Bombe sulla Siria

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Le bombe continuano ad uccidere in Siria nonostante la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu per una tregua immediata. Prova a far tacere le armi anche il presidente russo Putin che ha chiesto al suo alleato Assad di aprire “varchi umanitari” per evacuare civili, feriti e malati da Ghouta est, enclave ribelle alle porte di Damasco, colpita duramente dai raid aerei dell’aviazione siriana, forse con l’uso di bombe al cloro. Sono già centinaia i civili uccisi finora, compresi quelli investiti dai razzi lanciati dai miliziani jihadisti nei quartieri centrali della capitale. Papa Francesco ha chiesto la fine immediata delle violenze nell’ “amata e martoriata” Siria ma il mese di febbraio è stato terribile per questa nazione in guerra da sette anni con centinaia di migliaia di vittime, ospedali distrutti e mancanza di cibo. Nell’area contesa, controllata dai gruppi islamici estremisti Jaysh al-Islam e Hayat Tahrir al-Sham, vivono oltre 400.000 civili in condizioni disperate. Ghouta est, circondata e attaccata dalle truppe del regime siriano, non è ancora sotto il completo controllo degli uomini del presidente Bashar al-Assad. Non molla neanche la Turchia che a nord continua la sua offensiva nel cantone di Afrin contro i curdi. A peggiorare la situazione sono giunte le notizie, ancora da verificare, relative all’uso di armi chimiche sugli insorti da parte dell’esercito siriano. Al di là della tragedia levantina, la lotta contro il terrorismo jihadista è destinata a continuare come guerra su scala globale, dall’Africa al Medio Oriente, dal Caucaso all’Estremo Oriente. Sconfitti nel Levante, i jihadisti cercano riscatto in terre più lontane da dove proseguire la lotta all’Occidente e ai governi locali. Come in Afghanistan, dove la situazione precipita di giorno in giorno e Kabul è sempre più assediata dagli estremisti islamici. Tra i capi della nuova generazione di combattenti c’è Hamza, il figlio più giovane di Osama Bin Laden che nelle foto d’archivio si vede seduto su un tappeto accanto al padre con il kalashnikov sulle ginocchia. Il suo compito è quello di portare avanti il progetto di espansione del terrorismo islamico nel mondo e, per questo motivo, è già stato inserito dagli americani nella lista dei terroristi più ricercati.

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L’ultimogenito di Osama, ucciso da un commando di Navy Seals il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Pakistan, figura come l’erede designato al vertice di al-Qaeda, l’organizzazione terroristica che, pur messa in secondo piano dall’Isis di Al Baghdadi, continua a pianificare attentati sanguinosi in ogni parte del mondo. Cristiani, ebrei, americani, russi e sciiti sono i nemici da combattere ed eliminare. In un recente messaggio diffuso sul web Hamza Bin Laden ha lanciato un appello a tutti i musulmani affinchè si uniscano per fronteggiare il complotto internazionale in atto in Siria che mette insieme “crociati, russi e sciiti”. Non ha mai censurato i piani dell’Isis e mira forse a creare un legame forte tra al-Qaeda e i tentacoli della piovra dell’ex “Stato islamico” che, dopo la sconfitta in Mesopotamia, ricrescono in altre parti del pianeta. Hamza ha quasi 30 anni, non conosciamo il suo volto attuale ma l’ex leader di al-Qaeda l’ha sempre considerato il rampollo prediletto e suo erede naturale per portare avanti la missione di terrore e ferocia del gruppo terroristico. Non sappiamo se sarà Hamza il nuovo leader di al -Qaeda, che risulta piuttosto divisa al suo interno, e se sarà lui a guidare la futura galassia jihadista ma nelle aree tribali al confine tra Pakistan e Afghanistan lavora per riunire i guerriglieri islamisti radicali. Nel 1997 Bin Laden spiegò con poche parole il suo folle progetto al giornalista e anchorman della Cnn Peter Arnett: “noi amiamo la morte, voi amate la vita”. L’anno successivo il terrorista saudita annunciò dalle grotte dell’Afghanistan la nascita del “Fronte islamico per il jihad contro i crociati e gli ebrei” per diffondere il terrore in tutto il mondo. Nonostante la forte concorrenza dei combattenti di Al Baghdadi e di altri gruppi jihadisti la strategia del conflitto globale di al-Qaeda prosegue il suo cammino come dimostra anche la rete terroristica creata da Bin Laden durante la guerra nella Bosnia musulmana ancora oggi attiva per colpire l’Occidente dai Balcani. Malgrado tutti gli sforzi fatti sul piano militare e finanziario il terrorismo continua a tenere sotto assedio l’Afghanistan dove è in corso un’offensiva islamista senza precedenti con Kabul colpita ripetutamente dai Talebani e dai miliziani del Wilaya Khorasan, il ramo centro-asiatico del Califfato. Secondo il Pentagono, i Talebani, che governarono il Paese dal 1996 al 2001, controllano quasi la metà dell’Afghanistan e l’Isis ha messo radici sul territorio reclutando ceceni, uzbeki e uiguri cinesi. Anche se entrambi i movimenti tentano di presentarsi come il gruppo più forte, gli studenti coranici sono molto più diffusi nel Paese e ben armati a tal punto da non temere neppure l’esercito afghano mentre i seguaci del Califfo, dopo aver perduto le roccaforti in Medio Oriente, concentrano le forze, almeno 6.000 miliziani provenienti da Siria e Iraq, nella parte orientale del Paese e attaccano Kabul per togliere la guida del jihad agli stessi qaedisti.

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Alcuni analisti sostengono che la partita decisiva non si giocherà nei deserti mediorientali ma tra l’Afghanistan e il Caucaso, un’area dove i potenziali kamikaze sono decine di migliaia, pronti a immolarsi per la fede. È di pochi giorni fa l’attentato, rivendicato dall’Isis, contro una chiesa ortodossa nella Repubblica caucasica del Daghestan confinante con la Cecenia. Una regione dove da tempo è attivo l’ “Emirato del Caucaso”, un’organizzazione jihadista che vuole cacciare i russi dal Caucaso e instaurare un Califfato. Sconfiggere il fenomeno jihadista è molto più complesso di quanto possa sembrare. Ne è la prova ciò che accade non solo in Asia ma anche nella regione del Sahel, come nel Mali, nel Niger e nel Burkina Faso dove i militari francesi (5000 soldati) non riescono ad aver ragione dei ribelli islamisti. Oppure in Nigeria in cui sembra impossibile prevalere sulla ferocia dei terroristi islamici di Boko Haram a caccia di cristiani e donne, rapite, ridotte in schiavitù, costrette a convertirsi all’islam se sono cristiane e obbligate a sposare i miliziani. È allarme per un nuovo sequestro di massa di studentesse nigeriane compiuto il 19 febbraio dai jihadisti di Boko Haram in un collegio femminile nello Stato di Yobe. La fotocopia di quello che avvenne nella città di Chibok nel 2014 dove quasi 300 ragazze furono sequestrate in una scuola. Molte di queste donne non sono ancora tornate a casa mentre adesso sono 110 le studentesse prigioniere dei fanatici islamisti. Boko Haram, affiliato all’Isis dal 2015, è ritenuto responsabile della morte di 20.000 persone e di 2,5 milioni di sfollati nel nordest della Nigeria, in Camerun, Ciad e Niger. Non accennano a diminuire neanche gli attentati dei kamikaze islamisti di Al-Shabaab in Somalia. L’ultimo attacco avvenuto nei giorni scorsi presso il palazzo presidenziale a Mogadiscio ha causato una cinquantina di morti e ha posto fine alla pausa negli assalti terroristici che durava da dicembre.

 

(dal settimanale “La Voce e il Tempo”)

 

 

 

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