10 anni di Pd: se l’anniversario diventa un funerale

Il decimo anniversario della fondazione del Pd viene giudicato da molti un funerale. Quel progetto, al quale molti si erano dedicati con grande passione e slancio, è fallito tradendo una parte significativa degli obbiettivi che aveva dichiarato di voler perseguire

Molti tra i principali fondatori in questi anni hanno deciso di  ” alzare le tende “. Prodi non è più un iscritto e insieme a lui non sono più iscritti al Pd molti di coloro che  ne avevamo sottoscritto il manifesto fondativo. Letta è a Parigi e non ha più la tessera del Pd. Bersani, che del Pd è  stato segretario, e D’Alema stanno fondando un nuovo Partito. Migliaia di iscritti hanno deciso di non rinnovare la tessera.E potrei continuare…. Il Pd di oggi non è neppure lontanamente paragonabile a quello fondato 10 anni fa. Proprio in queste ore la Camera dei Deputati ha approvato “In prima lettura” la legge elettorale, una vicenda che per il modo in cui è  stata gestita e per i contenuti del Rosatellum, rende evidente la distanza tra  quel Pd è quello attuale.Al Pd di allora non sarebbe mai venuto in mente di porre la fiducia sulla legge elettorale o di approvare la riforma costituzionale a colpi di maggioranza, venendo meno ad un preciso vincolo statutario e ad una posizione di principio.
Ma sempre più spesso le questioni valoriali e di principio, che contribuiscono a definire l’identità di un Partito politico, sono state sacrificate per dare spazio agli interessi e alle convenienze del momento con improvvisi rovesciamenti di linea e grande spregiudicatezza sul piano politico e culturale.
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Intendiamoci: non deve creare scandalo il fatto che una formazione politica possa cambiare i propri orientamenti e posizioni. E’ avvenuto e continuerà ad avvenire come dimostrano le trasformazioni che hanno riguardato il piu forte partito della sinistra italiana; ma quella che si è verificata è una vera e propria  mutazione genetica. Assolutamente legittima, a condizione che si chiamino le cose con il loro nome e cognome e non ci si ostini a negare la realtà e l’ evidenza. Che rapporto hanno con una “forza” che vorrebbe continuare a definirsi di sinistra le politiche del lavoro realizzare in questi anni? Avrebbero dovuto favorire i contratti a tempo indeterminato, ma questa previsione non si è affatto realizzata. In compenso si sono ridotte le tutele. La sfida competitiva può essere vinta se si scommette sull’innovazione non sui bassi salari, sulla precarietà  e sulla rinuncia a difendere la dignità del lavoro, che viene equiparato a una merce qualsiasi. Oppure la proposta di una riduzione generalizzata delle tasse venendo meno a quei principi di equità, di progressività, di lotta all’ evasione e di equità sociale che ovunque rappresentano uno dei tratti identitari di un Partito che si richiama ai valori e agli ideali di sinistra? E ancora: cosa c’entrano con una forza che voglia contrastare il qualunquismo e il populismo il modo con il quale è  stata spiegata e giustificata la riforma della Costituzione? Tutto questo in nome di un cambiamento che assume un valore in sé, indipendentemente dai contenuti che sono invece l’unica discriminante per giudicare la ” bonta’” e il ” profilo” di una scelta politica e di governo.
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Per questo dico che le trasformazioni configurano  il profilo di un Partito  sempre più  centrista  e ne modificano il radicamento e l’insediamento  sociale. Si preferisce non discuterne ma in questi anni milioni di elettori hanno abbandonato il Pd sentendosi traditi dalle politiche che sono state realizzate,  peraltro con modesti risultati. Il vizio di origine è  rappresentato dal modo in cui si è giunti alla sua costituzione: da una parte i DS che avevano avviato una discussione vera e non priva di conseguenze, dall’altra la Margherita che invece è  confluita per intero nel nuovo  Partito senza che in via preliminare venissero sciolti  alcuni nodi strategici e senza che fossero create davvero ” le fondamenta ” di un nuovo Partito in grado “di fondere”e portare a sintesi le culture di provenienza.
Doveva essere un Partito plurale e invece è  diventato il Partito del Capo. Doveva diventare una formazione politica plurale in cui si sperimentavano nuove forme di confronto e di convivenza tra le varie componenti e invece le correnti sono diventate luoghi di gestione del potere e strumenti per negoziarlo. Esattamente come avveniva in alcuni partiti della prima Repubblica. E siccome la scommessa era quella di costruire un Partito che superasse le divisioni del ‘900 trasformando la esperienza dell’ Ulivo in un Partito, il bilancio non è  certo esaltante.
Wilmer Ronzani
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