maria cristina strati

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Arte, fotografia e società. Ai Weiwei

CONTEMPORANEA / di Maria Cristina Strati

Da Camera, a Torino, la fotografia rivoluzionaria di Ai Weiwei

Quando si ha a che fare con l’arte contemporanea e ci si trova nella circostanza di spiegarla al pubblico, è facile trovarsi nella difficoltà di far comprendere a chi non la conosce che cosa in essa appassioni tanto e, soprattutto, che cosa in essa abbia a che fare con la vita e la quotidianità della società intera. Per fortuna ci sono artisti con i quali spiegare il perché del valore della loro ricerca è più facile che con altri. Sono gli artisti che hanno testimoniato il loro impegno con la propria vita, in maniera molto concreta, e il cui lavoro rimanda in maniera diretta a situazioni, problemi, temi, che ci riguardano tutti. Uno di questi artisti è Ai Weiwei.

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Lo scorso 28 ottobre da Camera Centro Italiano per la Fotografia si è inaugurata una mostra bella e importante, dedicata appunto all’opera di Ai Weiwei. L’esibizione, affidata alla curatela di Davide Quadrio, raccoglie moltissimo materiale fotografico e video anche inedito realizzato dall’artista cinese dal 1983 ad oggi.

La mostra, che si svolge in contemporanea con l’imponente retrospettiva di Palazzo Strozzi a Firenze, prosegue negli spazi di Camera fino al prossimo 12 febbraio e sarà affiancata da una serie di eventi, conferenze e proiezioni, utili ad approfondire ulteriormente la figura e l’opera di Ai Weiwei.

Negli ultimi anni Ai Weiwei si è fatto conoscere dal grande pubblico non solo per la sua attività e ricerca artistica, ma anche e soprattutto per il suo impegno sociale e per i diritti umani. Impegno, il suo, per il quale egli ha pagato personalmente, anche con la reclusione, e che permea interamente la sua opera.

Si può infatti affermare che ogni suo lavoro è pensato come testimonianza viva e attiva di una realtà scomoda con la quale siamo tuttavia costretti a fare i conti.

Di questo ci rendiamo conto fin dal nostro ingresso in galleria. La mostra da Camera si articola infatti intorno a Soft Ground, un’installazione di grandi dimensioni che di fatto accompagna il visitatore lungo tutto il percorso espositivo. Si tratta di un tappeto lungo quanto il corridoio, sul quale è stampata la riproduzione fotografica in scala reale delle impronte lasciate dal passaggio di un carro armato della stessa qualità e dimensioni di quelli usati nel 1989 per reprimere la rivolta di Piazza Tienanmen.

A partire da questo drammatico lavoro e intorno ad esso, nelle altre sale, siamo poi invitati a seguire il percorso artistico ed esistenziale dell’artista attraverso i suoi lavori fotografici. Le fotografie sono esposte infatti in ordine cronologico, seguendo il ritmo dei mutamenti storico sociali che sono incorsi via via negli ultimi trent’anni, con accanto ad esso, mai da esso slegato, il controtempo del racconto autobiografico, con i celebri autoritratti.

L’ultima sala ospita infine Refugee Wallpaper, un’installazione formata da circa diciassettemila immagini frutto di una ricerca documentaria sul tema dell’immigrazione. La quantità delle immagini, tutte di piccolo formato, esposte l’una accanto all’altra a dar luogo a una drammatica tappezzeria multicolore, dà il senso della dispersione, del pericolo di non comprendere, di non vedere e rendersi conto del dramma concreto che coinvolge ogni giorno migliaia di esseri umani che dal Sud del mondo risalgono verso l’Europa e l’Occidente. L’occhio dell’artista qui offre la propria testimonianza attiva, ma sempre con un profondo rispetto, che non si compiace mai del dolore e non lo spettacolarizza.

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Come una vedetta attenta e solerte, Weiwei assume così su di sé il ruolo di colui che richiama l’attenzione, denuncia, avvisa. E, senza perdere la coerenza stilistica e compositiva propria del linguaggio artistico, in ogni suo lavoro egli fa sì che i nostri occhi si posino con chiara consapevolezza laddove le maglie della società sono più lente, i problemi più urgenti, i diritti umani non garantiti.

È chiaro perciò che, nel caso di Ai Weiwei, spiegare perché l’arte contemporanea interessa non solo gli esperti o gli appassionati del settore, ma la società intera, non è facile soltanto in virtù di quella che è ed è stata la sua storia e vicenda personale di rivoluzionario e dissidente. Il modo stesso in cui le opere sono pensate e realizzate rimanda infatti al modo della testimonianza, della denuncia vivida e tagliente che invita alla riflessione e alla presa di coscienza.

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ARound Ai Weiwei: PhotogRAPhs 1983-2016

Dal 28 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017

CAMERA Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, 10123 Torino

+39.011.0881150, camera@camera.to

http://camera.to

 

Le immagini:

New-York-Photographs-1983-1993-Profile-of-Duchamp-Sunflower-Seeds-

Beijing-Photographs-1993-2003-The-Forbidden-City-during-the-SARS-Epidemic

 

TheGIFER – Occhio, arrivano le GIF

CONTEMPORANEA / di Maria Cristina Strati

Avete mai pensato a quali e quante sperimentazioni si possono mettere in atto attraverso le nuove modalità espressive a cui la rete e il mondo del web 3.0 e 4.0 ci consentono di accedere?

strati-gifer2Il prossimo 2 novembre a Torino si inaugurerà un festival molto particolare. Si tratta del primo festival internazionale che si ripromette di raccontare la Gif art, cioé quella che gli stessi organizzatori definiscono come “l’avanguardia artistica degli anni dieci”.

Il festival si svolgerà a Torino dal 2 al 6 novembre, nel bel mezzo della settimana ormai tradizionalmente dedicata all’arte contemporanea, e si snoderà in differenti orari e location in giro per la città. Per ben cinque giorni, tra una fiera e l’altra e un giro in galleria, i visitatori potranno godere di mostre, convegni, feste e molto altro tutti incentrati sul tema delle gif intese come espressioni artistiche a tutto tondo.

L’iniziativa prende le mosse da un dato di fatto: la gif art è un vero e proprio fenomeno artistico di oggi. Nato tra le maglie della rete in tempi recentissimi, la gif art interessa artisti di ogni parte del mondo.

Anche se forse non tutti sanno che cosa esattamente significhi il termine GIF (che sta per Graphics Interchange Format), oggi le gif affollano abitualmente le timelines dei nostri social preferiti e sono venute a far parte della nostra normale e quotidiana percezione delle immagini.

Per intenderci, avete presente quando, nei primi anni del duemila, uscirono i film di Harry Potter? Ecco, e ricordate le immagini sulla Gazzetta del Profeta, che apparivano magicamente animate, perché si muovevano in loop? Ecco, anche senza bacchette e formule magiche, ora quel tipo di immagini, le GIF appunto, anche se non andiamo a Hogwarths, ce le abbiamo anche noi. Anzi, la loro circolazione e diffusione è stata fulminea a pervasiva al punto da farle diventare immediatamente un appetibile banco di prova per artisti e creativi di tutto il mondo.

In realtà, dal punto di vista informatico, le gif non sono esattamente una novità. Sono state inventate da almeno un trentennio e già da tempo circolavano su social come Tumblr. Tuttavia è solo di recente (forse da quando sono state implementate su Facebook?)che le gif sono entrate a far parte in modo massiccio della nostra quotidiana percezione delle immagini.strati-gifer

Da qui a fare della gif una possibile opera d’arte il passo è stato breve e la gif-art si è presto affermata come forma specifica di espressione creativa, in grado di fondere in sé due realtà del nostro vivere quotidiano: le immagini e la rete.

L’ambizione del festival torinese è quindi duplice. Da un lato si tratta da un lato di portare la gif art al di fuori della rete, dandole così la consistenza concreta del fenomeno non solo on ma anche off line. Ma poi la volontà è quella insieme di riflettere su quanto accade e, in senso buono, storicizzare il fenomeno gif art, riconoscendogli senza mezzi termini lo statuto di manifestazione artistica contemporanea a tutti gli effetti.

Il discorso è interessante, divertente, molto attuale. Ma soprattutto ha il merito di provocare nuove domande circa la sperimentazione artistica contemporanea, provando a delineare il panorama possibile di un mondo futuro che ci aspetta, e che in parte è già qui.

www.thegifer.org

 

http://www.thegifer.org/

 

 

 

Carol Rama e la passione dell’arte attraverso le epoche

rama1CONTEMPORANEA  / di Maria Cristina Strati

Il 24 settembre del 2015, ormai anzianissima, ci lasciava Carol Rama, una delle artiste torinesi più controverse e talentuose di sempre, che vanta a buon diritto il proprio posto tra coloro hanno detto la loro nel vasto panorama della storia dell’arte internazionale. Oggi, a distanza di poco più di un anno, la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino la celebra con una grande retrospettiva di indubbio interesse.

La mostra si è inaugurata lo scorso 12 settembre e comprende una grande quantità di lavori dell’artista, lungo tutto il prolungato e variegato percorso della sua carriera, che ha attraversato ben otto decenni.

L’evento è realizzato dalla GAM di Torino grazie al contributo di importanti istituzioni internazionali, quali il MACBA di Barcellona, PARIS MUSÉES / MAMVP, EMMA – Espoo Museum of Modern Art, e l’ Irish Museum of Modern Art di Dublino (IMMA).

In realtà non è la prima volta che la città di Torino celebra Carol Rama. Già nel 2004, subito dopo il Leone d’oro ricevuto dall’artista alla Biennale di Venezia del 2003, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo le aveva dedicato una mostra importante, allora dedicata ai suoi primi settant’anni di carriera, che ne avevarama2 in qualche modo sottolineato e sancito il ruolo decisivo nel contesto artistico contemporaneo in Italia e all’estero.

Oggi, come tutti sanno, Carol Rama è a ragione riconosciuta come una delle maggiori artiste italiane. È innegabile come la sua ricerca, nata da percorsi non lineari e non accademici, sempre libera e irriverente, abbia segnato il linguaggio dell’arte contemporanea in maniera indelebile e del tutto originale.

Il suo percorso artistico prende il via agli inizi negli anni trenta. Attraversa quindi un periodo storico estremamente vario e sfaccettato, denso di importanti trasformazioni storico-sociali, nel corso del quale anche l’arte si è modificata radicalmente, mutando voce, volto e carattere al mutare degli scenari e dei contesti. Osservato dal punto di vista storico, la ricerca di Carol Rama ci appare oggi come un continuo contrappunto, un prendere parte e distanziarsi insieme dalle tendenze diffuse, di volta in volta: come rama3quando negli anni cinquanta aderisce al Movimento Arte Concreta, abbandonando poi questa via per coltivare invece un nascente interesse per l’astrazione, l’informale e il bricolage. È tutta un’altalena di immagini, figure, materiali e colori, che la conduce più tardi all’approdo verso l’arte povera e per finire al ritorno alla figurazione e alle suggestioni della “mucca pazza” degli anni novanta. Ognuno di questi passi, svolte e nuove incarnazioni artistiche si pone però sulla scia di una ricerca coerente, singolare e ben identificabile, dove ogni suggestione esterna era sempre riletta e filtrata in maniera del tutto originale, attraverso lo sguardo appuntito di una indomabile e unica personalità artistica.

È così che Carol Rama ha attraversato le epoche, cogliendo e anticipando movimenti e tendenze.

In certo senso, e con un po’ di fantasia, leggendo la sua biografia artistica viene in mente, per certi versi, un altro grande artista che ci ha da poco lasciato: David Bowie. Rama, come Bowie, ha anticipato, attraversato, interpretato e rivisto le tendenze dell’arte nei diversi periodi, ogni volta lasciando però una traccia sempre personalissima e inconfondibile, nonostante le diverse trasformazioni ed evoluzioni dello stile.

Il paragone, se portato alle estreme conseguenze, è certo azzardato: ma se preso per quello che è, come suggestione e provocazione, rende bene l’idea della personalità geniale e artisticamente feconda in maniera impressionante, capace di lasciare sempre la propria impronta unica e decisiva laddove gli altri sirama4 limitano ad adeguarsi e a seguire ritmi non personali.

Nel caso di Carol Rama è proprio così. È impossibile non riconoscere una sua opera a prima vista, arduo non cogliere in ciascuno dei suoi lavori quei tratti distintivi, di sintesi, di caustica ironia e provocazione portata all’estremo, sua cifra inconfondibile.

Sono molti gli artisti che si sono ispirati al lavoro di Carol Rama, così come sono molti i giovani emergenti che ad esso ancora si ispirano, e a ben guardare la cosa appare inevitabile. Ogni tanto su questo pianeta capita che nasca uno di quegli artisti speciali, unici, incredibili. Che sono come fonti di creatività per tutti, perché tutti riescono ad attingere dalla loro vena creativa, trovando in essa nuovi stimoli, nuova linfa vitale, nuove suggestioni cui attingere, per sempre.

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GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea- Via Magenta 31 – Torino. Orario: martedì – domenica 10-18, chiuso lunedì. La biglietteria chiude un’ora prima. Ingressi: € 10 – ridotto € 8. INFO: Centralino tel. 011 4429518 – Segreteria tel. 011 4436907

e-mail gam@fondazionetorinomusei.it

www.fondazionetorinomusei.it

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Nelle immagini, dall’alto:

Arsenale 1970

Collage di copertoni di bicicletta su tela. Bicycle inner tubes collage on canvas

150 x 100 cm. Proprietà della Camera di Commercio di Torino, Italia

Photo: Roberto Goffi, Torino 

Spazio anche più che tempo Space Rather than Time, 1971

Collage di copertoni di biclette e guarnizioni industriali su tela

Bycicle inner tubes and industrial gaskets collage on canvas

150 x 120 cm Collezione privata Private collection

Photo: Studio Dario & Carlos Tettamanzi

Lusinghe Flattery 2003

Tecnica mista e incisione su carta foderata

Mixed media and engraving on relined paper 25 x 35 cm

Collezione Charles Asprey, Londra Collection Charles Asprey, London

Photo: Andy Keate

Carol Rama nel suo studio.

Photo Roberto Goffi © Archivio Carol Rama

 

Un disco e un asteroide, tutto torinese. Due domande al Piccolo Circo Barnum

barnumSapevate che esiste un asteroide che porta il nome di un paesino del torinese, Angrogna? E sapevate che qualcuno ci ha fatto sopra un disco? Il disco porta il nome dell’asteroide, 8420 Angrogna, gli autori sono i ragazzi della band Piccolo Circo Barnum. Per saperne di più gli ho fatto un paio di domande.

 

Che cos’è e come nasce Piccolo Circo Barnum ?

Davide per Piccolo Circo Barnum: “Il Piccolo Circo Barnum è la sintesi delle urgenze espresse e condivise dai suoi componenti: Davide Bertello (voce, chitarra acustica), Alessandro Savino (chitarra elettrica, slide, e-bow, cori) e Andrea Astesana (basso acustico fretless, stomp box). Siamo un trio dedito a fondere sonorità acustiche ed elettriche dai tratti western-psichedelici, con sguardi intimi e visioni collettive, che affiorano tra le suggestioni evocate dai testi. Ma potrebbe essere altro. Una seconda vita, custodita su un palmo, alla pioggia e alle stelle. Il nostro progetto nasce per consolidare unità di intenti e per dar seguito a precedenti esperienze. Su tutte, il percorso affrontato con il Grande Circo Barnum, rock band spontanea e rumorosa che chiuse il suo ciclo con l’album (d’esordio e di commiato) “L’ascesa incontrastata e poi subita della maschera di pluto“, pubblicato nel 2007 per Baracca&Burattini, distribuito da Audioglobe. Ripartirà successivamente, sotto traccia, il cammino che condurrà al Piccolo Circo Barnum e più recentemente alla pubblicazione di “8420 Angrogna“, EP ispirato ai cieli stellati, e ai cambi di prospettiva che sanno suscitare”.

 

Non sapevo che esistesse un asteroide con il nome di un paesino del torinese! Mi racconti la storia di Angrogna? dell’asteroide e del vostro disco, ovviamente!

 “La copertina del disco ritrae gli alberi che circondano la casa in cui vivo, rivoltati al contrario ed immersi nel cielo stellato “di Angrogna”. Per dire come il più ampio contesto che ci ospita non preveda rimandi a concetti o convenzioni rapportabili al basso o all’alto. Quando mi trovai ad osservare le immagini prodotte dal telescopio spaziale Hubble che svelano la nascita di nuove stelle (riproducono le colonne di gas interstellare ora note come “pilastri della creazione”) potei percepire che in un altrove lontanissimo, ma realmente esistente e a noi contemporaneo, la vita si ricrea. E questo accade proprio mentre noi ci interroghiamo (o non ci interroghiamo) su quale possa essere la chiave con cui interpretare il mistero, dando risposte cieche e talvolta scontate.

La scelta del titolo trae spunto dall’omonimo asteroide “8420 Angrogna”, frammento di unità annoverabile tra i cosiddetti pianeti minori e localizzabile nel “nostro” sistema solare o più precisamente nella fascia principale degli asteroidi, tra le orbite di Marte e di Giove. E’ stato scoperto e classificato nel 1996 presso l’Osservatorio Astronomico di Prescott (USA) da Paolo Gustavo Comba, matematico ed astronomo italiano originario di Angrogna, “small mountain village situated on Cottian Western Alps”, come citato sulle note biografiche riportate sul certificato di attribuzione della sigla astronomica. Mi sono inoltre imbattuto in un dettaglio curioso: nei periodi più impegnativi e prolifici, P.G. Comba (ha scoperto circa 1000 corpi celesti!) trascorreva nel suo osservatorio di Prescott ben 13 notti al mese, dedicate ad osservazione e analisi. Anche noi crediamo di aver sfiorato ritmi simili durante la fase di concepimento del disco. Non è una magnifica attrazione, la notte?”

 

Maria Cristina Strati

Donne in prima linea a Palazzo Madama

matilde-donne-madamaCONTEMPORANEA / Di Maria Cristina Strati

Quando si parla di sguardo femminile sulle cose, una visione tradizionale ma del tutto limitata del mondo fa subito venire in mente immagini rassicuranti, legate a temi come la maternità o la famiglia e collocate in atmosfere alternativamente sdolcinate o superficiali, da pubblicità. Le cose però non sempre stanno così, anzi, quasi mai. Esiste una capacità di testimoniare, leggere e affrontare la realtà concreta, anche e soprattutto nei suoi aspetti più duri, a volte persino cruenti e disperati, che è propria del femminile. Esiste una forza, nel combattere le avversità, che è propria delle donne e ha a che fare con la pietas, la solidarietà, la capacità di partecipare e condividere anche il dolore altrui senza tirarsi indietro, senza voltare lo sguardo, che non si arrende mai e cerca ovunque bene e bellezza.

Fino a metà novembre, la corte medievale di Palazzo Madama a Torino ospita una mostra dedicata alle donne fotoreporter di guerra. Sono esposte circa settanta immagini fotografiche, opera di quattordici donne che lavorano documentando situazioni umanitarie tragiche ed estreme in luoghi di guerra.

Le autrici delle opere selezionate dai curatori sono: Linda Dorigo, Virginie Nguyen Hoang, Jodi Hilton, Andreja Restek, Annabell Van den Berghe, Laurence Geai, Capucine Granier-Deferre, Diana Zeyneb Alhindawi, Matilde Gattoni, Shelly Kittleson, Maysun, Alison Baskerville, Monique Jaques e Camille Lepage. L’esposizione porta il titolo In prima linea, e di questo si tratta. Gli scatti nascono tutti da situazioni di prima linea, in cui le fotoreporter lavorano calandosi nelle situazioni di crisi concreta, testimoniando attivamente ciò che accade anche a costo di mettere a rischio la propria personale incolumità. Nonostante la crudezza dei temi, tuttavia, l’impegno e la serietà rappresentate dalle opere in mostra non pregiudicano, ma anzi esaltano la qualità artistica e la bellezza delle immagini.

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Così l’arte entra in gioco nell’universo della guerra e del dolore umano, che giocoso certo non è. Lo sguardo di chi fotografa rende paradigmatico il dolore, e in tal modo gli restituisce appieno la dignità e il profondo valore che la sofferenza rischierebbe di appannare. Il soldato, il profugo, la vedova,una volta ritratti diventano tutti i soldati, i profughi, le vedove del mondo. In senso concreto o metaforico, i loro sentimenti, le loro paure e il loro dolore acquistano un senso universale, divenendo paradigmatici. Ma la fotografia non si ferma qui. L’obiettivo è sempre tenacemente volto a scovare corrispondenze, armonie, coerenze di luci e spazi, e procede scovando la bellezza dove essa si nasconde, nelle pieghe dei volti o nei paesaggi desolati, donando una visione e una voce a coloro che visione e voce non hanno o non possono avere.

La mostra, che inaugura dopo quella fortunata su Marylin Monroe, s’inscrive nel progetto più ampio di una serie di visioni sul femminile, cercando di cogliere ed esaltarne alcune delle varie e diverse sfaccettature . In questo caso, si può certo dire che la femminilità dello sguardo di chi fotografa si coglie nel fiero rispetto, nell’attenzione profondamente umana alla relazione. E il bello è che la capacità di guardare l’altro dritto negli occhi qui si gioca sul duplice piano: tra chi fotografa e i chi o che cosa viene fotografato, ma anche tra chi fotografa e chi le immagini le guarda e le fruisce.

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Così, in questo incrocio di sguardi, il terreno delle coscienze troppo spesso addormentate, senza retorica, si fa fertile e fecondo. Le testimonianze che fino a troppo pochi anni fa sarebbero rimaste per forza taciute, rivendicano diritto di parola e parlano di una possibilità di relazione tra persone, mondi, situazioni storiche e politiche. Insomma, ciò che nel nostro mondo contemporaneo post-globalizzato e profondamente in crisi, non solo economica, non possiamo non avvertire come una profonda e urgente necessità.

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Le foto, dall’alto:

Matilde Gattoni © donne siriane fuggite in Libano

© ANNABELL van den Berghe Syria

© Maysun – Egitto

In prima linea – Donne fotoreporter in luoghi di guerra

a cura di Andreja Restek, Stefanella Campana e Maria Paola Ruffino

Corte medievale di Palazzo Madama

Piazza Castello, Torino

7 ottobre 2016 – 13 novembre 2016

Orario visite: lun-dom 10.00-18.00, chiuso il martedì. La biglietteria chiude 1 ora prima

Biglietto mostra: intero 10 euro, ridotto 8 euro

Biglietto mostra+museo: intero 14 euro, ridotto 12euro

 

Visite guidate: domenica 23 ottobre ore 15.30 – singoli

Sabato 29 ottobre ore 15.30 – Abbonati Musei Torino Piemonte (info e prenotazioni: tel. 800.329.329)

Domenica 6 novembre ore 15.30 – singoli

Costi: visita guidata euro 4 + ingresso alla mostra

Info e prenotazioni: tel. 011.5211788; prenotazioniftm@arteintorino.com

www.palazzomadamatorino.it

www.fondazionetorinomusei.it

 

Il mondo nelle mani. Le anatomie del paesaggio di Arno Minkkinen da Photo & Co

CONTEMPORANEA / di Maria Cristina Strati

Body performer e artista finlandese classe 1945, Minkkinen vive e lavora negli Stati Uniti, dove insegna all’Università del Massachussetts

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Con questo articolo prende il via su Il Torinese CONTEMPORANEA, la mia rubrica dedicata all’arte e alla cultura a Torino, con una particolare attenzione al mondo delle arti visive. Il tentativo è quello di leggere la città di Torino con dal punto di vista degli eventi che riguardano la cultura, l’arte visiva, la letteratura, il cinema, il teatro e così via, selezionando quelle notizie e quegli eventi che magari non sono necessariamente i più altisonanti, ma che, a nostro modestissimo parere, portano qualcosa di nuovo e interessante all’interno del già vivace e variopinto panorama culturale della nostra città. Il caso vuole che questa mia nuova avventura abbia inizio proprio nella settimana in cui si avvia la stagione espositiva delle gallerie d’arte torinesi. E qui, dato anche il titolo che ho scelto per questo spazio, l’attenzione all’evento era d’obbligo.

Lo scorso 29 settembre ha infatti avuto luogo a Torino Ouverture, la consueta apertura collettiva delle maggiori gallerie d’arte cittadine. Quest’anno l’evento ha dato vita a un percorso a tratti inedito, con nuovi acquisti (la nuova sede di Davide Paludetto e Neochrome, di cui spero avremo occasione di parlare prossimamente) e felici conferme. A proposito di conferme, da Photo & Co si è inaugurata una mostra molto interessante di Arno Minkkinen. Body performer e artista finlandese classe 1945, Minkkinen vive e lavora negli Stati Uniti, dove insegna all’Università del Massachussetts. Nella sua lunga e ragguardevole carriera ha esposto il suo lavoro nelle più prestigiose sedi internazionali, dal Moma di New York fino al Metropolitan Museum of Photography di Tokyo, e ha al suo attivo una considerevole serie di pubblicazioni. Tra le altre cose, nel 2013 è stato insignito del noto Lucie Award for Fine Arts di Los Angeles.

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Già a un primo sguardo le fotografie di Minkkinen colpiscono per le loro caratteristiche di eleganza e armonia formale, ma appare subito chiaro che la sua ricerca non si ferma certo all’aspetto meramente estetico delle immagini. Il progetto artistico che Minkkinen conduce fin dal 1971, anno in cui diede inizio alle sue sperimentazioni con la fotografia, hanno a che fare con l’interazione tra il corpo umano e il paesaggio. A un primo sguardo, i lavori ricordano certi scatti di Bill Brandt. Qui però il corpo che interagisce con il paesaggio è quello dell’artista, che realizza quasi unicamente autoscatti, sempre in maniera del tutto analogica, rinunciando a qualsiasi intervento di post produzione o manipolazione successiva con mezzi digitali. Infatti Minkkinen lavora studiando preventivamente ogni singola inquadratura in modo da ottenere come risultato qualcosa di più della semplice sovrapposizione della figura umana al paesaggio.

Sfruttando le proprie doti fisiche e atletiche ai limiti del contorsionismo, egli usa ogni parte del proprio corpo, mani, braccia e gambe, fino a quasi fondersi con il paesaggio stesso, ottenendo scorci e visioni inattese. Ma se in questi casi è il paesaggio a cambiare per la presenza del corpo, in altre immagini invece il corpo mantiene la propria identità, mentre è il paesaggio a modificarsi nei propri equilibri e proporzioni, per farsi protagonista di una visione surreale, in cui il dialogo tra corpo dell’artista e elementi ambientali assume, con ricercata ironia, i toni onirici di un miraggio fantastico. Il corpo dell’artista è spesso teso, al momento dello scatto, in una tensione atletica, dovuta alla posa che egli stesso si impone per ottenere il risultato stabilito. Di volta in volta il corpo è una duna, un albero, una mano afferra un bosco. La visione è immaginifica e l’effetto finale insieme poetico e ironico. Una visione in cui non siamo subito in grado di distinguere l’elemento naturale dal corpo che abita e compone il paesaggio stesso, che sia esso un paesaggio mediterraneo o un deserto, o uno scenario urbano metropolitano.

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Il mondo esteriore si fa così visione dell’interiorità: non solo messa in scena delle emozioni che ci abitano, paure e speranze comprese, ma vero e proprio tentativo di esplorazione del mondo interno e sua resa visiva e plastica, attraverso la presenza inalienabile del corpo. Ed ecco che allora esterno e interno si fondono in un’unica soluzione e ciò che impariamo a conoscere, muovendo lo sguardo lungo le forme umane, naturali o architettoniche, sono i nostri stessi pensieri, sentimenti, intuizioni. Così, nella dialettica tra corpo e ambiente prende vita e si fa visibile il mondo interiore, con i suoi sentimenti e percezioni, e soprattutto con la sua enorme, traboccante vitalità. Il risultato è la visione di un abitare poetico, dove l’armonia delle cose e tra le cose, e non l’io (nemmeno quello del fotografo), è protagonista.

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Dati mostra:

Arno Rafael Minkkinen – The World at My Fingertips

Dal 30 settembre al 26 novembre 2016 – ingresso libero

Photo & Contemporary, Via dei Mille 36 Torino

Tel. 011889884 – photoco@libero.it

 

Nelle foto, a partire dall’alto:

 

– Arno Rafael Minkkinen, 10.10.10, Fosters Pond, 2010

– Arno Rafael Minkkinen, Swimming in the Air, Rio de Janeiro, Brazil, 2015

– Arno Rafael Minkkinen, Nassau, The Bahamas, 2010

 

Breve storia di Torino: la Capitale

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Breve storia di Torino

1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

6 Torino Capitale

Sto proponendo, in questa serie di articoli, una breve ricostruzione storica delle vicissitudini della nostra bella Torino. In questo articolo nello specifico, desidero soffermarmi sul momento di massimo splendore che vede l’urbe pedemontana tramutarsi da cittadina basata sull’antico “castrum” romano in una vera e propria capitale regionale; nella seconda parte del Cinquecento, i diversi membri della famiglia Savoia, i signori torinesi per eccellenza, ordinano a diversi artisti una serie di interventi urbanistici che modificano definitivamente l’aspetto della città, rendendola un gioiello barocco invidiato e osservato da tutta la regione.
Sono questi gli anni del primo effettivo ampliamento territoriale, opera nella quale si inseriscono i grandi nomi dell’architettura barocca italiana: Ascanio Vittozzi, Carlo di Castellamonte e suo figlio Amedeo, Guarino Guarini, Filippo Juvarra, Benedetto Alfieri e Bernardo Antonio Vittone. Il lavoro di tali immense personalità fa emergere la nuova anima della città, adeguandola al ruolo di protagonista assoluta del Regno sabaudo.

Molti dei tratti architettonici assunti nel lontano Seicento sono ancora oggi ben visibili, passeggiando per le vetuste vie ci si imbatte in palazzi caratterizzati dalla monumentalità delle forme, piazze dall’impianto fortemente scenografico, giardini adorni di fontane e giochi d’acqua e, se si alza lo sguardo verso il cielo, grandiose cupole che si stagliano all’orizzonte. Non c’è dubbio, la nostra bella Augusta Taurinorum ancora sa risplendere del suo fascino sempiterno.
Tuttavia, come sempre, mi piace andare per ordine e definire dapprima il contesto.
Dal 1563, grazie alla decisione del duca Emanuele Filiberto, Torino diviene sede ufficiale della famiglia sabauda, tale scelta influisce grandemente sulla sorte dell’urbe pedemontana, che passa dall’essere prima un “semplice” avamposto, poi una vera e propria capitale regionale e infine, nel glorioso periodo cinquecentesco, verrà considerata cuore pulsante dell’intero Stato sabaudo.
Tale passaggio di status accelera non di poco la crescita della città: parimenti all’aumento demografico si promuovono gli interventi, sia politici che architettonici, fervidamente voluti dai Savoia.

L’assetto strutturale di Torino è ormai gerarchico, esso rispecchia l’ordine sociale secondo cui il potere si acquisisce per nascita, come testimonia la corte nobiliare che si accerchia sempre più intorno alla figura del monarca. È opportuno tuttavia sottolineare come in realtà i sovrani non fossero dei veri “desposti”, essi a loro volta dovevano comunque sottostare alle leggi dello Stato, perseguendo l’alto e specifico obiettivo di amministrare la giustizia, perseguendo il difficile scopo di mantenere l’ordine sociale, anche tenendo in considerazione i principi divini.
Col tempo i Savoia, anche grazie ai loro ministri e ai loro burocrati, riescono a rendere sempre più “illuminata”la struttura del governo torinese, rifacendosi ai dettami dell’Anciem Régime.
Ciò che è bene sottolineare è altresì la scelta della famiglia sabauda di non limitarsi ad interventi politici ed amministrativi, ma anche –soprattutto- a livello estico-costruttivo sul territorio: Torino viene costantemente ampliata, rafforzata e abbellita; inoltre è evidente come al nuovo aspetto corrisponda l’importanza simbolica dei luoghi, infatti alla giovane capitale vengono affidate diverse “funzioni chiave”, essa è sede degli uffici del governo, ossia domicilio dell’autorità politica, nonché residenza della base militare dello Stato.
Il potere monarchico, solido e ben definito, si riflette nell’omogeneo assetto urbanistico e nell’impianto stradale che regola e suddivide i diversi quartieri, l’ordine urbanistico si fa simbolo dell’ordine politico che lo Stato vuole instillare all’interno dei propri domini.
La partecipazione dei Savoia è più che attiva nel frangente costruttivo, la famiglia promuove una sistematica opera di ampliamento e modifica del primigenio impianto medievale, attraverso la costruzione di palazzi estrosi ed eleganti, che fanno da contrappunto al rigore stradale. Torino nel tempo si trasforma in una capitale barocca, le cui tracce sono tuttora ben visibili nel centro della città.
Si pensi ad esempio ad uno degli edifici simbolo della città: Palazzo Reale. Qui il barocco si mescola al rococò e al neoclassico, la facciata principale è esempio tipico del barocco aulico piemontese, così come lo sono l’eleganza delle decorazioni esterne ed interne alle varie sale.
Vi è poi la peculiare Chiesa di San Lorenzo, edificata a metà Seicento dal maestro Guarino Guarini per commemorare la vittoria di Emanuele Filiberto nella battaglia di San Quintino in Piccardia. L’ambiente interno si presenta ricco di marmi policromi, adorno di cappelle concave e convesse, così come vuole il gusto barocco, che esalta il ritmo della linea curva; l’illuminazione è data da un preciso e puntuale gioco di luci, tutto basato sullo sfumare dalla zona d’ombra dell’ingresso, verso il chiarore che aumenta con il sollevarsi dello sguardo; esaltano l’effetto gli oculi che bucano le pareti.

L’elemento caratteristico dell’edificio è la cupola a costoloni, osservandola si evince anche la genialità costruttiva del Guarini, il quale attraverso l’incastro dei costoloni costringe il visitatore a guardare verso l’alto, unica direzione perseguibile per trovare la salvezza divina.
Palazzo Madama invece deve la sua ristrutturazione allo Juvarra: cuore dell’intervento è lo scalone d’ingresso, tutto stucchi e marmi, costantemente illuminato dalla luce che si irradia dai grandi finestroni.
Ancora un esempio, Palazzo Carignano, situato nel centro di Torino e progettato dal Guarini, presenta la facciata principale curvata dall’alternanza di parti concave e convesse, il ritmo rispecchia i dettami del gusto barocco, così come lo fanno le particolari decorazioni interne, gli elaborati affreschi e gli stucchi sontuosi.
A segnare l’inizio di questo nuovo periodo, così glorioso e florido per la città di Torino, è il trattato di Cateau-Cambrésis (3 aprile 1559). Il documento non solo sancisce la fine delle guerre che avevano devastato la penisola fino ad allora, ma ripristina la sovranità del duca Emanuele Filiberto di Savoia sui propri domini. Quest’ultimo porta avanti una serie di interventi volti appunto a sottolineare l’importanza della nuova capitale: non più Chambéry ma Torino. Il duca individua come sua dimora, e sede della corte, Palazzo dell’Arcivescovado, edificio che viene così ampliato e modificato; Emanuele ordina poi la costruzione di una cittadella all’estremità sud-occidentale della città che cambia drasticamente il tessuto urbano, la nuova fortezza ha certo funzione difensiva ma essa deve anche simbolicamente rappresentare l’autorità ducale.
A livello politico Emanuele ricostituisce la Camera dei Conti e l’Alta Corte d’Appello francesi rinominandole Senato piemontese e facendo di esse le principali istituzioni del governo.

Per incrementare l’economia cittadina il duca promuove diverse attività, tra cui la piantumazione dei gelsi e la produzione di seta.
In sintesi sono principalmente due i fatti fondamentali che definiscono il nuovo status torinese: il ripristino delle attività dell’Università (1560) e il trasferimento nell’urbe della Sacra Sindone (conservata a Chambéry per più di un secolo). Torino è così anche custode e guardiana della santissima reliquia, il prestigio della città e – di conseguenza- della famiglia sabauda non si possono più mettere in discussione.
A Emanuele Filiberto succede Carlo Emanuele I (1580).
Sono anni turbolenti per il nuovo regnante, eppure Torino continua a prosperare; sotto Carlo la città si trasforma in una delle corti più raffinate d’Europa, il principe ama gli sfarzi, è mecenate di artisti e letterati, tra cui il poeta Giambattista Marino, il filosofo Giovanni Botero e il pittore Federico Zuccaro, autore delle decorazioni presenti nella galleria tra Palazzo Ducale e il vecchio castello, destinata alle curiosità e alle opere d’arte del duca.
Il gusto di Carlo per organizzare celebrazioni di vario genere porta alla costruzione di un grande spazio adibito alle cerimonie di fronte a Palazzo Ducale, il processo di edificazione inizia nel 1619 in occasione delle nozze della principessa Maria Cristina, figlia di Enrico IV di Francia. Per tale evento è inoltre aperta una porta nelle mura a sud (chiamata Porta Nuova), viene in seguito progettato una sorta di corridoio che congiunge Palazzo Ducale e Piazza Castello (attuale via Roma), a metà di tale passaggio è aperta una piazza (attuale piazza San Carlo). Carlo affida il cospicuo progetto del nuovo assetto cittadino a degli architetti esperti, che costituiscono il “Consiglio per l’edilizia e le fortificazioni”. I nuovi quartieri, definiti da residenze aristocratiche ben diverse da quelle presenti nel centro storico, non sono ideati per essere delle “vere abitazioni”, bensì per rendere la capitale preziosa, maestosa ed elegante.
Carlo Emanuele II ordina un ulteriore ampliamento urbanistico, seguito da un terzo progetto, sostenuto e terminato poi da Vittorio Amedeo II; quest’ultimo intervento rappresenta la fase conclusiva di ampliamento cittadino, dopo gli architetti si dedicheranno ad abbellire le antiche strutture preesistenti, rendendole moderne e lineari; si intraprenderanno poi diversi lavori volti a ristrutturare le strade principali, tra cui l’attuale via Garibaldi.
Caratterizza invece l’epoca settecentesca il completamento di diverse residenze nei dintorni di Torino, tra cui le ville nei parchi Mirafiori e Regio Parco e la dimora di Venaria Reale, poi completamente riassestata da Filippo Juvarra, uomo di fiducia di Amedeo II; all’architetto messinese si devono i lavori di modifica del Castello di Rivoli, la costruzione del mausoleo di Superga e la residenza di caccia di Stupinigi.

Nello specifico, la Reggia di Venaria, tuttora considerata un capolavoro d’architettura, si presenta come un’imponente struttura circondata da ampi giardini, ricchi di aiuole, fiori, piante, vanta numerosi esempi d’arte barocca, quali la Sala di Diana, la Galleria Grande, la Cappella di Sant’Uberto, le Scuderie Juvarriane, la Fontana del Cervo e le numerose decorazioni presenti in tutta la struttura. L’edifico è parte del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 1997.
La scenografica palazzina di caccia di Stupinigi, situata alle porte di Torino, ha un corpo centrale ampio, a pianta ellittica, a cui si accede attraverso un maestoso viale affiancato da giardini. Cuore pulsante della struttura è il salone ovale, affrescato da dipinti che si rifanno all’arte venatoria; dal salone si dipartono a croce di Sant’Andrea quattro bracci che conducono agli appartamenti reali e a quelli degli ospiti.
A fine Settecento anche l’anello satellite costituito da tali residenze testimonia il potere e la gloria della famiglia sabauda.
Figura essenziale del XVIII secolo è Vittorio Amedeo II, il quale si dedica principalmente alle riforme interne: egli riorganizza la burocrazia, istituisce diversi dipartimenti con ambiti di competenza ben distinti; per ospitare tali istituzioni vengono edificati lungo il lato settentrionale di Piazza Castello una serie di uffici comunicanti con Palazzo Reale (un tempo detto Ducale). Accanto a tale struttura viene innalzato un palazzo per gli Archivi di Stato (il primo edificio edificato appositamente per questo scopo in tutta Europa); nel 1738 iniziano i lavori per annettere alle costruzioni preesistenti un teatro lirico a uso esclusivo della nobiltà. La zona adiacente Palazzo Reale è quindi il regno della corte e assume un carattere distinto non solo dal punto di vista architettonico ma anche sociale.

Amedeo II riforma anche l’ateneo, precedentemente chiuso a causa della guerra con i francesi; il re ottiene il controllo dell’Università e la trasforma in una istituzione regia volta a formare futuri uomini di governo, professionisti o ecclesiastici. L’ateneo riformato sorge vicino ai nuovi uffici governativi, apre le porte agli studenti nel 1720, ed è articolato in tre facoltà: Legge, Medicina, Teologia, ( a partire dal 1729 è presente anche l’indirizzo di Chirurgia).
Alla nuova istituzione è affidato il compito di gestire il sistema scolastico dell’intero Piemonte.
A Vittorio Amedeo II si deve il rivoluzionario passo di creare quello che può essere considerato il primo sistema scolastico laico dell’Europa cattolica, sottraendo così il primato dell’istruzione ai religiosi. L’Università è ora il dicastero responsabile dell’istruzione. Sotto Amedeo opera Juvarra, uno dei grandi maestri del barocco, formatosi a Roma come architetto e scenografo. Le sue costruzioni hanno tutte una chiara impronta scenografica, che risponde alle esigenze dei committenti e all’intento di celebrare la grandezza della capitale. Juvarra progetta chiese e facciate di palazzi, come per esempio quella di Palazzo Madama, che dà a piazza Castello una perfetta e nuova prospettica architettonica. Oltre Juvarra anche Guarino Guarini è uno dei protagonisti indiscussi che trasformano la città in un gioiello barocco. Guarini realizza la Chiesa di San Lorenzo, la Cappella della Santa Sindone e Palazzo Carignano, dando vita a eccentrici modelli architettonici divenuti modelli da imitare per gli artisti successivi. Il lavoro di questi architetti è ammirato dai visitatori e l’influenza delle loro opere presto si estende ben oltre i confini piemontesi: è grazie a loro se Torino da anonimo centro provinciale si tramuta in maestoso esempio di architettura barocca e pianificazione urbana. È grazie a loro se ancora oggi possiamo passeggiare per la città con lo sguardo incantato, attraverso l’eterna bellezza dell’arte.

Alessia Cagnotto

Siglata la partnership tra Reale Mutua Fenera Chieri ’76 e Oltre Consulting

Una collaborazione strategica per incrementare la comunicazione del club protagonista del campionato di volley di Serie A1 Femminile e vincitore lo scorso anno della CEV Challenge CUP

 Reale Mutua Fenera Chieri ’76 ha scelto Oltre Consulting per valorizzare la costante crescita del club ed il suo profilo nazionale e internazionale.

Grazie all’ottimo posizionamento nel campionato scorso, la stagione appena iniziata, oltre alla competizione nella Serie A1 Femminile vedrà la Reale Mutua Fenera Chieri ’76 impegnata nella CEV CUP dove competono 22 club internazionali rappresentanti di ben 15 Paesi. Proprio lo scorso anno il club si è aggiudicato la CEV CHALLENGE CUP consolidando di fatto il suo ruolo di protagonista dello sport italiano ed europeo.

L’ambiziosa società pallavolistica vanta una prima squadra di assoluto livello con ben cinque Paesi internazionali rappresentati sul campo (Stati Uniti, Belgio, Grecia, Germania, Cipro) e sei giocatrici che militano nelle rispettive nazionali, compresa quella italiana. A questi Paesi si aggiungono il Giappone, con il preparatore della fase difensiva forte di una tradizione consolidata della scuola nipponica in tale attività, e la Francia con il match analyst che vanta nel ruolo una lunga esperienza nazionale e internazionale tra cui l’attività nel campionato spagnolo.

Inoltre, il club si contraddistingue per due aspetti di particolare rilevanza: dal 2013, dopo una serie di incontri dimostrativi, ha aperto una sezione dedicata al sitting volley, pallavolo paralimpica; e si distingue per una cura e un’attenzione importante al settore giovanile, tra i più fiorenti della categoria.

Oltre Consulting, l’innovativo business hub guidato dall’Amministratore Delegato Maria Cristina Russo, opera nel mondo della comunicazione e dello sport marketing, supportando realtà ambiziose attraverso consulenze strategiche sviluppate ad hoc. Questa con Reale Mutua Fenera Chieri ’76 è solo la più recente di diverse realtà sportive che hanno scelto Oltre Consulting come partner strategico.

La partnership vedrà Oltre Consulting al fianco del club, attraverso l’implementazione delle attività di comunicazione, il restyling del sito web ed il supporto negli aspetti commerciali, quali Sales & Sponsorship rationalization e Commercial support. L’obiettivo è quello di avviare una crescita costante a livello nazionale e internazionale, attraverso l’affiancamento nella gestione delle attività commerciali e di comunicazione.

Questa collaborazione si fonda su valori comuni basati sulla volontà di affrontare una sfida importante che entrambe le realtà puntano a vincere, attraverso forti motivazioni, grande dedizione ed elevata professionalità.

Siamo davvero molto contenti di aver sottoscritto questo accordo di partnership con Oltre Consulting perché ci dà l’opportunità di crescere anche da un punto di vista commerciale. E’ un nuovo percorso che permetterà ad entrambi di raggiungere traguardi importanti”, ha dichiarato Filippo Vergnano, Presidente della Reale Mutua Fenera Chieri ‘76 e Vicepresidente della Lega Pallavolo Serie A Femminile.

Siamo molto felici e orgogliosi di iniziare questo percorso con Oltre Consulting e con Maria Cristina Russo. Lavoreremo insieme nell’implementazione delle attività di comunicazione e nel supporto degli aspetti commerciali. Siamo certi che questa collaborazione creerà valore per il nostro club” ha dichiarato Lucio Zanon di Valgiurata, Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Fenera che da undici anni lega il proprio nome alla squadra e da sei stagioni ne è Co-Title Sponsor insieme a Reale Mutua.

Siamo entusiasti di questa nuova partnership che ci vede protagonisti nella massima serie del volley femminile, con un club che sta scrivendo la storia della pallavolo. Lavoreremo per una crescita nazionale e internazionale, che sarà consolidata con delle attività sviluppate in modo specifico. Ringrazio Lucio Zanon di Valgiurata e Filippo Vergnano per questa collaborazione che si coniuga perfettamente con il modello di business di Oltre Consulting”, ha dichiarato Maria Cristina Russo, CEO di Oltre Consulting.

“La cura” di Battiato diventa un album illustrato

A firma di Sonia Maria Luce Possentini, verrà presentato nel suggestivo Giardino di “Casa Lajolo” a Piossasco

Domenica 16 luglio, ore 18

Piossasco (Torino)

Suggestioni mistiche e filosofiche (“Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza”). Suggestioni esotiche (“Vagavo per i campi del Tennessee/ come vi ero arrivato chissà”). Suggestioni oniriche (“Più veloci di aquile i miei sogni/ attraversano il mare”). C’è, in compendio, tutto il modo di fare e concepire musica e testi narrativi, come strumenti terreni in grado di far volare su sù sogni poesia memoria ed emozioni, in quello che può indubbiamente considerarsi il capolavoro musicale di Franco (al secolo FrancescoBattiato, nato a Ionia (oggi Riposto) nel 1945 e scomparso due anni fa sempre nel catanese, a Milo. Parliamo de “La cura”, una delle canzoni più note e amate del grande cantautore (ma anche scrittore, regista, pittore e politico) siciliano. Brano dal significato fra i più controversi della sua discografia, pubblicato nel 1996 all’interno dell’album “L’imboscata” e scritto insieme al filosofo Manlio Sgalambro, la canzone è oggi diventata un album illustrato “dai toni sognanti, intimi e delicati”, grazie ai disegni della reggiana di Canossa, Sonia Maria Luce Possentini, fra i nomi più apprezzati del panorama illustrativo contemporaneo, una cattedra di “Illustrazione” alla “Scuola Internazionale di Comics” di Reggio Emilia e all’“Università degli Studi” di Padova, nonché prestigiosi premi vinti in carriera.

L’opera della Possentini, invariato il titolo “La cura” edita da “Einaudi Ragazzi”, verrà presentata domenica 16 luglioalle 18 (ingresso gratuito), nel giardino “a stanze” della settecentesca “Casa Lajolo” a Piossasco, per la rassegna “Bellezza tra le righe”, inserita nel cartellone di “Luci sui Festival”, attività promossa dal “Salone Internazionale del Libro” per supportare la diffusione e la conoscenza delle realtà legate al mondo della lettura e dei libri. E proprio intorno al concetto di “cura” ruota il cartellone di quest’anno di “Bellezza tra le righe”, dal titolo “Maneggiare con cura. Incontri e letture per mettersi in salvo”. Domande: “Sappiamo curare? Sappiamo curarci? Sappiamo prenderci cura? In che modo?” Dunque, non poteva mancare questo volume illustrato, raffinato, delicato, pensato in realtà per tutti, grandi e piccoli, per scoprire o riscoprire la dedizione e il supporto incondizionati per la persona amata: poesia, colore e passione si uniscono e ne emerge il concetto profondo dell’amore come ‘cura’, verso se stessi, gli altri, la propria anima”.

Pittrice e illustratrice, Sonia Maria Luce Possentini, laureata in “Storia dell’arte” al “Dams” di Bologna, ha ricevuto molteplici riconoscimenti in Italia e all’estero, tra cui il “Premio Andersen 2017” come miglior illustratrice, il “Premio Pippi” e il “Silver Award” all’“Illustration Competition West 49” di Los Angeles.

Ha preso parte a numerose mostre, pubblicato albi illustrati e manifesti. Ha firmato copertine per numerose Case editrici italiane ed estere ed insegna “Illustrazione” alla “Scuola Internazionale di Comics” di Reggio Emilia e all’“Università degli Studi” di Padova. Per “Edizioni Curci” ha illustrato il libro “Fate e fantasmi all’Opera” di Cristina Bersanelli e Gabriele Clima. Non si può non menzionare, nel suo ricco curriculum, il libro scritto con Mario Boccia, lo struggente “La fioraia di Sarajevo”, edito nel 2021 da “Orecchio Acerbo”.

  1. m.

Nelle foto:

–       Una tavola de “La cura”

–       Cover “La cura – Battiato Possentini”, Einaudi Ragazzi

–       Sonia Maria Luce Possentini

Menta e Rosmarino torna sul lago d’Orta

Undicesima edizione

10-11 giugno 2023

Villa Nigra, Miasino (Lago d’Orta, NO)

Sabato 10 e domenica 11 giugno torna Menta e Rosmarino, il celebre evento multidisciplinare dedicato a piante, fiori e cultura organizzato da Associazione Asilo Bianco nel parco della storica Villa Nigra a Miasino (NO), sulle colline che si affacciano sul Lago d’Orta in Piemonte.

L’undicesima edizione continua a confrontarsi e interrogarsi sul fondamentale e indissolubile legame tra uomo e ambiente. I protagonisti sono come sempre vivaisti ed esperti di giardino: un grande percorso a cielo aperto tra natura, ambiente, cultura, arte, riciclo, ecologia, giardino, design, disegno e paesaggio. Ma anche conferenze, passeggiate, approfondimenti e laboratori per grandi e piccoli.

Nelle sale affrescate al piano nobile di Villa Nigra sarà visitabile la mostra “Oltre il Giardino” a cura di Ilaria Macchi, dedicata alla relazione tra essere umano e natura (dal 27 maggio al 23 luglio, giovedì-domenica, 14:30-18:30), con opere di Linda Carrara, Matteo Giuntini, Lorenzo Gnata, Leila Mirzakhani, Barbara Stimoli e Titta C. Raccagni.

Quest’anno Menta e Rosmarino, con una trentina di espositori, sarà non solo nel parco di Villa Nigra, ma anche in quello di Palazzo Sperati, sede del Comune di Miasino e direttamente collegato alla Villa. L’evento è come sempre aperto a tutti e a ingresso gratuito.

Confermati il sabato pomeriggio il laboratorio per bambini sul libro Rosmarina a cura di Maddalena Garavaglia per Letture Amene e la conferenza Il giardino che accoglie con Maria Cristina Pasquali e Carola Lodari, in collaborazione con Editoria e Giardini.

Domenica mattina in programma la conferenza Pollici verdi con il Floral & Garden designer David Zonta: la conoscenza del verde in casa in relazione al prendersi cura di sé stessi e del pianeta in cui abitiamo. Nel pomeriggio di domenica, “Germogliano storie”, secondo laboratorio di Letture Amene a cura di Pigi.

Come sempre, in programma anche visite guidate ai beni storico-artistici di Miasino con la guida Cosetta Dal Cin, l’apertura del Giardino dei semplici, delizioso giardino che raccoglie circa 100 piante usate nella medicina popolare, passeggiate guidate tra Ameno e Miasino (a offerta libera) a cura di Monterosa Promotion per collegare Menta e Rosmarino a Letture Amene, Festival della natura, degli albi illustrati e delle arti.

Sarà inoltre possibile seguire il percorso del sentiero Carlo Nigra, tracciato da Itinerarium, che connette i luoghi del Nigra tra Orta San Giulio, Ameno e Miasino.

Tutti gli aggiornamenti e le informazioni utili sono disponibili sul sito asilobianco.it e sui canali social dell’associazione. Per restare aggiornati su tutte le iniziative ci si può iscrivere alla newsletter qui: http://eepurl.com/gjEklf

La squadra di Asilo Bianco indosserà i grembiuli di Il Grembiale Milano, realizzati con materiale ottenuto dal riciclo di bottiglie di plastica. Per tutti le originali caramelle e tisane dal potere rivitalizzante delle erbe alpine svizzere Ricola, partner della due giorni. Si ringraziano per il sostegno Immobiliare Ortalloggi, Le Camion Chef à Porter, La Genzianella, Taverna Antico Agnello, Agenzia Turistica Locale della Provincia di Novara, Prodotto Ambiente.

Villa Nigra, Piazza Beltrami 5, Miasino (NO)

asilobianco.it

IG Asilo Bianco

FB Asilo Bianco

Menta e Rosmarino è possibile grazie alla collaborazione con il Comune di Miasino, al progetto Lago d’Orta Moving Connections finanziato da Fondazione Cariplo e al percorso Interreg Italia-Svizzera Di-Se – DiSegnare il territorio che vede coinvolti, insieme ad Asilo Bianco, Associazione Musei d’Ossola e Museumzentrum La Caverna di Naters.

Asilo Bianco è una piattaforma di lavoro nata nel 2005 sul Lago d’Orta, in Piemonte, un gesto creativo dell’artista Enrica Borghi. Da anni lavora per rigenerare luoghi dimenticati e per far germogliare la cultura di un territorio attraverso i semi dell’arte contemporanea. Asilo Bianco promuove una programmazione di corsi e workshop online e in presenza (Asilo Bianco Academy) ed eventi culturali interdisciplinari. Quello dell’associazione è un impegno che guarda all’arte, all’architettura, al design, al cinema, alla letteratura, alla fotografia, al sociale, all’ambiente – asilobianco.it