione di Damasco non si fece attendere e centinaia di membri dei Fratelli Musulmani e degli oppositori baathisti finirono in carcere. Molti furono condannati a morte. Gli attacchi al potere erano una prassi quotidiana in Siria fin dall’intervento in Libano nel 1976 ma non c’era mai stato un attacco così grave prima di Aleppo. Fino a quel momento il governo di Damasco vedeva dietro ogni attentato la mano dei servizi segreti iracheni ma l’eccidio di Aleppo rappresenta indubbiamente un salto di qualità nell’offensiva contro la sicurezza dello Stato.

 REUTERS/Khaled al-Hariri 

Il nuovo nemico da combattere diventa l’opposizione interna vicina ai Fratelli musulmani. Tra il 1979 e il 1981 i terroristi sconvolgono Aleppo facendo oltre 300 vittime, in gran parte baathisti e alawiti. Arrivano improvvisamente nelle strade delle città siriane, piazzano bombe, bruciano gli edifici pubblici, costringono i negozianti a tenere le serrande abbassate, e sparano all’impazzata per cercare di controllare i quartieri. Accerchiati dalle forze di sicurezza e ormai in trappola, di frequente si facevano saltare in aria attivando le bombe legate alla cintura, iniziando una pratica che sarebbe diventata negli anni successivi sempre più rituale per i terroristi per non cadere nelle mani del regime. Dopo aver mirato molto in alto ai vertici del potere e delle forze di polizia ottenendo importanti successi ma senza riuscire a far crollare il governo, i Fratelli Musulmani provano a dar il colpo decisivo al regime bloccando il commercio e i trasporti, paralizzando le città e le attività lavorative. Riescono a far chiudere per due settimane il centro economico e finanziario di Aleppo e sfidano le autorità ad Hama, Homs, Idlib, Deir-ez Zor e in altre città. Il fronte interno scoppiò tra le stesse mani di Assad e la reazione fu durissima. Centinaia di esponenti della Fratellanza musulmana furono arrestati insieme a numerosi oppositori del regime, tra i quali il predicatore della Grande Moschea di Aleppo, lo sheik Zayn al Din Khayrallah, che aveva mandato in piazza decine di migliaia di persone a protestare contro il regime. Nel congresso regionale del Bath del dicembre 1979 – gennaio 1980 fu deciso di annientare l’opposizione armata. Le forze di sicurezza di Damasco, guidate da Rifat Assad, fratello del presidente Hafez, si scagliarono contro i Fratelli musulmani e fu un macello. Il clan laico degli Assad detestava in modo particolare i Fratelli Musulmani e, come ricorda Seale nella biografia di Hafez Assad, “fin dalla giovinezza Assad aveva combattuto i religiosi radicali ingaggiando con loro numerose risse nel cortile della scuola di Latakia. In effetti una corrente di islamismo militante aveva fatto parte della vita pubblica siriana fin dagli anni Trenta, quando sacche di resistenza islamica al regime francese erano spuntate un po’ ovunque nel Paese”. I membri della Fratellanza musulmana furono inseguiti ovunque, anche al di fuori del territorio siriano. Vendette sanguinose si registrano ad Aleppo nell’estate 1980 e ad Hama, dove centinaia di uomini e ragazzi minorenni vengono arrestati a caso e uccisi in strada. Per mettere a tacere l’opposizione religiosa estremista, il “Leone di Damasco” sguinzaglia servizi segreti e forze speciali oltre confine. Commando siriani danno l’assalto a campi di addestramento dei Fratelli Musulmani in Giordania mentre in Libano vengono uccisi alcuni giornalisti ostili al regime ma le rappresaglie governative non fermano le rivolte che minacciano l’ordine pubblico e mettono in ginocchio l’economia delle maggiori città della Siria.

In particolare ad Aleppo, dove nel marzo 1980 venne inviata la III Divisione dell’esercito con oltre 10.000 soldati e 250 mezzi corazzati sotto il comando del fratello Rifaat Assad per soffocare le sommosse e riportare l’ordine. Centinaia di oppositori furono uccisi ma non si hanno dati attendibili. La città fu militarizzata e in quasi tutte le strade era presente un carro armato. “In piedi sulla torretta del suo blindato, annota Patrick Seale nel suo volume, il generale Shafiq Fadyah grida agli aleppini di essere pronto ad uccidere anche 1000 uomini al giorno se sarà necessario per ripulire la città dalla “peste” dei Fratelli Musulmani. La sua divisione resterà ad Aleppo per un anno” come ricorda il console sovietico Anwar Ahmadov (i sovietici erano alleati di Assad già a quel tempo e oggi Aleppo, dopo la liberazione dai gruppi ribelli, è difesa da reparti siriani e russi con l’ausilio di un battaglione ceceno). Anche Hama conoscerà una terribile repressione nel febbraio 1982 che cancellerà un terzo della città e causerà la morte di circa 30.000 civili. Importante città commerciale e più ricca di Damasco, dopo la Grande Guerra Aleppo venne separata da Alessandretta e dal suo sbocco al mare e conobbe un periodo di declino. La nascita dello Stato baathista a Damasco fece perdere ad Aleppo l’importanza politica che aveva acquisito negli anni precedenti e il ruolo svolto successivamente durante le rivolte dei Fratelli Musulmani la fece diventare una città nemica. Assad la punì anche sotto il profilo industriale e turistico: la lasciò senza un aeroporto internazionale, senza un centro commerciale e priva di hotel di lusso. Restava però lo storico Baron’s Hotel, costruito ai primi del ‘900 da una famiglia di armeni, che ospitò tra gli altri re Faysal, Lawrence d’Arabia, lo scià di Persia e Agatha Christie, e accolse anche Assad nei primi anni della sua presidenza (1971-2000). Negli anni Ottanta le condizioni di Aleppo migliorarono nettamente con la ricostruzione della città devastata dalla stagione delle violenze, con la realizzazione di nuove ferrovie, strade e industrie. Si sviluppò in modo eccezionale l’Università di Aleppo che passò dai 5.000 studenti del 1980 ai 35.000 di cinque anni dopo. Oggi molti cristiani che vivevano ad Aleppo se ne sono andati, almeno i due terzi sono fuggiti. “Prima della guerra, ricorda il vescovo caldeo cattolico di Aleppo, Antoine Audo, questa era una città ricca e non mancava nulla. Ora i ricchi se ne sono andati, la classe media è diventata povera e i poveri sono miserabili. I giovani sono scappati per evitare di andare a combattere e i tecnici hanno perso il lavoro”. Secondo il Patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Yohanna X, i cristiani di tutte le confessioni presenti oggi a Aleppo non sono più di 35.000.

 

Filippo Re

(Rivista “Il dialogo-al hiwar” del Centro Federico Peirone)

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